La morte di Davide, quando la stampa preme il grilletto
Il giornalismo, nel raccontare i tragici fatti di Napoli dove il sedicenne Davide è morto coipito da un colpo di pistola sparato da un carabiniere, ancora una volta ha mostrato il suo volto peggiore. È corso dietro ai manifestanti, ha esasperato gli animi per ragioni di audience, dando voce a delinquenti e facinorosi.
La morte di un ragazzo di sedici anni è sempre una tragedia. Lo è ancor più se ad ucciderlo è la fatalità, in questo caso un colpo di pistola partito, a quanto pare accidentalmente, dalla pistola di ordinanza di un carabiniere inciampato durante un inseguimento. Il rione Traiano di Napoli è in subbuglio da giorni. La calma apparente di una delle principali piazze partenopee dello spaccio di droga è stata rotta dalla prematura scomparsa di Davide Bifolco, giovane di 16 anni al quale una pattuglia dei carabinieri aveva intimato di fermarsi per un controllo. Davide era in moto senza casco, senza assicurazione e senza patente, quindi non in regola. Con lui a bordo c'era un ragazzo che aveva già precedenti per furto e, a quanto pare, un ventitreenne latitante, evaso alcuni mesi fa dagli arresti domiciliari. I tre hanno forzato il posto di blocco e sono fuggiti a bordo della moto. Nella fase concitata dell'inseguimento qualcosa è andato storto. Il latitante è riuscito a fuggire e gli altri due, tra cui Davide, sono stati braccati dai carabinieri. Un uomo in divisa ha sparato e asserisce di averlo fatto accidentalmente.
Il sedicenne Davide è morto durante il trasporto in ospedale. La famiglia Bifolco ritiene che il carabiniere abbia sparato con consapevolezza alla schiena di Davide per ucciderlo e non crede alla tesi del colpo partito accidentalmente. Nel quartiere Traiano si è scatenata una massiccia protesta contro le forze dell'ordine con centinaia di persone in piazza che urlavano slogan a effetto tra i quali "Lo Stato non ci difende", "Carabinieri assassini". A dare manforte ai manifestanti, molti dei quali amici di Davide, anche ragazzi dei centri sociali e ultras che, in segno di sfida allo Stato, hanno poi proseguito la manifestazione in moto senza casco, lanciando lacrimogeni contro alcune camionette della polizia che erano accorse sul posto per evitare che la protesta degenerasse. La famiglia della vittima ha scelto come avvocato lo stesso della famiglia Cucchi, il che lascia presagire un estenuante braccio di ferro con l'Arma dei carabinieri. D'altronde, le prime parole pronunciate dalla mamma di Davide lasciano intendere le bellicose intenzioni della famiglia: «Non si commettano altre violenze in nome di Davide, ma il carabiniere che ha sparato deve marcire in carcere». Difficile non prevedere che qualche "testa calda" del rione Traiano cercherà di vendicare l'assassinio di Davide colpendo in qualche modo l'Arma dei carabinieri.
E il giornalismo, nel raccontare i tragici fatti di Napoli, ancora una volta ha mostrato il suo volto peggiore, quello deontologicamente meno edificante. È corso dietro ai manifestanti, ha cercato di esasperare gli animi per becere ragioni di audience, dando voce a delinquenti e facinorosi chiaramente non in grado di raccontare in modo obiettivo e distaccato lo svolgimento dei fatti. Nessuno degli intervistati durante i telegiornali ha sottolineato che i tre inseguiti dai carabinieri non si erano fermati a un posto di blocco, erano fuori dalla legge (senza casco, senza assicurazione e in tre su una moto) e uno di loro era latitante. Commenti a senso unico, ricostruzioni dietrologiche per insinuare il sospetto che il carabiniere abbia sparato per leggerezza o addirittura con dolo. Ora per il trentaduenne carabiniere autore (involontario?) dell'omicidio comincia un'odissea. Verrà crocifisso e messo sul banco degli imputati.
La famiglia di Davide ha il diritto di conoscere la verità dei fatti, ma non può sottacere la cornice di illegalità entro la quale si muoveva il figlio nei minuti concitati della sua tragica fine. Pare che le forze dell'ordine da tempo si sono dimenticate del rione Traiano, che somiglia a una "terra di nessuno", dominata da gente che in molti casi non fa nulla, vive di espedienti e al di fuori del più elementare rispetto delle regole. L'umana "pietas" nei confronti di una vita spezzata in modo traumatico non può legittimare istinti di vendetta indiscriminati verso chi difende ogni giorno la sicurezza dei cittadini. Le frasi pronunciate da molti intervistati nelle ore immediatamente successive ai fatti sono agghiaccianti e le emittenti radiotelevisive non avrebbero dovuto mandarle in onda in maniera così acritica e senza un minimo di contraddittorio. A parte qualche riferimento al comunicato ufficiale dei carabinieri, nessuna voce ha bilanciato, in molti resoconti giornalistici, gli strali indecenti e indecorosi che sono partiti all'indirizzo delle forze dell'ordine.
Sono tantissimi i cittadini che, pur colpiti dalla tragica morte di Davide, difendono i carabinieri e biasimano il comportamento di chi fomenta proteste nei loro confronti. Fermarsi all'alt dei carabinieri è un obbligo e se i tre si fossero fermati Davide non sarebbe morto. Questo basta a scagionare chi ha premuto, sia pure accidentalmente o incautamente, il grilletto. Fra qualche giorno, dopo i funerali di Davide, calerà nuovamente il silenzio sul rione Traiano di Napoli. Chi ci vive ha interesse a non alzare i toni dello scontro, anche per paura che qualcuno si interessi davvero a quanto accade quotidianamente lì. Forse gli stessi giornalisti che si sono occupati dei tragici fatti di questi giorni dovrebbero accendere i riflettori dei media anche sul degrado di quel quartiere, ricettacolo di malviventi, spacciatori, persone che in molti casi vivono nella sistematica violazione e nel disprezzo delle regole e che oggi vorrebbero rendere la vita impossibile a chi, pur sbagliando, ha fatto il suo dovere di servitore dello Stato e garante della legge.
Deontologia giornalistica vuol dire anche questo: rispetto della verità dei fatti, equilibrio espositivo, completezza e continuità dell'informazione. I cittadini hanno il diritto di ricevere notizie attendibili e ponderate e i giornalisti non devono supinamente adagiarsi, né diventare megafoni acritici dell'anti-Stato.