L'EDITORIALE
La mancanza di memoria condivisa
Ricordiamo le foibe e discutiamo di Risorgimento e unità d'Italia. Quale contributo possono dare i cattolici per una memoria veramente condivisa del nostro passato?
Editoriali
10_02_2011
Il primo piano di oggi è dedicato a una testimonianza sulle vittime delle foibe e sull’esodo giuliano-dalmata, nella Giornata del Ricordo a loro dedicata. Le foibe rappresentano uno degli episodi dolorosi e tragici sui quali per lunghi anni è stato difficile, anzi impossibile, una memoria condivisa da parte degli italiani.
Su questo, come su altri comprovati e indubitabili avvenimenti storici – si pensi ad esempio alle vittime dei partigiani rossi nell’immediato dopoguerra, molte delle quali erano incolpevoli sacerdoti – noi italiani siamo ancora divisi, anche a motivo delle immancabili strumentalizzazione politiche, purtroppo sempre presenti ed equamente distribuite tra le forze in campo. Lo stesso è accaduto e accade, oggi fortunatamente in tono minore a motivo del tempo passato, per il Risorgimento e l’unità d’Italia.
Ci si divide sull’opportunità del giorno di festa una tantum il 17 marzo, ma sotto sotto c’è chi prova allergia per l’evento stesso, per ragioni politiche legate a rivendicazioni autonomistiche o in considerazione delle ferite provocate dal processo risorgimentale, che sembrano rimanere ancora aperte. Comunque la si pensi, il dato che emerge, a differenza di altri Paesi del mondo che pure hanno attraversato nel loro passato recente fasi a dir poco turbolente, è proprio la mancanza di una memoria realmente condivisa.
Memoria condivisa, sarà meglio precisarlo, non significa mettere tutti e tutto sullo stesso piano, senza le necessarie distinzioni, senza la chiarezza di un giudizio storico e morale. Significa invece guardare al passato senza il velo del pregiudizio, delle leggende nere o rosa, senza la retorica tronfia, senza seguire le vulgate create ad arte, deponendo gli schemi e pregiudizi ideologici almeno di fronte ai morti.
Significa innanzitutto continuare a studiare il nostro passato senza usare la storia come una clava da sbattere sulla testa dell’avversario politico. Significa non avere paura della verità, qualunque essa sia. Aprendo le celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sottolineato la necessità di ricordare la nascita dell’Italia senza indulgere ad «una visione acritica del Risorgimento, ad una rappresentazione idilliaca», ma sollecitando che come «giusto» un approccio «non sterilmente recriminatorio e sostanzialmente distruttivo, un approccio che ponga in piena luce il decisivo avanzamento storico consentito all’Italia dalla nascita dello stato nazionale».
È possibile individuare un compito specifico per i cattolici nel processo per giungere a una memoria veramente condivisa? Pensiamo di sì. Proprio a motivo dello sguardo che il credente ha – o dovrebbe avere – sulla storia e dunque sulle vicende umane. Uno sguardo che privilegia le persone, e non le ideologie di cui queste stesse persone si fanno portatrici.
L’Italia esisteva come popolo e come nazione da molti secoli. Non è un caso nei nostri euro di moneta non si trovino stemmi imperiali o volti di re, ma la faccia di Dante e l’immagine dell’uomo vitruviano di Leonardo. Un grande poeta e un grande scienziato-artista. L’Italia, come lingua, cultura e valori, innervati nella comune appartenenza cristiana, esisteva già al loro tempo, e dunque ben prima di Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele.
Ma c’è stato un momento, negli ultimi centocinquant’anni di storia unitaria (sarebbe sciocco oltre che anacronistico dimenticare che l’unità d’Italia è un bene), in cui le tre anime del Paese – una elitaria, quella liberal-azionista, le altre due veramente popolari, quella cattolica e quella social-comunista – si sono finalmente ritrovate insieme nel costruire la carta fondamentale e condivisa della nostra Costituzione.
Allora, nell’Italia ridotta in macerie, fu possibile riconoscersi e riconoscere i valori dell’altro trovando un comune denominatore. Oggi servirebbe almeno un po’ di quello spirito, per guardare alla nostra storia, per pacificare gli animi, per costruire una memoria condivisa. E magari per tornare a vivere una politica che assomigli di più a un confronto dialettico tra posizioni diverse, ma che si legittimano a vicenda, e non a un reality show dove sembra vincere chi la spara più grossa, mentre continuano a perdere tutti gli italiani.