Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

ISIS

La Mogherini non vuol vedere lo scontro di civiltà

Se il buongiorno si vede dal mattino: Federica Mogherini, appena diventata titolare della politica estera europea, nega che in Iraq si stia combattendo uno scontro di civiltà o una guerra di religione. Ah no? Lo Stato Islamico impone la sua versione totalitaria dell'islam sunnita, sterminando minoranze etniche e religiose.

Esteri 03_09_2014
Federica Mogherini

Federica Mogherini inaugura il suo nuovo incarico ai vertice della politica estera dell’Unione europea con un discorso programmatico che ha rispettato pienamente i canoni del politically correct, vera e propria religione negli ambienti politici occidentali.

Parlando del conflitto iracheno, in cui l’Europa ricopre un ruolo a dir poco irrilevante, la Mogherini ha esortato a “evitare la narrativa dello scontro di civiltà e di religione" perché "fa comodo allo Stato Islamico ma non a noi".

Sarà forse vero che agli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi preme sottolineare la loro superiorità morale nell’imporre il vero islam sunnita ma siamo certi che rifiutarci ancora una volta di guardare in faccia la realtà faccia bene alla nostra causa (ammesso che ne abbiamo ancora una)?

Che il conflitto in Iraq e Siria sia una guerra di religione è dimostrato dai fatti. Come abbiamo scritto recentemente sulla NBQ lo Stato Islamico ha catalizzato intorno a sé solo sunniti di Iraq e Siria oltre a migliaia di volontari, esclusivamente sunniti, provenienti da tutto il mondo. La guerra in atto è dichiaratamente tesa o cacciare e sterminare sciiti e alawiti siriani (sciiti anch’essi) oltre al le minoranze quali cristiani, yazidi, turcomanni (che sono sciiti) e persino i curdi che pur essendo sunniti sono sempre stati refrattari al richiamo dell’estremismo islamista.

Lo sterminio degli sciiti e delle minoranze in atto oggi rappresenta il coronamento degli obiettivi posti da Osama bin Laden e perseguiti in Iraq da Musayb al-Zarqawi, storico leader di al-Qaeda in Mesopotamia. A conferma che la guerra è di religione la Mogherini potrà notare che in prima linea contro i miliziani dell’IS combattono quasi esclusivamente forze sciite (curdi a parte): l’esercito di Baghdad, quello di Damasco, le milizie volontarie arruolate nel sud Iraq, i miliziani libanesi Hezbollah e diverse unità dell’esercito iraniano e dei pasdaran. In pratica tutta “l’internazionale sciita”.

Certo nella variegata coalizione che Washington cerca di costituire contro lo Stato Islamico si trovano anche Paesi sunniti come il laico Egitto guidato dai militari, ma attenzione a non prendere abbagli. La Turchia e le monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa, lo Stato Islamico lo hanno cresciuto e foraggiato perché combattesse i governi sciiti di Siria e Iraq. Dopo averlo cresciuto però gli è sfuggito di mano e oggi Abu Bakr al-Baghdadi non riconosce le monarchie regnanti su gas e petrolio della Penisola Arabica minacciandone la legittimità in nome di Allah.

E lo fa con successo se è vero quanto riporta un sondaggio realizzato in Arabia Saudita secondo cui il 92% degli intervistati ritiene che l’IS rispetti i dettami dell’islam e della sharia. Si tratta solo di uno dei tanti segnali che indicano come lo Stato Islamico sia ben visto dall’opinione pubblica sunnita di molte monarchie del Golfo, guarda caso gli stessi Paesi da cui giungono i finanziamenti ad Abu Bakr al Baghdadi.

In questo contesto l’invito della Mogherini fa sorridere per ingenuità  e approssimazione. Evitare di chiamarla “guerra di religione” consentirà agli europei di non schierarsi continuando a perseguire la “politica dello struzzo” ma non renderà meno grave il problema ne limiterà lo spargimento di sangue o i rischi di allargamento del conflitto e quelli terroristici a casa nostra.

Rinunciare inoltre alla “narrativa del conflitto di civiltà” risulterà forse in linea con un’Europa ormai distaccata dalla sua storia, al punto da non riconoscerne le radici cristiane, ma è un errore strategico di grande rilevanza. Un’Europa che non riconosce il valore della civiltà a cui fa riferimento e non si mobilita contro l’inciviltà dello Stato Islamico non è solo codarda ma è Eurabia. L’ossessione di non offendere l’islam ha ormai offuscato tutte le leadership europee al punto da non accorgersi che l’islam è un problema per il mondo intero inclusi gran parte dei Paesi musulmani?

La guerra allo Stato Islamico, ammesso che l’Europa e l’Occidente abbiano gli attributi per combatterla, deve essere per forza di cose uno scontro di civiltà, anzi uno scontro tra civiltà e inciviltà. Non si tratta di tracciare supremazie determinate da religione o colore della pelle, la differenza tra culture e civiltà si misura dai diritti che vengono garantiti o negati alle persone.

Quello con l’IS non può non essere anche uno “scontro di civiltà” quando un rapporto di Amnesty International denuncia una “pulizia etnica di dimensioni storiche” con uccisioni sommarie e rapimenti di massa contro appartenenti a minoranze etniche e religiose dimostrati da "raccapriccianti testimonianze di sopravvissuti ai massacri”.

Possibile che neppure il rapimento di migliaia di donne e bambini da vendere al “mercato degli schiavi” di Mosul induca la Mogherini e l’Europa a definire scontro di civiltà quello con l’IS?  C’è ancora qualcuno in Occidente che abbia il coraggio di dichiarare guerra alla barbarie in nome della civiltà?

«Nella sua brutale campagna per eliminare ogni traccia di popolazioni non arabe e non sunnite, lo Stato islamico sta portando avanti crimini orribili e ha trasformato le terre coltivate di Sinjar in campi della morte che grondano sangue» sottolinea il rapporto di Amnesty.

Persino l’Onu non ha esitato ad accusare gli uomini di al-Baghdadi di crimini quali stupri di massa, conversioni forzate, massacri di donne e bambini, decapitazioni di prigionieri, torture a chi non accetta di convertirsi all’Islam. Per non parlare dei reiterati massacri di civili sciti compiuti da anni dai kamikaze spesso reclutati tra bambini e persino disabili. E noi dovremmo evitare “la narrativa dello scontro di civiltà”?

Al contrario sostenere che lo scontro è di civiltà dovrebbe essere per noi un punto d’orgoglio e di forza,  necessario quanto meno per dare una risposta alla domanda: per cosa combattiamo?  Ammesso ovviamente che ci sia qualcuno in Europa pronto a fare davvero la guerra allo Stato Islamico. Dopo tante chiacchiere non sono ancora partite neppure le armi per i curdi e l’impressione è che alla fine gli unici cittadini con passaporto europeo partiti per quella guerra saranno quelli che hanno ingrossato le fila dell’IS. Quelli alla loro “civiltà” credono fortemente.