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LA STORIA

La nascita della vocazione di Padre Vincent

Padre Vincent Nagle è ora un prete missionario della fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo, ma la nascita della sua vocazione è tutt'altro che semplice. La sua storia parla del fascino irresistibile del cristianesimo, anche con alle spalle una famiglia difficile e un'educazione confusa.

Articoli tematici 28_03_2013
Padre Vincent Nagle

“Sono un cane, perché non so organizzare la mia vita, ma così Dio mi ha salvato”. Questa è la sintesi finale di Padre Vincent Nagle, che mi ha appena raccontato la storia della sua vocazione sacerdotale. Effettivamente si è dimenticato di aver dato appuntamento ad un’altra persona nello stesso orario della nostra intervista, ma poco importa. Guadagniamo una simpatica spettatrice, a quanto pare abituata alla disorganizzazione dichiarata di Padre Vincent. Fa sorridere, ma ha perfettamente ragione, perché Dio ci vuole così come siamo e con la nostra umanità, se glielo permettiamo, ci porta sulla strada che ha preparato per noi. Una famiglia difficile, un’educazione confusa e l’irresistibile fascino del sesso femminile, mescolate a una buona dose di distrazione, non hanno impedito a Padre Vincent di riconoscere l’unica cosa che conta: la Presenza di Cristo.

Originario di San Francisco, come tradisce l’accento californiano, e ora prete missionario della Fraternità Sacerdotale San Carlo Borromeo con alle spalle una lunga permanenza a Gerusalemme, Padre Vincent è nato nel 1958 da genitori newyorkesi, molto diversi tra loro. Papà operaio, irlandese e cattolico, sindacalista e militante del partito democratico, che veniva da una famiglia molto unita.  Mamma ebrea, figlia di una delle stelle più luminose di Broadway, vissuta per diversi anni in orfanotrofio a causa delle vicissitudini familiari, e che non aveva idea di come fare la mamma. Nonostante ciò desiderava molto una famiglia ed ebbe 8 figli, a cui però faticava ad affezionarsi e proprio per questo disagio, all'ottava gravidanza cercò per due volte di suicidarsi.

Nel 1964 arrivarono gli hippie – ricorda Padre Vincent – secondo i quali non eravamo liberi perché era la società a corromperci. Mia madre vide negli hippie una possibilità per sé e portò la famiglia a vivere nella foresta”. Scelta che contribuì alle difficoltà nel rapporto con il marito, che era deluso dalla fede e dal rapporto con la moglie.
Nella famiglia i tentativi di ricerca religiosa sono molteplici. “Mia sorella si convertì al buddismo e mi coinvolgeva nelle sue meditazioni. Io le volevo bene perché mi aveva fatto da mamma e quindi la seguivo. Poi un'altra mia sorella si è convertita al mormonismo e mi ha fatto fare tutta la catechesi dei mormoni. Anche questa volta l'ho fatto per lei” - prosegue Padre Vincent - “Mia mamma è diventata seguace del trascendentalismo, che gradualmente si è trasformato nella New Age, a cui sono stato educato. Mi trovavo in una situazione che era l'epicentro di fenomeni che poi hanno colpito anche l'occidente e ci sentivamo in mano il destino dell'uomo. Però mi stonava la modalità di vita che respiravo, fatta di sesso, droga e rock'n'roll. I miei fratelli si drogavano, ma mi facevano paura. Dentro di me sapevo che doveva esserci un modo più bello di amare”.

A 16 anni Vincent viene invitato al campeggio diocesano con il gruppo dei giovani cattolici, esperienza fondamentale per il suo incontro con il cristianesimo. “Il prete fondatore di questo campeggio mi ha molto impressionato e vedevo tantissime persone che vivevano la loro vita bene grazie all'incontro con lui e all'educazione umana da lui proposta. Pensavo che vivere la vocazione così fosse bello, ma la mia fede allora era solo embrionale”. Nel frattempo Vincent incontra una ragazza, Chantal, di cui è molto innamorato e che diventa la sua fidanzata, ma il ricordo del prete al campeggio e della bellezza della sua vocazione riemergono, fino a fargli rompere con lei intorno ai 20 anni. “Dopo alcuni mesi lei mi ha convinto a tornare insieme – spiega Padre Vincent – ma io comunque continuavo ad avere il tarlo della vocazione sacerdotale, anche se ci tenevo moltissimo a lei. Dovevamo sposarci, ma dopo l'università lei mi ha lasciato”. Vincent decide quindi di partire e va a lavorare come insegnante di inglese prima in Marocco e poi in Arabia Saudita, dove vive intensi momenti di preghiera, ma anche di tormento, rassicurato da due eventi molto speciali. “Mentre mi trovavo in Marocco, Dio mi ha dato un ricordo di quando avevo meno di due anni. Ero in braccio a mia madre, cosa abbastanza rara per lei, strillavo e mia mamma stava in piedi di notte per cullarmi avanti e indietro. Ogni passo che faceva sembrava farla morire. Ho pensato: cosa ho mai fatto per meritare che mia mamma muoia per me? Non lo posso meritare, ho solo bisogno. Avevo bisogno di un amore che sapevo di non meritare”. “In Arabia Saudita” continua “ero stato colto da un momento di disperazione, in seguito al quale sono svenuto sul pavimento. Una donna da dietro mi ha raccolto, mi ha preso sul grembo e cullato. Era la Madre del Signore”.

