La lezione della disputa sul Filioque
La questione del Filioque insegna che gli scismi purtroppo difficilmente rientrano, perché la separazione crea una rigidità di atteggiamento. Fondamentale è ragionare e argomentare in modo coerente con le Scritture e la Tradizione. E bisognerebbe evitare facili etichette.
Oltre al tema del Filioque, che abbiamo affrontato negli ultimi articoli, nel “menù” del Concilio di Ferrara-Firenze, in relazione alla riunificazione con i Greci, vi furono anche altri temi cardine, come la questione dell'uso del pane azzimo nella celebrazione dei Divini Misteri, la dottrina sul Purgatorio e, soprattutto, il primato del Vescovo di Roma.
Le discussioni furono ampie e prolungate, ma bisognava arrivare ad una conclusione, per evitare che il Concilio finisse solo in parole. Si cercò perciò di arrivare al dunque, con il vescovo di Nicea, Bessarione (1403-1472), che spingeva per la riunificazione e il metropolita di Efeso, Marco Eugenico (1392-1444), che invece non ne voleva sapere. Alla fine venne comunque preparata una formula d'unione, non senza tensioni e attriti, espressa nella bolla Lætentur cæli (6 luglio 1439).
I Greci partirono per rientrare nelle proprie terre e il Concilio fiorentino continuò per affrontare altri problemi ed estendere la riunificazione ad altre chiese orientali separate. Pochi mesi dopo la Lætentur cæli, il 22 novembre, si giunse infatti ad una formula di unione con gli armeni (bolla Exsultate Deo). Più tempo fu necessario per la riconciliazione con i copti e gli etiopi (4 febbraio 1441 o 1442).
Ma non appena la notizia della bolla firmata il 6 luglio si sparse a Costantinopoli e dintorni, ci fu una sollevazione contro la riunificazione, supportata soprattutto dai monasteri e dall'inesauribile Marco Eugenico, che si era rifiutato di apporre la propria firma alla Lætentur cæli e che ora cercava di radunare le truppe per la resistenza. Resistenza che alla fine ebbe la meglio e condusse ad una nuova lacerazione, che sfociò in un concilio riunito dalla parte greca nel 1472. Gli imperatori cristiani d'Oriente avevano cercato di contenere le spinte centrifughe e di mantenere alla meglio la fragile unificazione ottenuta a Firenze. Ma con la presa di Costantinopoli da parte degli Ottomani, la loro influenza finì e così la parte greca che spingeva per un nuovo scisma ebbe la meglio e ottenne dal sultano Maometto II (1432-1481) di poter avere alla sede patriarcale di Costantinopoli Giorgio Scolario (ca 1405-1472). Scolario fu grande sostenitore della riunificazione durante il Concilio di Firenze, ma, a partire dal 1444, rovesciò completamente la propria posizione, aprì le ostilità con la Chiesa cattolica ed entrò nelle grazie del sultano, che aveva ovviamente tutto l'interesse politico di supportare la divisione tra Greci e Latini.
Cerchiamo di tirare un po' le somme da quanto emerso nella serie di articoli che abbiamo dedicato alla questione del Filioque. La prima e più semplice: gli scismi difficilmente rientrano. Purtroppo. E la ragione non è difficile da comprendere. Non appena ci si pone in una situazione di totale indipendenza, si avverte la necessità di sviluppare un armamentario di argomentazioni che giustifichino la rottura. Argomentazioni che diventano man mano “granitiche”, mentre la parte da cui ci si è distaccati diventa l'emblema dell'eterodossia. Se si prende, appunto, il dibattito sul Filioque, si può vedere come, ad un certo punto, ciò che veniva tollerato (ossia la presenza del Filioque nei Simboli latini) divenne motivo per accusare di eresia. Una prolungata permanenza della separazione crea così una rigidità di atteggiamento per la necessità di difendere non solo la propria posizione, ma soprattutto quella realtà complessa, fatta di fedeli, monasteri, seminari, opere di vario genere, che si è andata costituendo e ha la sua ragion d'essere proprio nella separazione. Le ragioni teologiche non di rado vengono messe a servizio della “ragion di Stato”.
La seconda considerazione riguarda l'atteggiamento argomentativo, talvolta nella linea della disputa, che si è registrato durante il Concilio di Ferrara-Firenze. Da parte latina non si esibì un argomento di pura autorità, ma si sviluppò un'argomentazione ampiamente ancorata negli scritti dei Padri della Chiesa e nel sano ragionamento; si cercò cioè di ragionare, argomentare, confrontarsi. Si tratta di un aspetto fondamentale, oggi purtroppo non sufficientemente utilizzato e valorizzato. Quando si presentano punti controversi, è di fondamentale importanza ragionare e mostrare come una certa posizione risulti ancorata alle fonti della Rivelazione e alle sue autorità interpretative. L'opposizione di argomenti puramente d'autorità non fa altro che acuire la contrapposizione e non permette alla controparte di riconoscere il vero. Ricordiamo che fu proprio questo approccio a far sì che autorevoli rappresentanti della parte greca, come Bessarione, inizialmente ostili all'unione, potessero cambiare la propria posizione. Non basta affermare che una certa posizione è uno sviluppo coerente della dottrina: occorre mostrarlo.
