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LEGALITA'

La mafia si espande nel silenzio di tutti

Una relazione presenta i numeri in crescita della malavita e racconta di una zona grigia di professionisti rassegnati che "sopportano".

Attualità 16_02_2012
Mafia

S’intitola “Proposta di Relazione sulla prima fase dei lavori della Commissione con particolare riguardo al condizionamento delle mafie sull’economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno”. E’ un testo - a firma del Presidente della Commissione Permanente Antimafia, approvato il 26 gennaio scorso - rispetto al quale l’informazione, stampata e televisiva, ha dedicato spazi risibili. Nessuna inchiesta. Nessun dibattito. Eppure, contiene un’analisi agghiacciante della realtà italiana, condizionata in maniera strutturale dalla presenza mafiosa, concentrata nelle regioni d’”origine” – Sicilia, Calabria, Campania e Puglia – ma in grado di espandersi nel centro-nord, in vaste aree del Lazio, dell'Emilia Romagna, della Lombardia, della Liguria, del Piemonte, della Val d'Aosta e del Trentino Alto Adige.

Un fenomeno - afferma la relazione - non recente “perché da almeno 40 anni le mafie hanno risalito la penisola ed hanno esteso via via i loro tentacoli in altri paesi europei e nel resto del mondo”.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, l'attività mafiosa nelle quattro regioni di origine è causa di un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del PIL delle stesse regioni, nelle quali gli investimenti e le speculazioni mafiose giungono in ogni settore di attività e si confondono sempre più con l'economia legale. La ricchezza mafiosa viene raccolta attraverso il racket, l'usura, la droga, il gioco illegale e legale, la contraffazione, i traffici di esseri umani, armi e rifiuti e poco si sa su come “viene occultata e investita nell'economia legale e nei circuiti finanziari nazionali ed internazionali”.

Il 53% dei referenti del sistema Confindustria del Mezzogiorno reputa la propria area territoriale molto insicura e il 42% attribuisce questa insicurezza alla criminalità organizzata e alla illegalità diffusa. Circa un terzo delle imprese meridionali subisce una qualche influenza delle mafie, con dati che oscillano tra il 53% della Calabria e il 18% della Puglia.

“Ciò che più sgomenta - si legge nella relazione - è l'enorme impronta che le attività mafiose, la dilagante corruzione, il deterioramento dell'etica pubblica e della stessa morale privata continuano a scavare nella società civile e nelle istituzioni del Mezzogiorno. E non di meno sgomentano i troppi silenzi e la diffusa indifferenza di fronte a questi fatti. Se si prospetta una manovra finanziaria biennale di circa 38 miliardi, l'opinione pubblica entra in fibrillazione. Ma se si afferma che solo sui giochi e le scommesse le organizzazioni criminali lucrano almeno 50 miliardi all'anno, pochi se ne curano! Specialmente a livello comunale e regionale, come abbiamo riscontrato, l'intreccio tra mafie, affari e politica sta diventando sempre più solido, invasivo e comunque capace di piegare, tutti insieme, regole democratiche, apparati pubblici e iniziativa privata”.

In base a stime della Guardia di Finanza del 2009, l’ammontare del riciclaggio è pari a 160 miliardi all’anno. Un dato, questo, che concorre - per la Commissione - a “riconsiderare il trinomio mafia-affari-politica come l'espressione di un vero e proprio ‘sistema criminale’; un sistema che va oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamandosi con la vita ordinaria dell'economia, della società e delle istituzioni”.

Rispetto al problema principale del Sud - un meridionale su due che non ha un'occupazione e non la cerca regolarmente - sono le mafie a raccogliere l'offerta di lavoro irregolare, “avvalendosi”, dice la Relazione, “della loro influenza economica, sociale e politica; o peggio ancora fornendo l’alternativa di una vera e propria occupazione criminale”.

Risultanze delle indagini e attività processuali, dimostrano - a parere della Commissione - che il condizionamento della Pubblica Amministrazione si esercita principalmente sugli appalti pubblici, sui finanziamenti comunitari, sullo smaltimento dei rifiuti e, con particolare insistenza, sul settore sanitario, dove si concentra gran parte della spesa pubblica in capo alle Regioni. Nel 2010 il presidente della Corte dei Conti ha stimato in 60 miliardi di euro il costo della corruzione e nel 2011 ha calcolato un incremento del 30%.

La Relazione afferma che “una quota non insignificante di popolazione meridionale partecipa in forme diverse alle attività criminali”, ma il dato più inquietante è costituito da quella “zona grigia”, di cui fanno parte “persone generalmente insospettabili e dotate di competenze imprenditoriali, finanziarie, giuridiche, istituzionali e politiche che, nel loro insieme, costituiscono il filtro indispensabile per far passare enormi capitali dall'economia criminale all'economia legale”.
Sono i dati che inducono a fare quest’affermazione: nel 2010, sono state segnalate alla Guardia di Finanza e alla D.I.A. 26.947 operazioni sospette, delle quali ben 4.700 sono poi confluite in procedimenti penali per riciclaggio, usura, estorsione, abusivismo finanziario, frode fiscale. Però quasi tutte le segnalazioni sono arrivate dal sistema bancario, mentre da operatori non finanziari e liberi professionisti ne sono arrivate solo 223.  

“Non si sono mai visti - conclude la Relazione - tanti interessi criminali scaricarsi pesantemente, senza neanche il velo della mediazione, sugli enti locali, sulle istituzioni regionali e sulla rappresentanza parlamentare. Gli organi di informazione, le indagini della magistratura, i primi controlli sulla formazione delle liste ci hanno dato in questo senso conferme inequivocabili”.
Questo, in sintesi, il quadro descritto e documentato. Verità relative ad un fenomeno in espansione, che inquina interi territori, avvolgendoli e seppellendoli nell’illegalità e impedendo pesantemente le possibilità di crescita e di sviluppo. Quel che più dà da pensare è il fatto che di fronte alla drammaticità di questa situazione - che ancora una volta dimostra quanto la crisi del nostro Paese sia etica più che economica - non si contrappone l’azione consapevole della politica e della classe dirigente. Magari si è in grado di reprimere, di ottenere successi sporadici ed anche importanti, ma si è del tutto privi di una visione, di una strategia che consenta d’intervenire in maniera strutturale per recidere i legami tra criminalità e fette importanti e significative della società civile. Se un Paese non è in grado di far questo, è un Paese già morto.