La Nato crede ancora nell'Ucraina, che però ha già perso
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La Nato, così come l'Ue, insiste nell'invio di aiuti militari all'Ucraina e spinge Kiev a reclutare più uomini. Ma un'analisi spassionata sul campo suggerisce che l'Ucraina non abbia più speranza di vincere.
Mentre a Bruxelles l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Kaja Kallas si prepara alla svolta di Donald Trump dichiarando che la Ue è «pronta a sostenere l'Ucraina se gli Stati Uniti cesseranno il loro impegno», il segretario generale della Nato, Mark Rutte, al suo arrivo alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell'Ucraina a Ramstein, ha annunciato che «dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che l'Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno in termini di addestramento e di equipaggiamento per prolungare la lotta e prevalere in questa lotta».
A Roma il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha detto di non prevedere «un disimpegno degli USA e non leggo questo dalle dichiarazioni di Trump, la realtà è un po’ diversa dai racconti fatti: Trump ha detto 'peace with strenght', pace con la forza», ha detto Meloni nella conferenza stampa di inizio anno dopo essere rientrata dall’incontro con Trump in Florida.
«Anche io in questi anni ho sempre sostenuto che l'unico modo per costringere la Russia a sedersi al tavolo era costruire una situazione di difficoltà: la guerra in Ucraina doveva durare tre giorni, a febbraio saranno 3 anni», ha ricordato la premier aggiungendo che «a dicembre 2022 la Russia controllava il 17,4% del territorio ucraino ora con perdite ingenti controlla il 18%, più 0,6%. Lo dico per smontare la narrazione che la Russia ha già vinto: se oggi si parla di pace è perché la Russia si è un po’ impantanata grazie al coraggio del popolo ucraino e al sostegno internazionale, questo Trump lo capisce bene» e dunque «non prevede di abbandonare l'Ucraina, lo ha già detto, secondo me sarebbe un errore considerando che dati dimostrano che il nostro sostegno precostruisce le condizioni per la pace».
Sembra così consolidarsi una nuova narrazione negli ambienti USA e NATO, che sta facendosi strada anche in ambito UE, che mira a sostenere la prosecuzione del conflitto e degli aiuti militari occidentali abbinati all’abbassamento dell’età minima per l’arruolamento dei maschi ucraini da 25 a 18/20 anni.
Non a caso ieri a Ramstein il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che l'invio di truppe occidentali in Ucraina potrebbe essere uno degli «strumenti migliori per costringere la Russia alla pace. Il nostro obiettivo è trovare quanti più strumenti possibili per costringere la Russia alla pace. Credo che tale dispiegamento di contingenti dei partner sia uno degli strumenti migliori», ha detto.
Per sostenere questa narrazione incentrata su tre assi (più ucraini in armi, più armi occidentali e truppe di nazioni NATO schierate in Ucraina) e renderla minimamente credibile, occorre negare che i russi stiano vincendo la guerra minimizzandone i successi territoriali e sostenendo che Kiev ha ancora carte militari da giocare. Per questo gli ucraini hanno lanciato il 5 gennaio una debole mini offensiva nella regione di Kursk, piccola ma ingigantita dai media in tutto l’Occidente.
Per questo si nega che i progressi territoriali russi siano rilevanti affermando che costituiscono ben poca cosa, anche se in realtà i russi controllano ormai il 20% della superficie dell’Ucraina inclusa la Crimea e per questo la propaganda Ucraina/NATO/UE ingigantisce le perdite russe per mitigare il rilievo dei successi ottenuti in Donbass dalle forze di Mosca.
Alcune fonti, come il think-tank neocon Institute for the Study of the War, hanno modificato dall’inizio del 2025 le mappe evidenziando in colore azzurro i territori da cui i russi si sono ritirati volontariamente nella primavera 2022 (in seguito alle intese raggiunte con la mediazione della Turchia che sembravano poter porre fine al conflitto e poi in base alla ridefinizione degli obiettivi dell’Operazione Militare Speciale) e quelli riconquistati dagli ucraini in seguito alla controffensiva nella regioni di Kharkiv e alla ritirata russa dalla sponda destra del fiume Dnepr in quella Kherson, nell’autunno dello stesso anno.
Dettaglio già evidenziato a suo tempo sulle mappe dell’ISW ma poi rimosso perché superato ai fini della definizione degli sviluppi militari in atto e che oggi viene riproposto per mitigare l’immagine e la percezione delle drammatiche condizioni delle forze di Kiev.
Non a caso l’ISW raccomanda che «gli aiuti occidentali rimangono fondamentali per la capacità dell’Ucraina di stabilizzare la linea del fronte nel 2025. Le forze ucraine, con il supporto degli alleati occidentali, devono quindi lavorare per integrare le operazioni dei droni ucraini e l’artiglieria con risorse sufficienti e le capacità di attacco a lungo raggio, e le unità di fanteria ucraine impegnate per difendersi dalle avanzate russe e minare la teoria della vittoria di Putin nel 2025».
