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IL PARADISO RITROVATO/ 1

La morte di Beatrice e l'ultima cantica della Commedia

L’8 giugno del 1290 moriva Beatrice, Bice di Folco Portinari. Non aveva ancora compiuto venticinque anni, era di pochi mesi più giovane di Dante. La sua morte improvvisa lasciò un segno indelebile nel poeta fiorentino: probabile, infatti, che in questo tempo concepì la stesura del Paradiso, ultima cantica della Commedia.

Cultura 24_05_2015
Dante Alighieri

L’8 giugno del 1290 moriva Beatrice, Bice di Folco Portinari. Non aveva ancora compiuto venticinque anni, era di pochi mesi più giovane di Dante. La sua morte improvvisa lasciò un segno indelebile nel poeta fiorentino che, entrato in una crisi esistenziale e spirituale, avrebbe negli anni successivi seguito corsi di filosofia dai domenicani di Santa Maria Novella e dai francescani di Santa Croce. Questi anni di studio e di ripensamento avrebbero portato Dante a comporre la Vita Nova tra il 1292 e il 1294, una sorta di romanzo dove l’anima si confessa e rilegge la propria storia proprio a partire dal primo incontro con quella donna a nove anni. 

L’opera, pur se apprezzabile esito giovanile di un Dante non ancora trentenne che si era tra l’altro cimentato finora solo in rime, non deve aver pienamente soddisfatto il Fiorentino, se nell’ultimo capitolo della Vita Nova, il quarantaduesimo, il poeta promette di non scrivere più per quella donna finché non abbia raggiunto la capacità di comporre versi così belli che nessuno ha mai composto per il proprio amore: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus» (Vita nova, XLII).

Siamo solo nel 1294, probabilmente dieci anni prima dell’inizio della stesura dell’Inferno, ma Dante ha –così almeno io credo- già concepito il progetto della Commedia. Non solo. Con tono profetico il Fiorentino scrive che, quando concluderà quel testo, potrà finalmente morire e andare in Cielo e rivedere Beatrice che è dinanzi a Dio. Beatrice non è protagonista dell’Inferno ove compare solo nel canto II come una delle tre donne benedette che nel Cielo si sono mosse per salvare Dante. In particolare, la donna è scesa nel Limbo da Virgilio per chiedergli di andare in soccorso al poeta che si è perso nella selva oscura. Da quel canto Beatrice esce di scena per comparire di nuovo nell’Eden nel canto XXX del Purgatorio ove Dante la incontra di nuovo, ma, invece di essere abbracciato da lei, viene sferzato con parole amare che lo inducono a pentirsi per il proprio comportamento precedente. Solo nel Paradiso, però, Beatrice diventa vera protagonista dell’opera, guida di Dante verso il Cielo. 

Quando nella Vita nova Dante profetizza che la sua morte avverrà solo una volta conclusa l’opera scritta in onore di Beatrice, non sta probabilmente pensando soltanto alla Commedia in generale, ma più in particolare all’ultima cantica. Il destino ha voluto che il Fiorentino morisse subito dopo aver terminato il sommo capolavoro a cui hanno posto mano Cielo e Terra. Era la notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, quando il poeta era di ritorno da un’ambasciata per conto di Guido Novello da Polenta a Venezia. Le capacità oratorie di Dante e la sua esperienza avrebbero dovuto scongiurare la guerra con Venezia, alleata di Forlì e Rimini. In effetti la guerra non sarebbe scoppiata. Dante, invece,  contrasse la febbre malarica che lo portò alla morte.

E il Paradiso era conosciuto e pubblicato? Scrive Marco Santagata, autore di una recente biografia sul Sommo poeta, che Dante «sicuramente non lo aveva ancora divulgato prima della metà del 1320, anche perché a quella data la cantica doveva essere ancora incompiuta». Boccaccio addirittura racconta nel Trattatello in laude di Dante che gli ultimi tredici canti del Paradiso vennero invano cercati per tanti mesi. Solo grazie ad un sogno un figlio di Dante, Jacopo, li avrebbe ritrovati in una «finestretta» scavata nella camera da letto otto mesi dopo la morte del padre. Se queste informazioni corrispondano a realtà o a leggenda probabilmente non lo sapremo mai. Certamente, nell’aprile del 1322 Jacopo invia a Guido Novello, il signore di Ravenna, che dava ospitalità a Dante, una Divisione che è una prolusione alla lettura della Commedia e un sonetto. Ne ricaviamo che anche l’ultima cantica, che non era ancora stata divulgata, era invece già stata letta da Guido Novello.