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PALERMO

La Madonna s'inchina ancora, ora chi lo dice al vescovo?

Dopo tutto quello che è successo poche settimane fa, ancora una volta, in una processione, i fedeli hanno costretto la Beata Vergine a “inchinarsi” davanti alla casa di un boss mafioso. E' successo a Palermo, alla processione per la Madonna del Carmine. Nuove polemiche dentro e fuori la Chiesa.

Ecclesia 30_07_2014
La processione di Palermo

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi se c’è ancora speranza per il popolo cristiano della Sicilia o se hanno ragione quelli che lo danno per perduto. Perché sbagliare è da cristiani, ma perseverare nell’errore è da diavoli impenitenti. Eppure, alle disgrazie non c’è mai fine. Dopo tutto quello che è successo poche settimane fa, ancora una volta, in una processione, i fedeli hanno costretto la Beata Vergine a “inchinarsi” davanti alla casa di un boss mafioso. Anzi, stavolta nei vicoli del quartiere Ballarò di Palermo, l’inchino è stato ancora, se possibile, più umiliante e grottesco: non davanti a una casa ma a un’agenzia di pompe funebri. Onoranze fuori ordinanza: ma domenica scorsa è andata ancora così: la processione della Madonna del Carmine ha fatto tappa a un’agenzia di pompe funebri gestita dal capomafia Alessandro D’Ambrogio, uno dei nuovi capi più temuti di Cosa Nostra palermitana. Il tipo non ha più domicilio a Palermo perché è rinchiuso mille chilometri più a Nord, nel carcere di Novara, accusato di guidare la mafia di Palermo, e di aver diretto estorsioni a tappeto e traffici di droga milionari. Ma a presidiare la premiata ditta ha lasciato i fratelli. 

Nell’agenzia funebre, il D’Ambrogio, organizzava i summit con i suoi fedelissimi, non sapendo di venire ripresi dalla telecamera che i carabinieri del nucleo investigativo avevano nascosto tra bare e corone. Ma per i picciotti, l’agenzia era una sorta di santuario mafioso, la plastica testimonianza di come Cosa Nostra era in grado di sopravvivere e governare il territorio nonostante la raffica di arresti e di processi. Due anni fa, era stato il boss in persona a portare orgoglioso la vara di questa Madonna con la casacca della Confraternita. Ma quest’anno non lo poteva fare, al gabbio gli toccava saltare un giro. Eppure, devono aver pensato i suoi devoti, se il capo non  può andare in processione, sarà la Madonna ad andare da lui. E questo hanno fatto, preparando in gran segreto la fermata obbligatoria davanti all’agenzia, a due passi dall’atrio della facoltà di Giurisprudenza dove sono in mostra le gigantografie  dei giudici Falcone e Borsellino il giorno della loro laurea.

Come da copione (mafioso) la “dinamica” dei fatti è la fotocopia dei precedenti “inchini” calabresi. Riportiamo l’informatissima cronaca che ne ha fatto Repubblica: «Un uomo di mezza età, con la casacca della Confraternita di Maria Santissima del Monte Carmelo, urla: “Fermatevi”». E così avviene: la processione con la Madonna del Carmine si blocca, mentre la banda continua a suonare. La vara tutta dorata di Maria Immacolata sosta davanti all’agenzia di pompe funebri della famiglia del capomafia. La Vergine ci rimane in attesa per ben cinque minuti, il tempo necessario perché i tre fratelli del padrino, in rispettosa attesa davanti all’agenzia, facciano salire sulla statua due bambini della famiglia. Insomma, primo l’inchino e poi bimbi a bordo, come succede con quei trenini che fanno fare ai più piccoli il giro del quartiere. A questo punto, però, una domanda è d’obbligo: i preti c’erano alla processione di Ballarò? E se c’erano perché non sono intervenuti a impedire l’inchino blasfemo? E i carabinieri? Che ha fatto la Benemerita, non ha seguito l’esempio del maresciallo di Oppido Mamertina?

