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PESHAWAR

La Jihad contro i bambini

"Abbiamo scelto il nostro bersaglio con cura". E i Talebani del Pakistan ammazzano a sangue freddo 132 bambini e 9 fra insegnanti e membri del personale di una scuola di Peshawar. Una rappresaglia per le operazioni militari anti-talebane. Ma non solo: è parte di una violenta campagna contro l'educazione all'occidentale.

Esteri 17_12_2014
Peshawar, vittime

I Talebani hanno compiuto ieri la loro strage più sanguinosa ed efferata in Pakistan. Un commando di sette terroristi ha fatto irruzione in una scuola di Peshawar e ha massacrato scientemente 132 bambini e 9 fra insegnanti e dipendenti dell’istituto.

“Abbiamo scelto il nostro bersaglio con cura”, si legge nel comunicato di rivendicazione dell’organizzazione Tarek-i-Taliban Pakistan, il gruppo terrorista che opera nelle regioni tribali al confine con l’Afghanistan. L’attacco era precisamente mirato allo sterminio degli scolari. Il commando suicida-omicida, composto da guerriglieri travestiti da agenti di sorveglianza, è entrato attraverso il cimitero vicino al complesso scolastico, poi ha scalato il muro di cinta della scuola, si è introdotto nell’edificio principale e lì ha dato il via alla mattanza. Secondo le prime ricostruzioni, di testimoni scampati all’eccidio, i sette terroristi hanno fatto incursione, prima di tutto, nell’auditorium della scuola, dove gli studenti stavano facendo pratica di pronto soccorso. In quell’aula si è consumata la prima strage. Poi, i Talebani hanno iniziato a passare al setaccio tutti i corridoi, classe dopo classe, sparando a zero sui bambini per ammazzarne il più possibile.

I particolari della strage, stando ai racconti dei sopravvissuti, sono agghiaccianti e costituiscono una dimostrazione della ferocia con cui è stata condotta l'operazione. Un piccolo sopravvissuto, intervistato dalla Bbc, è per esempio l’unico sopravvissuto di un gruppo di 10 scolari che hanno cercato di correre fuori dalla scuola. I membri del commando sparavano addosso anche a tutti coloro che cercavano di scappare. La figlia di un insegnante, coperta dal sangue dei compagni trucidati, si è finta morta e si è salvata la vita. In una classe, i Talebani hanno cosparso di benzina un professore e gli hanno dato fuoco, bruciandolo vivo. I suoi allievi sono stati obbligati ad assistere al rogo.

Le teste di cuoio pakistane sono intervenute tempestivamente, anche a causa della vicinanza delle basi militari. Ma i terroristi, a questo punto, si sono dispersi e nascosti, disseminando gli stabili di trappole esplosive piazzate nei punti chiave. Tutti i terroristi avevano indosso cinture esplosive, pronti a farsi esplodere assieme ai loro ostaggi. Alla fine, l’operazione è durata nove ore. Solo nel tardo pomeriggio di ieri, le autorità pakistane hanno dichiarato la fine dell’emergenza. Il massacro poteva addirittura essere peggiore. I Talebani, infatti, avevano scorte di cibo e di munizioni per poter sostenere un lungo assedio, tenendo in ostaggio i sopravvissuti.

Perché il bersaglio è stato “scelto con cura”, come si legge nelle terribili parole del portavoce talebano Mohammed Umar Khorasani? Prima di tutto, la scuola presa di mira non è una qualunque: è la Scuola Pubblica Militare di Peshawar, situata vicino alle principali basi militari dell’esercito nella città del Nordovest pakistano. Sono stati colpiti direttamente i familiari dei militari impegnati nella guerriglia contro gli jihadisti. Si tratta di una risposta alle operazioni militari lanciate dall’esercito regolare nelle regioni tribali del Waziristan del Nord e nel passo di Khyber, al confine con l'Afghanistan. Molti dei militari impegnati al fronte hanno perso i loro figli. L’impatto sul morale delle truppe è persino difficile da immaginare. “Abbiamo colpito la scuola perché l'esercito colpisce le nostre famiglie: abbiamo voluto far sentire loro il nostro dolore”, dichiara ancora Khorasani. Sembrerebbe, dunque, una crudele applicazione della legge del taglione, dell’occhio per occhio, dente per dente.

Ma non è solo questo. La scuola di Peshawar è stata “scelta con cura”, anche perché le scuole, l’istruzione in senso lato, sono da sempre un bersaglio privilegiato della guerriglia jihadista talebana. Sono ben 200 le scuole femminili distrutte, da quando i Talebani hanno dichiarato guerra al Pakistan. Un massacro come quello di ieri a Peshawar non si era ancora mai visto, ma le premesse c’erano tutte. Malala Yousafzai, la ragazzina pakistana, coraggiosa blogger che si batte per i diritti allo studio che ha vinto il premio Nobel per la Pace nel 2014, ha rischiato la vita proprio a causa della campagna dei Talebani contro lo studio. Specie se a studiare sono le ragazze. I Talebani le hanno sparato alla testa, mentre andava a scuola, pur non riuscendo ad ucciderla e rendendola, involontariamente, un’icona della resistenza dei giovani contro la ferocia degli jihadisti. Malala, nelle sue denunce pubbliche, parlava chiaramente di uno scenario di terrore diffuso, di intimidazione, di bambine e ragazze costrette a rinunciare alla scuola per paura di attentati. L’attacco di Peshawar costituisce un passo in più in questa escalation. Dall’intimidazione si è passati al massacro indiscriminato. Non è stata colpita una scuola solo femminile, ma mista, uccidendo sia maschi che femmine.