In termini militari la situazione dell’Ucraina è drammatica non perché nel 2024 ha perso il controllo di oltre 4mila dei 600mila chilometri quadrati della sua superficie, ma perché sono cadute molte roccaforti nel Donbass che, dal 2022, puntellavano le linee di difesa di Kiev. Perché i russi stanno conquistando l’area più fortificata dagli ucraini oltre la quale non vi sono linee di difesa precostituite.
Perché Kiev dispone di sempre meno truppe addestrate, il suo esercito è afflitto da diserzioni massicce, le reclute vengono arruolate a forza e inviate in prima linea senza addestramento, moltissimi fuggono all’estero o si nascondono per non essere arrolati mentre Mosca arruola oltre 30 mila volontari al mese secondi fonti della NATO.
I russi stanno vincendo perché hanno più truppe, più armi e soprattutto più munizioni (rapporto di volume di fuoco tra 5:1 e 7:1), perché hanno una forte aeronautica che bombarda le linee nemiche, mentre gli ucraini sono rimasti con pochissimi aerei da combattimento. Del resto se si guarda quanto sta accadendo sui campi di battaglia la situazione appare chiara.
Con una nuova azione offensiva a sorpresa gli ucraini hanno ripreso il 5 gennaio ad attaccare a Kursk dopo mesi in cui continuavano a perdere terreno in durissime battaglie difensive. Le forze di Kiev hanno lanciato un attacco a nord-est di Sudzha che ha colto di sorpresa i russi che in 24 ore hanno fatto affluire rinforzi, respinto gli ucraini e ripreso l’iniziativa.
L’obiettivo di questo attacco che ha sacrificato ulteriori truppe e mezzi preziosi, sembrava essere limitato a interrompere l’offensiva russa e a dimostrare che gli ucraini non intendono ritirarsi dalla regione russa di Kursk nonostante le ampie perdite e le difficoltà a far fronte alla superiore potenza di fuoco aerea e terrestre russa.
L’obiettivo dell’attacco ucraino è apparso chiaro quando il segretario di Stato americano Antony Blinken, ha dichiarato il 6 gennaio che la posizione dell’esercito ucraino nella regione russa di Kursk «è importante, perché è sicuramente un elemento da tenere in considerazione in eventuali negoziati che potrebbero svolgersi nel corso dell’anno». Valutazione che sembra indicare che Kiev continuerà a gettare nella mischia molte altre brigate, armi e munizioni con l’obiettivo di mantenere un piede in territorio russo per disporre di una “carta pesante” da usare come moneta di scambio in un eventuale negoziato.
Contesto che in realtà potrebbe risultare gradito anche a Mosca sia perché le truppe ucraine a Kursk combattono con una condizione di svantaggio ancora maggiore di quella che si riscontra in Donbass, sia perché questo sforzo sguarnisce sempre di più le regioni di Donetsk, Kharkiv e Zaporizhzhia, al centro dell’offensiva russa.
Il 6 gennaio, nel silenzio quasi assordante dei nostri media e politici, i russi hanno a completato la conquista della città mineraria di Kurakhovo dopo una battaglia durata quasi tre mesi che di fatto era già vinta prima di Natale. I russi sostengono che durante la battaglia le truppe di Kiev hanno perso 12mila dei 15mila uomini che avevano ammassato per difendere “questo importante hub logistico”.
Negli ultimi giorni le forze di Mosca sono avanzate anche a est e a sud di Pokrovsk raggiungendo la periferia della città nell’ambito di operazioni offensive che non sembrano incontrare una seria resistenza e che puntano a neutralizzare il ruolo logistico che la città riveste per i rifornimenti stradali e ferroviari diretti ai fronti nella regione di Donetsk.
Più a est anche Toretsk, dopo i progressi degli ultimi due giorni è ormai quasi del tutto sotto il controllo dei russi che hanno ripreso ad avanzare anche all’interno del centro abitato di Chasiv Yar. Di fatto tutte le roccaforti ucraine in Donbass sono cadute negli ultimi 12 mesi o stanno per cadere; secondo lo stato maggiore ucraino potrebbero lanciare una vasta offensiva nella regione di Zaporizhzhia mentre nella regione di Kharkiv i russi sono giunti alle porte di Kupyansk, roccaforte da cui le forze di Mosca furono costrette a ritirarsi nel settembre 2022 in seguito alla prima controffensiva ucraina.
Al di là dei chilometri quadrati di territorio perduto, è il progressivo annientamento dei reparti e lo sfaldamento delle capacità di combattimento delle forze ucraine a imprimere una svolta al conflitto e a suggerire, contrariamente a quanto affermato dalla narrazione propagandistica NATO/UE, di aprire negoziati prima che il tracollo militare di Kiev li renda del tutto superflui.