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AMBIENTE

La minaccia del Vesuvio trattata come i Maya

Dopo le catastrofi che hanno interessato L’Aquila e l’Abruzzo e quest’anno l’Emilia Romagna la minaccia del Vesuvio incombe sulla popolazione. Eppure la prevenzione (e l'informazione della gente) sembra davvero un miraggio.

Articoli tematici 16_01_2013
Vesuvio

"La nube (...) a forma di pino, si sollevava alta nel cielo e si dilatava come emettendo rami". Così Plinio descrive l’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.c. distrusse Ercolano e Pompei.
A distanza di quasi duemila anni, il vulcano, che non è mai stato quiescente, continua a incutere timore.
La provincia napoletana, per densità della popolazione – circa 2.600 ab/kmq – è la prima in Italia e tra le prime in Europa ed è questo è il dato che allarma di più chi ha il compito di proteggere la popolazione da un’eventuale eruzione vulcanica, da interpretare come possibile, considerata la decisione della Protezione Civile dei giorni scorsi di allargare la cosiddetta “zona rossa”, che ora comprende 24 comuni dell’area vesuviana ed anche tre quartieri di Napoli: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli.

La “zona rossa” viene divisa in due aree: la prima definita ad “elevato rischio vulcanico”, esposta al rischio di invasione di flussi piroclastici (gas e materiale solido a elevata temperatura), la seconda “ad elevato rischio crolli delle coperture degli edifici”.
In caso di eruzione del vulcano, sono considerate a rischio evacuazione 800mila persone, salvo verifiche che saranno svolte nelle prossime settimane. Ma il numero delle persone interessate non può scendere, secondo gli esperti, al di sotto delle 600mila. Da evacuare in tre giorni, si prevede, con tutti i rischi della mancanza o dell’inefficienza delle vie di fuga, in un’area devastata dall’urbanizzazione selvaggia degli ultimi decenni e che ha condizioni della viabilità seriamente compromesse.

Il Presidente della Commissione Grandi Rischi, Mauro Rosi, sostiene che “C’è un grosso elemento d’incertezza per quanto riguarda la possibilità di un’eruzione ed inoltre non possiamo sapere dove si aprirà una bocca eruttiva. Non ci sono dunque buone notizie, ma sarebbe sciocco e irresponsabile far finta che non ci siano. Non vogliamo spaventare nessuno ma è necessario essere consapevoli dei rischi”.
Ammette, quindi, che ci sono dei rischi e se questi esistono occorre intervenire con immediatezza, evitando innanzitutto che si perpetui quel che denuncia il Capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, che dice: “Su questi temi riscontro ancora un’eccessiva insensibilità e una mancanza di consapevolezza. Nella zona dei Campi Flegrei la percentuale di gente che non conosce il rischio su cui, letteralmente, è seduta, raggiunge percentuali tra il 70 e l’80%. Questa insensibilità spesso si traduce in un atteggiamento non adeguato delle istituzioni”.

Tradotto: milioni di persone sono sedute su una polveriera e le istituzioni nulla fanno per informarle adeguatamente di quello che prima o poi avverrà. Perché l’eruzione del Vesuvio avverrà. Qui non si tratta della profezia dei Maya, ma di una realtà scientifica. Dice il vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano, Giuseppe Mastrolorenzo: “Studi sull’attività vulcanica avvenuta in passato, simulazioni numeriche delle possibili eruzioni che potrebbero verificarsi in futuro e ricerche sulla estesa camera magmatica attualmente presente al di sotto dei Campi Flegrei, effettuati da me e da altri colleghi nell’ultimo decennio e pubblicati sulle maggiori riviste internazionali, hanno evidenziato la necessità di un piano di emergenza che, pur annunciato continuamente dalla Protezione civile nazionale, non e’ mai stato realizzato e comunicato ai Comuni a rischio. Secondo i miei studi, sono ben tre milioni i cittadini che dovrebbero essere interessati al piano di evacuazione e non gli 800mila attualmente stimati”.

Se queste affermazioni fossero vere – e non c’è da dubitarne – c’è una sola strada da seguire: informare le popolazioni sui rischi che si paventano. Occorrerebbe un’educazione di massa all’emergenza, come avviene per il pericolo dei terremoti in Giappone, dove ogni anno, il primo settembre - anniversario del Grande Terremoto del Kanto che distrusse Tokyo e Yokohama causando oltre 100mila morti - si svolge una giornata che coinvolge milioni di persone.
E’ chiedere troppo? Non ci sembra, considerando che questi problemi non si possono governare con la logica delle’emergenza e nell’inerzia fino a che non si manifestano.

Alla fine dello scorso mese di ottobre, una scossa di terremoto di magnitudo superiore a 5 fu registrata nella zona del massiccio del Pollino, al confine tra Basilicata e Calabria. Anche in quest’occasione, uno scienziato italiano, il Professor Alessandro Martelli, già direttore dell’Enea di Bologna, avvertì che in base a metodi scientifici sviluppati in Italia dall’Istituto di Fisica Teorica di Trieste e dall’Università di Trieste – con i quali si analizza il territorio suddiviso in tre zone sismiche, il nord, il centro e il sud – la situazione sismologica del sud è allarmante. Il rischio riguarderebbe le regioni che vanno dalla Campania in giù.
Centri di calcolo di altri paesi, in particolare l’Accademia russa delle Scienze e l’International Centre for Theoretical Physics, concentrano il rischio – che sarebbe molto alto e riguarderebbe l’arco temporale dei prossimi due anni – in Calabria e in Sicilia.

“Qualcuno – disse Martelli – ci accusa di allarmismo, ma il nostro unico obiettivo è quello di aiutare la popolazione e cercare di dare un contributo per migliorare questo Paese, che rimane al momento incosciente di fronte a fatti concreti e poi piange per mesi quando arriva una catastrofe. Le istituzioni devono muoversi dalla loro inerzia in termini di Protezione Civile e va verificata una ricognizione strategica in termini di sicurezza ambientale, e fare una corretta campagna di informazione per la gente”.

Dopo le catastrofi che hanno interessato L’Aquila e l’Abruzzo e quest’anno l’Emilia Romagna – e quel che ne è conseguito in termini di calcolo e previsione del rischio e quindi di prevenzione e allerta - c’è da chiedersi quali attività siano in atto da parte di chi ne la competenza per attenuare le conseguenze se il sisma si verificasse realmente.
E’ stata avviata - sulla base delle informazioni scientifiche disponibili – un’opera seria di studio e di conoscenza? Sono state sensibilizzate le popolazioni interessate? E’ stato realizzato un monitoraggio a tappeto degli edifici a rischio e delle strutture pubbliche di carattere strategico o di quelle siglate RIR, ovvero a Rischio Incidente Rilevante?

L’alternativa, sia nel caso del Vesuvio sia nel caso del terremoto che potrebbe interessare l’Italia Meridionale, è sperare che le catastrofi non si realizzino. Ma di sola speranza si può anche morire.