Terza sottolineatura: occorre molta prudenza a brandire, nelle discussioni dottrinali, termini come “innovatori”, “conservatori” et similia, da usare contro le posizioni altrui o per difendere le proprie. È decisamente più fruttuoso e meno indisponente entrare nelle argomentazioni, cercando di trovare gli elementi comuni, senza per questo nascondersi quelli di contesa. Si è infatti visto come la parte greca, in particolare Marco Eugenico, utilizzasse proprio l'argomento della novitas per squalificare il Filioque. A questa accusa di aver rotto con la Tradizione – che poteva apparire come fondata, dal momento che erano i Latini ad aver aggiunto al Simbolo il Filioque – i padri del Concilio mostrarono pazientemente che quell'aggiunta, che poteva essere interpretata anche in modo eterodosso, era tuttavia comprensibile in un modo del tutto conforme al dogma; ed era appunto questa interpretazione in continuità ad essere difesa dai Latini.
Allorché Benedetto XVI, nell'arcinoto Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, parlò dell'ermeneutica della riforma nella continuità, non inventò nulla di nuovo, ma semplicemente riformulava un principio chiave dello sviluppo dogmatico e della comprensione della fede. Non si tratta di arrampicarsi sugli specchi e tirare in qualche modo un testo per il bavero, per forzarlo in una linea di continuità, ma di comprendere come spesso l'uso di certi termini, apparentemente in discontinuità, possa invece custodire un significato ortodosso.
L’unione ipostatica
Al cuore del mistero dell’Incarnazione c’è l’unione delle due nature, divina e umana, nell’unica persona di Cristo. La dottrina sull’unione ipostatica nei primi concili ecumenici, da Nicea a Efeso, e le eresie confutate.
Gli errori teologici di Marco Eugenico nell’opporsi al Filioque
Dalla lettura dei testi della disputa sul Filioque al Concilio di Ferrara-Firenze, si vede che il metropolita di Efeso, Marco Eugenico, era arroccato su una posizione antifilioquista che di fatto confondeva le persone divine.
Le modifiche al Credo, il nodo del Concilio di Ferrara-Firenze
Uno dei nodi principali discussi da Greci e Latini riguardò la possibilità di aggiungere o togliere qualcosa dal Credo. Marco di Efeso oppose un’obiezione “di forma” al Filioque. Un’obiezione speciosa che non teneva conto dell’aspetto fondamentale: il contenuto della fede.
Il chiarimento sul Filioque al Concilio di Lione II
Al Secondo Concilio di Lione dobbiamo la Constitutio de summa Trinitate che costituisce un vero progresso nella comprensione della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio. I delegati dei Greci recepirono il testo, che però poi nelle chiese e nei monasteri d’Oriente incontrò forti resistenze.
La questione del Filioque nel primo millennio
Prima della polemica foziana, la dottrina legata alla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio e il suo inserimento nel canto del Credo erano realtà sostanzialmente pacifiche. Viaggio nel primo millennio cristiano.
Il Filioque nei Padri orientali
Tra i maestri della fede orientali, particolarmente cari ai Greci, spiccano i tre Padri cappadoci. In loro non si riscontra una posizione esplicitamente filioquista, ma nemmeno c’è incompatibilità tra i loro scritti e la dottrina del Filioque.
Da Atanasio ad Agostino, il Filioque nei Padri
Diversi Padri della Chiesa, venerati sia dai Latini che dai Greci, insistono sul parallelo tra la “derivazione” del Figlio dal Padre e quella dello Spirito dal Figlio. Un’argomentazione decisiva per il Filioque. Sant’Agostino, il più esplicito filioquista.
Il Filioque nelle Sacre Scritture
Secondo gli ortodossi, da Fozio in poi, la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio non troverebbe riscontro nella Bibbia. La dottrina cattolica su Trinità immanente e Trinità economica. E il concetto-chiave (pro Filioque) nei capitoli 14-16 del Vangelo di San Giovanni.
L’argomentazione cattolica sul Filioque
La dottrina sulla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio si è andata precisando nel tempo, raggiungendo la sua maturità in epoca scolastica. Scopriamo gli elementi fondamentali dell’argomentazione cattolica sul Filioque.