Padre Vincent, decide di farsi cristiano in una calda serata marocchina, “prima ero praticante” dice “ma non avevo deciso”. “Stavo tornando a casa per le vie strette nel villaggio dove vivevo. Molte persone erano ammassate davanti alla porta di una casa, dove madre e figlia stavano litigando picchiandosi. Io le guardavo e mi sono sorpreso ad essere pieno di invidia. Pensavo: questa gente quando è arrabbiata è arrabbiata, quando è felice è felice. Loro vivono la loro vita, ma io? Io vivo un progetto per fare della mia vita quello che dovrebbe essere, ma la mia vita non la sto vivendo. Quando nella mia vita ho potuto vivere? E così ho ripensato al campeggio, dove ero più libero perché non ero preoccupato di cosa fare, ma mi preoccupava a cosa guardare. Non ero chiuso su me stesso, come mi facevano fare le altre strade che mi avevano proposto mia mamma e le mie sorelle, dove si trattava solo di fare un lavoro su si sé. In quel momento ho deciso di farmi cristiano. Quando ho letto i Vangeli per la prima volta ero stupito di quanto poche fossero le parole di Gesù, che quando parla non dice le cose da fare, ma parla di sé. Non era un programma spirituale da eseguire che ci presentava, ma era sé stesso”

Dopo l'esperienza in Arabia Saudita, Vincent torna in California e inizia a studiare teologia, anche se l’idea della vocazione sacerdotale non riesce ancora a superare il fascino femminile. “La mia fede era cresciuta tantissimo e da qualche parte era rientrato il pensiero del sacerdozio, anche se io lo tenevo a distanza. Ho iniziato a studiare teologia, quasi negoziando con Dio: avrei insegnato la fede da laico e sarei stato buono, non occorreva che mi facessi prete”. Un giorno un frate, che studiava con lui teologia, scuote il suo tentennamento e quando alla domanda vuoi fare il prete, si sente dare risposte vaghe, dice con decisione: “Non funziona così: se tu vuoi fare il prete, devi chiedere a Dio di farti prete”. “Lui aveva ragione – riconosce Padre Vincent – ma io ero lontanissimo dall'avere il coraggio di dire così perché avevo paura del celibato. Così ho iniziato a pregare Dio di darmi il coraggio di poter domandare il coraggio di domandare che Lui mi facesse prete. Dopo sei mesi mi sono ritrovato a pregare Dio: fammi prete, anche se non con entusiasmo e così ho domandato un incontro che mi desse vigore”.

Un amico, Paul, lo invita alla scuola di comunità di Comunione e Liberazione, che era agli inizi negli Stati Uniti. Padre Vincent non aveva mai voglia di andarci, le serate al cinema erano più attraenti, ma alla fine ci andò dopo due mesi di inviti. “Ho conosciuto degli italiani del Movimento di Comunione e Liberazione e in loro vedevo persone cattoliche che non erano arrabbiate, come invece ero io che volevo affermare la verità e cambiare la chiesa. Loro avevano capito che Cristo è presente e la sua presenza è così umanamente evidente, che nessuno ce la può rubare”.
Così Vincent, nel 1987 a 29 anni, decide di venire a Milano per incontrare Don Giussani, dopo aver visitato dei seminari che voleva valutare per la sua vocazione. Complice una completa disorganizzazione del viaggio, distrazioni e autobus persi, la tappa milanese viene anticipata e Don Giussani propone a Vincent di valutare il seminario della Fraternità San Carlo Borromeo, che era presieduto da Don Massimo Camisasca.

Da qui inizia la seconda avventura di Padre Vincent, dopo la prima meta della scoperta della forma della sua vocazione e con un epilogo pieno della tenerezza di Cristo. “Dopo un anno che ero in seminario, Don Massimo è venuto negli Stati Uniti per conoscere la mia famiglia. Alcuni mesi dopo mia mamma mi ha chiesto di presentarle il prete della zona e ha deciso di battezzarsi, fare la comunione e la cresima. Io non osavo chiedere niente, ma finalmente quando ci siamo parlati lei mi ha detto: quando Don Massimo è stato qua, ho visto quanto la Chiesa ti vuole bene e anche io voglio poterti amare così. Questo episodio di mia mamma fa vedere che una persona cede al cristianesimo perché ha bisogno. Ciò che ha cambiato me non è stato che difendevo la verità della chiesa, ma vedere una Presenza. Non è un progetto, ma Gesù che mi invita in una compagnia”.