Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico

SCENARI

La Nato abbandona Kabul al caos

Ingenuità, errori, cinismo: c'è tutto nell'incenerimento di alcune copie del Corano, che hanno generato le violenze di questi giorni.

Attualità 29_02_2012
Violenze in Afghanistan
Ingenuità, errori di comunicazione e il cinismo di chi ha deciso di abbandonare l’Afghanistan a sé stesso il prima possibile. Questi gli ingredienti che caratterizzano gli sviluppi della situazione a Kabul dopo le violenze scatenatesi in seguito all’incenerimento di alcune copie del Corano avviate alla discarica dei rifiuti dopo essere state utilizzate dai detenuti del carcere speciale americano di Bagram che ospita esponenti di rilievo dei talebani e di al-Qaeda.

Una vicenda paradossale che ha scatenato le ire di autorità religiose, accademie islamiche di tutto il mondo (persino l’Iran ha denunciato gli Stati Uniti chiedendone la condanna alle Nazioni Unite) e di migliaia di dimostranti inferociti peraltro facilmente arruolabili con pochi dollari tra i miserabili di cui è pieno l’Afghanistan.

Paradossale innanzitutto perché gli statunitensi hanno deciso di distruggere quelle copie utilizzate dai carcerati per scambiarsi messaggi e informazioni. Possibile che tra le centinaia di ufficiali statunitensi esperti di comunicazione presenti in Afghanistan nessuno abbia pensato di presentare la vicenda definendo quelle copie del Corano “profanate” dai terroristi che le utilizzavano per i loro messaggi? Possibile che nella base ultra-protetta di Bagram all’interno della quale c’è il super carcere più blindato dell’Afghanistan nessuno si sia reso conto che le copie del Corano da bruciare dovevano essere affidate a personale statunitense e non ai manovali afghani che nelle basi alleate svolgono i lavori più umili? Sono stati loro a diffondere la notizia che gli americani bruciano il Corano che ha scatenato l’inferno. Ingenuità, disattenzione ma anche nessuna ricerca di strategie comunicative alternative alle solite banali scuse di Obama al presidente afghano Hamid Karzai.

Per la prima volta poi le reazioni alle violenze e alle vittime statunitensi, soprattutto i due consiglieri militari uccisi al ministero degli interni di Kabul da un talebano infiltratosi nei ranghi dell’intelligence  governativa, sono state ben diverse dal passato.  Non è certo la prima volta che l’emergere di comportamenti non molto “politically correct” da parte dei soldati statunitensi scatena sommosse popolari mentre talebani infiltrati hanno ucciso negli ultimi tre anni almeno una sessantina di istruttori, consiglieri e militari alleati. Certo il fenomeno sembra assumere una piega sempre più grave e dall’inizio dell’anno ben 10 dei 58 caduti alleati sono stati uccisi da militari governativi afghani. Questa volta, invece dei soliti appelli a non cedere e a continuare ad appoggiare la transizione afghana tutti i principali Paesi tra i 50 che schierano truppe in Afghanistan hanno ritirato gli ufficiali assegnati ai ministeri e ai comandi di Kabul.

Una misura annunciata ma che rientra in una tendenza che sta consolidandosi. La vicenda del Corano sembra infatti costituire per gli alleati un buon pretesto per isolare il governo di Hamid Karzai e accelerare il processo di sganciamento dall’Afghanistan in anticipo rispetto alla fine del 2014 stabilita ufficialmente dalla Nato. “Gli americani comprendono, a certi livelli, che gli afghani si sentono offesi dal rogo del Corano. Non comprendono però perché gli Stati Uniti dovrebbero continuare a inviare consiglieri e istruttori in un Paese in cui vengono presi di mira proprio dalle stesse persone che addestrano o consigliano'', ha affermato al Wall Street Journal Andrew Exum, un esperto del Center For a New American Security. Il numero delle truppe americane in Afghanistan dovrebbe calare da 100 mila a circa 68 mila entro l'estate, mentre tutte le truppe da combattimento Nato dovrebbero essere ritirate entro il 2014 ma ''se la fiducia, l'abilità e la volontà di cooperare vengono meno, il gioco è finito'' ha dichiarato Mark Jacobson che fino all'anno scorso era uno dei più alti funzionari civili della Nato a Kabul.

