La Lega cambia pelle, ma le frizioni covano sotto la cenere
Lo spettacolo uscito dall'assise leghista è quello di una struttura tutt’altro che granitica. La Lega abbandona nel nome il Nord, ma la dialettica tra vecchia e nuova guardia è stata assai aspra e il rischio è che il Nord, deluso in parte dalla gestione salviniana del Carroccio, inizi ad ascoltare altre sirene moderate.
Chi si aspettava che il Congresso della Lega fosse un qualcosa di preconfezionato si è dovuto ricredere. Ieri in un hotel milanese i quadri dirigenti del Carroccio si sono ritrovati per cambiare lo statuto e modificare l’assetto organizzativo del Movimento. L’intento iniziale dei vertici attuali era quello di poter gestire in modo indolore la transizione verso la Nuova Lega per Matteo Salvini premier, superando la storica Lega Nord.
Ma lo spettacolo che è uscito dall'assise leghista è quello di una struttura tutt’altro che granitica. La dialettica tra vecchia e nuova guardia è stata assai aspra. Il Capitano ha dovuto fare i conti con le vecchie volpi, Umberto Bossi in primis. Arrivato in carrozzella, ma carico e motivato più che mai, il Senatùr ha incalzato Matteo Salvini, rifiutando il cambio di pelle da Lega Nord a Lega per Salvini e subordinando questa cessione del vecchio marchio ad una raccolta di firme.
Già Roberto Maroni, vera spina nel fianco di Salvini, aveva rilasciato nei giorni scorsi alcune interviste assai critiche verso questa trasformazione della Lega, definita dall’ex governatore lombardo “leninista” e insensibile alle esigenze del nord.
Dunque il simbolo della Lega Nord non va in soffitta e non si consegna mani e piedi al nuovo corso del Carroccio, ma mantiene una sua identità, sia pure numericamente assai minoritaria. La eccessiva meridionalizzazione della Lega operata da Matteo Salvini è stata letta dalla vecchia guardia come uno snaturamento dell’intuizione federalista originaria. I sostenitori della storica Lega Nord auspicano un ritorno alle origini, con un radicamento forte nei territori del nord, che per primi hanno avviato il disegno autonomista.
Proprio ieri un sondaggio confermava che se si votasse oggi per le elezioni politiche il Carroccio sarebbe saldamente il primo partito, con il 31,5% dei consensi. Dunque le Leghe rimangono due, ma con pesi molto diversi. I numeri, cioè, danno ragione a Salvini, che è riuscito a far diventare la Lega il partito egemone del centrodestra, dopo che per anni era cresciuto all’ombra del dominio berlusconiano.
Al di là delle sigle e della dialettica interna si coglie comunque una linea di continuità nell’evoluzione della Lega. L’anima più legata al passato si è battuta per decenni per il federalismo, ma senza portare a casa veri risultati. Oggi la Lega salviniana e quella dei governatori del nord sostiene il progetto autonomista, che mira a concedere maggiori poteri alle regioni. Peraltro, dopo Lombardia e Veneto, che nell’ottobre 2017 hanno promosso i referendum consultivi sul tema, anche altre regioni hanno abbracciato il disegno autonomista, che è previsto nella Costituzione italiana.
Se andasse in porto l’autonomia differenziata, anche ambiziosi traguardi come le Olimpiadi 2026 diventerebbero più facilmente organizzabili e gestibili ed è per questo che i governatori lombardo e veneto stanno premendo l’acceleratore per far sì che l’attuale esecutivo conduca in porto la riforma dell’autonomia.
Il mese di gennaio sarà comunque decisivo. L’esito delle elezioni regionali del 26 gennaio sarà lo spartiacque della legislatura. Se la Sinistra riuscisse a confermarsi almeno alla guida dell’Emilia Romagna, il quadro politico potrebbe tenere. A maggior ragione se riuscisse a vincere anche in Calabria. Viceversa, se prevalessero la Lega e il centrodestra in entrambe le regioni, si aprirebbero nuovi scenari.
Il governo quasi sicuramente cadrebbe, il Presidente della Repubblica, constatata l’impossibilità di formare nuovi esecutivi, scioglierebbe le Camere e il centrodestra avrebbe concrete possibilità di tornare al governo. Solo in quell’eventualità le due anime della Lega, quella del passato e quella del presente, troverebbero una sintesi e marcerebbero unite verso la riconquista della guida del Paese. Altrimenti il rischio è che il nord, deluso in parte dalla gestione salviniana del Carroccio, inizi ad ascoltare altre sirene moderate.