«La misericordia ci salva dal potere totalitario»
All’udienza generale in Piazza San Pietro Francesco, proseguendo le catechesi sulla misericordia nella Sacra Scrittura, ha affrontato il tema “Misericordia e potere”. La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità.
All'udienza generale del 24 febbraio 2016, papa Francesco ha proseguito il suo ciclo sulla misericordia, affrontando il problema del rapporto tra misericordia e potere. Il potere non è di per sé un male, ma quando diventa assoluto e totalitario si trasforma in oppressione. La parola profetica della Scrittura denuncia i potenti malvagi, ma mostra pure che Dio non vuole la loro perdizione: li raggiunge con la sua misericordia e li invita a convertirsi.
La Bibbia, ha ricordato il Papa, parla spesso dei ricchi e dei potenti, «e anche della loro arroganza e dei loro soprusi». Questo significa che ricchezza e potere sono necessariamente realtà diaboliche? No, ha spiegato il Pontefice. «La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità». Il problema sorge «quando, come troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza»: allora «si trasformano in strumenti di corruzione e morte». Un esempio è offerto dall'episodio della vigna di Nabot, descritto nel Primo Libro dei Re, al capitolo 21, che Francesco ha commentato.
Acab, re d'Israele, vuole comprare la vigna di un certo Nabot, che confina con il palazzo reale. «La proposta sembra legittima, persino generosa, ma in Israele le proprietà terriere erano considerate quasi inalienabili». Per esempio, il libro del Levitico prescrive: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti». «La terra - spiega il Papa - è sacra, perché è un dono del Signore, che come tale va custodito e conservato, in quanto segno della benedizione divina che passa di generazione in generazione e garanzia di dignità per tutti». Diventa allora comprensibile la risposta negativa di Nabot al re: «Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri».
Il re Acab a questo punto si arrabbia. «Si sente offeso - lui è il re, il potente -, sminuito nella sua autoritàdi sovrano, e frustrato nella possibilità di soddisfare il suo desiderio di possesso». Acab è sposato con Gezabele, una regina pagana che ha perseguitato e fatto uccidere i profeti del Signore. Così Gezabele si rivolge al marito: «Tu eserciti così la potestà regale su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreel». Questa bella donna - «non era brutta, era cattiva», commenta il Papa - «pone l’accento sul prestigio e sul potere del re, che, secondo il suo modo di vedere, viene messo in discussione dal rifiuto di Nabot. Un potere che lei invece considera assoluto, e per il quale ogni desiderio del re potente diventa un ordine».
Due diverse concezioni del potere si affrontano, come mostra sant'Ambrogio nel suo opuscolo dedicato appunto al caso di Nabot. E anche Gesù allude allo stesso problema quando ammonisce: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27). «Se si perde la dimensione del servizio, il potere si trasforma in arroganza e diventa dominio e sopraffazione». Gezabele incarna questa concezione totalitaria del potere. Vuole mantenere un'apparenza di legalità e non confisca semplicemente la vigna di Nabot.
Recluta falsi testimoni che accusano Nabot di avere maledetto Dio e il re, un crimine per cui il proprietario della vigna è condannato a morte. «Così, morto Nabot, il re può impadronirsi della sua vigna». «E questa», spiega Francesco, «non è una storia di altri tempi, è anche storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente. È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più!» Ecco - aggiunge il Papa richiamando ancora l'opuscolo di sant'Ambrogio su Nabot - «dove porta l’esercizio di un’autorità senza rispetto per la vita, senza giustizia, senza misericordia. Ed ecco a cosa porta la sete di potere: diventa cupidigia che vuole possedere tutto».
Né il brano su Nabot è l'unico dell'Antico Testamento che denuncia la cupidigia. Così il professa Isaia apostrofa i ricchi: «Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nel paese» (Is 5,8). «E il profeta Isaia - chiosa il Papa - non era comunista!». Però gli episodi biblici non finiscono con la semplice denuncia. «Dio è più grande della malvagità e dei giochi sporchi fatti dagli esseri umani». Tramite il profeta Elia, Dio con la sua misericordia raggiunge anche il re Acab, che pure si è reso colpevole di un grave crimine. Dio «bussa anche al cuore di Acab e il re, messo davanti al suo peccato, capisce, si umilia e chiede perdono». «Che bello sarebbe se i potenti sfruttatori di oggi facessero lo stesso!».
Acab si pente e Il Signore «accetta il suo pentimento; tuttavia, un innocente è stato ucciso, e la colpa commessa avrà inevitabili conseguenze. Il male compiuto infatti lascia le sue tracce dolorose, e la storia degli uomini ne porta le ferite». In ogni caso, «la misericordia mostra anche in questo caso la via maestra che deve essere perseguita. La misericordia può guarire le ferite e può cambiare la storia». Ecco dunque l'appello dell'Anno Santo. «Apri il tuo cuore alla misericordia! La misericordia divina è più forte del peccato degli uomini. È più forte, questo è l’esempio di Acab!». Nel Giubileo noi «celebriamo il Figlio di Dio che si è fatto uomo per distruggere il male con il suo perdono. Gesù Cristo è il vero re, ma il suo potere è completamente diverso. Il suo trono è la croce. Lui non è un re che uccide, ma al contrario dà la vita. Il suo andare verso tutti, soprattutto i più deboli, sconfigge la solitudine e il destino di morte a cui conduce il peccato. Gesù Cristo con la sua vicinanza e tenerezza porta i peccatori nello spazio della grazia e del perdono. E questa è la misericordia di Dio».