''Nell'amministrazione Obama c'è una forte sensazione che gli afghani non abbiano fatto abbastanza per soffocare la violenza'', ha detto alla Cnn un alto funzionario americano che ha chiesto l’anonimato. Dichiarazioni che confermano la voglia di “exit strategy” che si respira a Washington dove, dopo aver abbandonato l’Iraq, un Obama impegnato a farsi rieleggere a novembre potrebbe accelerare anche l’abbandono di Kabul. Un’ipotesi rafforzata da molti indizi. Il mese scorso il segretario alla Difesa, Leon Panetta, annunciò (mettendo in imbarazzo la Nato) che le truppe americane cesseranno le attività  di combattimento l’anno prossimo. Nel 2013 se ne andranno in anticipo anche i soldati francesi e forse quelli tedeschi che, approfittando dei disordini in corso nel nord, hanno abbandonato un’importante base strategica a Taloqan, 70 chilometri da Kunduz.

Cambiamenti radicali in vista anche per i consiglieri militari, i “mentor” che finora hanno affiancato i reparti di esercito e polizia afghani in addestramento e in  battaglia ma che da quest’anno si limiteranno  a fornire assistenza “a tavolino” alle forze di Kabul. Il motivo? Ufficialmente gli afghani ce la fanno da soli ad affrontare i talebani anche se  report dei reparti di primi linea smentiscono questo ottimismo di facciata.

L’obiettivo è in realtà ridurre i rischi, le perdite (che tra gli alleati nel 2011 sono per la prima volta calate rispetto all’anno precedente dopo nove anni di costanti aumenti)  e i costi finanziari. A questo proposito il generale Daniel Bolger, che guida la missione addestrativa della Nato ha reso noto che Washington intende ridurre nel 2015 le forze di sicurezza afghane dagli attuali 352 mila uomini a 230 mila per ridurne i costi di gestione dagli 11 miliardi di dollari dell’anno scorso ai 4 miliardi nel 2015. Per ora è una proposta ma è probabile che diventi legge dal momento che sono gli americani a pagare la gran parte dei costi delle forze armate e di polizia afghane e per far capire l’aria che tira nel 2013 il Pentagono prevede di stanziare per questo scopo solo 5,7 miliardi.

Con tanti saluti alla dottrina anti insurrezionale del generale David Petraeus che volle ingrossare le fila dell’esercito afghano per consentire il progressivo ritiro delle truppe alleate. Furibondo il ministro della Difesa afghano, Abdul Rahim Wardak, che ha avvertito che ridurre di un terzo le forze di sicurezza provocherà una catastrofe. "Nessuno oggi può prevedere quale sarà la situazione della sicurezza nel 2014 e una riduzione si deve basare sulle realtà sul terreno altrimenti sarà una catastrofe e si metterà a rischio tutto ciò che abbiamo ottenuto insieme con un così alto prezzo di sangue e di risorse economiche”.

Infiltrate pesantemente dai talebani, prive dei consiglieri occidentali e a ranghi ridotti le forze afghane avranno ben poche chanches di resistere all’offensiva talebana già preannunciata dopo il ritiro delle truppe dalla Nato. Sono in arrivo tempi cupi per un Hamid Karzai sempre più isolato. Alla reciproca diffidenza nei rapporti con Barack Obama si aggiunge la freddezza dei talebani che trattano in Qatar con gli americani ma non con lui. Fattori che potrebbero contribuire ad anticipare il “tutti a casa” degli alleati che lascerebbe l’Afghanistan nel caos. Un Paese forse destinato a tornare a feudalizzarsi sotto il controllo delle diverse etnie e dei numerosi signori della guerra e forse a restare un campo di battaglia nel quale si confronteranno anche le potenze asiatiche a partire dal Pakistan (appoggiato dai cinesi) a sostegno dei talebani e dall’India (sostenuta dalla Russia), forse oggi il miglior amico, se non l’unico, di Karzai.