«È stata una fermata anomala», confessa ai giornalisti fra’ Vincenzo, rettore della chiesa del Carmine Maggiore. Poi però ammette: «Anche quest’anno è accaduto», quasi a smentire che in quello stop di anomalo c’era ben poco. Ma il meglio viene adesso: «Io ero avanti, stavo recitando il santo rosario. A un certo punto mi sono ritrovato solo. Ho capito, sono tornato indietro di corsa, e ho visto la statua della Madonna ferma. Qualcuno stava passando un bambino ai confrati, per fargli baciare la Vergine. Cosa dovevo fare? Era pur sempre un atto di devozione quello. Qualche attimo dopo, la campanella è suonata e la processione è andata avanti». Beh, una ricostruzione davvero comica nella sua stupefacente assurdità, con il povero frate che si ritrova lì davanti con le mani giunte e gli occhi al cielo a biascicare avemarie e gloria al padre in splendida solitudine, mentre il corteo con la statua della Vergine va da un’altra parte, a rendere omaggio al negozio delle bare.

Adesso, fra’ Vincenzo ricostruisce frastornato i giorni precedenti la processione, nel tentativo di attenuare almeno un poco la bufera che certamente lo investirà: «Avevo cercato di esprimere concetti chiari durante la preparazione del triduo della Madonna, richiamando tutti al senso di questa processione così importante. Ho detto certe cose nel modo più gentile possibile, per evitare reazioni, ma le ho dette. Ma è accaduto ancora. Cosa bisogna fare?». Il frate non si dà pace. «Cosa bisogna fare?», ripete sconsolato. Già, che deve fare il povero frate con gente simile, con questi parrocchiani double-face e tre volte volte vigliacchi, pronti a scantonare  mentre lui gli volta le spalle per recitare il rosario? Pensare che solo qualche mese fa, era scoppiato lo scandalo della Confraternita delle Anime Sante: un mafioso era addirittura il superiore della compagnia e ogni anno toccava a lui organizzare la processione del Venerdì Santo. La Confraternita è stata sciolta dalla Curia dopo che il capoclan è stato arrestato mentre era sul punto di fare un attentato. Più che delle Anime Sante, la Confraternita era rifugio dei mammasantissima. 

E allora torna pressante la domanda del frate: «che cosa fare?». Come possono sacerdoti e religiosi siciliani opporsi efficacemente a queste “infiltrazioni” criminali nei riti della tradizione popolare, come isolare i mafiosi che inquinano e sottomettono anche la fede cristiana ai loro loschi traffici e che certo non si fermano davanti a scomuniche e denunce? Parole e moniti non bastano più: loro si fanno beffe di tutti gli appelli alla conversione lanciati dalla Chiesa italiana in queste settimane, dal Papa in giù. É’ vero, da qualche tempo, la Curia palermitana si sta muovendo in modo deciso sono stati chiesti gli elenchi dei componenti delle Confraternite, e poi il cardinale ha inviato suoi rappresentanti alle processioni a verificare e impedire variazioni e manipolazioni. Pure domenica pomeriggio, a Ballarò, c’era un ispettore mandato a sorvegliare dal cardinale Paolo Romeo. Pure lui, come fra’ Vincenzo, “isolato” dal corteo a sua insaputa?

L’inchino di Ballarò, nel suo grottesco e tragico replay, conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, una sola cosa: non basta sciogliere le Confraternite colluse, mandare osservatori e legati vescovili e non serve neppure abolire per decreto canonico processioni e funzioni per le vie delle città e dei quartieri ad alta concentrazione mafiosa. Quel che serve, non si stanca mai di ripeterlo Papa Francesco, (https://lanuovabq.it/it/articoli-chiesa-e-mafia-la-chiave-e-la-conversione-9679.htm) è una nuova evangelizzazione, la conversione delle coscienze del popolo cristiano. Uno scatto di Vangelo che arrivi al cuore dei fedeli (e pure dei mafiosi) e non solo grida e regole facilmente eludibili. Come è avvenuto a Ballarò dove il povero frate menava il turibolo e se ne andava per conto suo, mentre il popolo costringeva la Madonna a inchinarsi al boss delle pompe funebri. Quel frate che nel suo autismo religioso assomiglia tanto al soldato giapponese lasciato nella giungla a guardia del bidone: simbolo drammatico dell’isolamento e della solitudine di tanti sacerdoti oggi. Forse, è con loro che la Chiesa italiana deve tornare, con misericordia e verità, a fare i conti.