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TE DEUM

La libertà cristiana contro la schiavitù del tempo

Al Te Deum in San Pietro, papa Francesco ha proposto un esame di coscienza sull'anno trascorso facendo scorrere il tempo nella memoria che diventa richiesta di perdono e insieme gratitudine verso Dio che ci perdona. La denuncia di una società che cedendo alla schiavitù dell'effimero, si perde la «qualità» del tempo e si confonde il bene con il male.

Ecclesia 01_01_2015
Il Papa al Te Deum

Papa Francesco ha concluso l'anno il 31 dicembre con i vespri e il Te Deum in San Pietro, proponendo una nuova meditazione su uno dei temi centrali del suo Magistero: la differenza fra un rapporto malato e uno cristiano con il tempo.

Mentre oggi il tempo è vissuto come una realtà totalmente profana - con gravi problemi quanto alla sua «accelerazione» e alla sensazione di non avere mai tempo - per il cristiano si tratta di una realtà sacra. Il tempo non è estraneo a Dio, che l'ha «toccato» quasi fisicamente entrando nella storia e trasformandola in «tempo salvifico», fino alla «pienezza» rappresentata dall'incarnazione di Gesù Cristo.

Ma il tempo ha pure una dimensione morale. L'esame di coscienza, tanto caro a Papa Francesco che ha invitato tutti a farne uno sull'anno appena trascorso, fa scorrere il tempo nella memoria e diventa richiesta di perdono e insieme gratitudine verso Dio che ci perdona. Il peccato ci ha resi schiavi ma il perdono di Dio ci rende figli. Ritornare al tempo con l'esame di coscienza significa, ha detto il Papa, chiederci se vogliamo essere schiavi o figli. «Esiste sempre nel nostro cammino esistenziale una tendenza a resistere alla liberazione; abbiamo paura della libertà e, paradossalmente, preferiamo più o meno inconsapevolmente la schiavitù. La libertà ci spaventa perché ci pone davanti al tempo e di fronte alla nostra responsabilità di viverlo bene».

Se nel tempo scegliamo di essere schiavi della non-libertà, cioè del peccato, finiamo per diventare schiavi del tempo. È un grande tema della filosofia e della sociologia contemporanee, che ci mostrano un tempo frammentato privo di coerenza e di senso. La schiavitù, spiega il Papa, riduce il «tempo a momento», a un insieme di frammenti slegati che non riusciamo a «vivere pienamente». 

Citando Roberto Benigni, il quale nel suo commento ai Comandamenti aveva affermato che «è più facile tirare fuori gli Israeliti dall'Egitto che l'Egitto dal cuore degli Israeliti», Francesco ha fatto notare che «nel nostro cuore si annida la nostalgia della schiavitù, perché apparentemente più rassicurante, più della libertà, che è molto più rischiosa. Come ci piace essere ingabbiati da tanti fuochi d'artificio, apparentemente belli ma che in realtà durano solo pochi istanti! E questo è il regno, questo è il fascino del momento!». La schiavitù di fronte al frenetico tempo moderno ha questo di paradossale: è volontaria, gli schiavi la invocano, e ne hanno persino nostalgia quando riescono per un momento a sfuggirla.

Il problema è effettivamente morale, nel senso che cedendo alla schiavitù dell'effimero si perde la «qualità» del tempo e si confonde il bene con il male. A Roma, ha detto il Papa con un esempio molto concreto, «senz’altro le gravi vicende di corruzione, emerse di recente , richiedono una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale». La città corrotta - non vale certo solo per Roma - non ha più tempo per i poveri, se non per farne paradossale occasione di manipolazione ideologica o di guadagno. Al contrario, «è necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra Città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli!».

La questione fondamentale è sempre quella del tempo. Quando una società non ha più tempo per i poveri, per i malati, per Dio, allora «quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà e preferisce ‘l'aglio e le cipolle’ della schiavitù, della schiavitù del suo egoismo, della schiavitù della sua pusillanimità e quella società cessa di essere cristiana».

Noi cristiani viviamo già ora nella pienezza del tempo e riconosciamo Gesù come il Signore del tempo. A lui dunque, ha concluso il Papa, dobbiamo «domandare la grazia di poter camminare in libertà per poter riparare i tanti danni fatti e poter difenderci dalla nostalgia della schiavitù».