I Talebani non tollerano che le nuove generazioni vengano istruite al di fuori dei loro dettami religiosi. Nella società islamica che i Talebani vogliono creare (realizzata, puntualmente, ovunque prendano il controllo del territorio), solo i maschi possono andare a studiare e anch’essi unicamente nelle loro madrasse, nelle scuole coraniche, dove viene impartito un insegnamento religioso ispirato alla versione più intransigente dell’islam sunnita. E’ vietato lo studio di materie scientifiche o umanistiche di ispirazione non islamica, o di un islam non conforme alla scuola Deobandi, cioè di quella corrente dell’islam che è nata nel XIX Secolo in India per combattere contro l’Impero Britannico e, con esso, contro qualunque influenza occidentale e cristiana. Una bambina che studia è considerata una blasfemia, così come lo è uno scolaro in uniforme verde in stile inglese, come quelli che abbiamo visto terrorizzati e insanguinati, abbattuti a decine nella strage di Peshawar.

La Jihad contro i bambini non è prerogativa dei Talebani pakistani e nemmeno dei loro omologhi e rivali in Afghanistan. Riaffiorano nella memoria collettiva le scene dei bambini russi rapiti e tenuti in ostaggio nella scuola elementare di Beslan, in Ossezia del Nord, ai confini con la Cecenia. Anche in quel caso i terroristi erano estremisti islamici sunniti, wahhabiti di ispirazione saudita, e non si sono fatti scrupolo di usare come scudi umani centinaia di bambini, assassinandone 186 al momento del blitz di liberazione. Succedeva fra il 1 e il 3 settembre 2004. Quel massacro divenne un simbolo della ferocia degli jihadisti, ma era solo un "antipasto". I terroristi ceceni, allora, non miravano direttamente a massacrare i bambini, ma a tenerli in ostaggio per ottenere concessioni politiche. Volevano far leva sull'amore che i russi provano per i loro figli, mirando ad alzare il prezzo nel corso di un negoziato. Quel che abbiamo visto negli anni successivi, soprattutto in Nigeria, ad opera di jihadisti ancor più fanatici, è stato un gradino in più nella scala della violenza terrorista.  

Boko Haram, che vuol dire letteralmente “l’educazione (occidentale) è peccato”, è un movimento sorto in Nigeria nella metà degli anni 2000 proprio prendendo ispirazione dagli “studenti coranici” talebani dell’Afghanistan e del Pakistan. Appena un mese fa, il 10 novembre, un kamikaze di Boko Haram, facendosi esplodere, ha ucciso 46 fra studenti e professori in un liceo di Potiskum, nello stato di Yobe, Nigeria settentrionale. E’ solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi alle scuole. Sempre nello stesso stato, il 25 febbraio scorso, i Boko Haram hanno fatto irruzione nei dormitori del College Federale di Buni Yadi, lanciando granate e sparando raffiche di mitra contro gli studenti che dormivano, ammazzandone 59. Il 29 settembre 2013, nel college dell'università di Gujba, i Boko Haram avevano già ucciso 44 studenti, sempre sorprendendoli nel sonno, nei loro dormitori. Il 6 luglio 2013, Boko Haram ha attaccato la scuola di Mamudo, nello Stato di Yobe, assassinando 42 studenti. Per non parlare, poi, delle 219 studentesse cristiane, rapite a Chibok lo scorso 14 aprile, tuttora nelle mani dei terroristi, probabilmente già vendute come schiave ai loro "mariti" musulmani. "Venderemo le vostre ragazze" prometteva il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ricordando che "non devono studiare". Esattamente lo stesso motivo che spinge i Talebani pakistani ad ammazzare i bambini.

Tornando al Pakistan, appunto, il portavoce Mohammed Umar Khorasani, appena cinque giorni fa, commentando la consegna del premio Nobel per la Pace a Malala Yousafzai, aveva ribadito ancora una volta i suoi principi. A suo dire, il Nobel sarebbe stato assegnato per “promuovere la cultura occidentale, non l’educazione”, “Il padre di Malala, Ziauddin ha fatto un accordo con le potenze occidentali per distruggere i Pashtun (l’etnia dominante fra i Talebani, ndr) e l’intero Pakistan”. “Suo padre sta usando Malala come un soldato contro la società islamica e gli insegnamenti dell’islam”. Parole che non sono solo retorica, risentendole col senno di poi. Il massacro di Peshawar, così come tutti i precedenti in Nigeria, in Afghanistan e nello stesso Pakistan, rispondono esattamente a questa logica: distruggere le scuole per spazzar via ogni influenza occidentale e cristiana, serrarsi in una “beata” società chiusa islamica, priva di ogni influenza esterna, culturale prima ancora che materiale. Il risultato: 132 bambini ammazzati a sangue freddo.