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EDITORIALE

La Mogherini in Europa ci costerà cara

Ormai pare fatta: il ministro Mogherini verrà nominata Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea. Ma la  contropartita per il "contentino" all'Italia sarà l'imposizione di nuove politiche di rigore per l'economia italiana, come diversi segnali lasciano intendere.

Editoriali 28_08_2014
Matteo Renzi

Quando il governo Berlusconi, nel novembre 2011, rassegnò le dimissioni, ma già durante il suo ultimo anno di vita, qualcuno sostenne che a far vacillare quell'esecutivo fosse anche il suo scarso prestigio europeo. Arrivò Monti, espressione dei poteri (forti?) finanziari internazionali, che impose agli italiani manovre "lacrime e sangue", giustificandole col fatto che ce le chiedeva l'Europa. Dopo 14 mesi di governo tecnico, spending review e sacrifici chiesti soprattutto al ceto medio, quell'esecutivo si dimostrò incapace di restituire all'Italia la credibilità perduta di fronte a francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli e chi più ne ha più ne metta.

Le elezioni politiche del 2013 non decretarono vincitori e così Enrico Letta si impose come candidato di mediazione per un governo di emergenza che si facesse rispettare anche in Europa. E si sa come è andata a finire. L'esecutivo guidato dall'allora vicesegretario del Pd fu impallinato proprio dal partito di maggioranza relativa e da Renzi, dopo aver, tra le altre cose, dimostrato un'arrendevolezza e un immobilismo disarmanti, all'interno e anche a Bruxelles.

Ora la storia sembra ripetersi per l'ennesima volta. Renzi alza la voce e mostra i muscoli, quasi irride gli altri governi e dispensa frasi a effetto del tipo: "«Nessuno può darci lezioni in Europa», «Siamo noi ad aiutare l'Europa, non il contrario».

Ma siamo proprio sicuri che quest'atteggiamento di sfida, almeno apparente, sia la strada giusta da seguire nei confronti degli alleati europei? È indispettendoli che li si induce a più miti consigli?

L'ultima puntata in ordine di tempo nella telenovela dei rapporti tra Renzi e i partners europei potrebbe consumarsi nelle prossime ore e riguarda le nomine. Pare che Federica Mogherini, ministro degli Esteri, possa spuntarla a Bruxelles ed essere nominata Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea. Alcuni leader europei hanno già esternato il loro malumore rispetto a quest'ipotesi, lamentando la scarsa esperienza internazionale della candidata italiana e la sua linea non abbastanza dura nei confronti di Mosca. Renzi ha sbattuto i pugni sul tavolo per ottenere il lasciapassare dei suoi colleghi europei alla candidatura della sua fedelissima.

Ma al di là della comprensibile propaganda renziana, che certamente esalterà, sabato prossimo, quella nomina come un importante successo italiano, siamo proprio sicuri che per l'Italia si tratti di una vittoria? Non sarà l'ennesimo contentino concesso dall'Europa a Renzi prima di imporgli tutta una serie di vincoli destinati a tradursi in nuove misure draconiane sul versante economico?

Basta giudicare i fatti per alimentare tale sospetto funesto per il nostro Paese. Il semestre italiano di presidenza europeo si è aperto il primo luglio con roboanti aspettative. Eppure nessuna iniziativa italiana degna di nota è stata sin qui assunta sul coordinamento delle politiche fiscali e sulla governance europea, al di là dei proclami bellicosi di Palazzo Chigi di mettere la crescita al centro delle scelte strategiche italiane ed europee. L'austerità in economia continua ad essere la cifra dominante nelle economie dei singoli Stati e a prevalere sulla flessibilità. Su quest'ultima l'Italia non ha per ora ottenuto alcuna concessione, alcuna apertura. Francia e Spagna hanno rinviato la scadenza del raggiungimento del 3% (rapporto deficit/pil), mentre il premier italiano, nonostante i segnali di recessione, continua a sostenere che l'Italia riuscirà a rispettare già quest'anno i paletti fissati dal fiscal compact.

Eppure lo spread, vero spauracchio dell'ultimo governo Berlusconi, oggi è ai minimi storici, segno che i mercati, nonostante la mancanza di riforme strutturali e di segnali di concreto sviluppo, stanno dando una certa fiducia all'Italia.

Perché non capitalizzare questa fiducia in altro modo anziché continuare nell'appiattimento sulla linea tedesca del rigore? Renzi potrebbe esercitare il suo protagonismo operativo tentando di spingere l'Europa nella direzione della crescita, del potenziamento del budget federale, del rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo e della semplificazione di regole e istituzioni per iniettare nuova democraticità nei processi decisionali del Vecchio Continente, ancora troppo oligarchici. Ci riuscirà?Almeno ci proverà? Glielo consentiranno i partners europei oppure, da sabato in poi, dopo la probabile nomina della Mogherini, gli daranno altri compiti da fare a casa?