La guerra, sospesa a Gaza, ricomincia in Cisgiordania
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La guerra è sospesa a Gaza, ma rischia di riprendere. Un capo terrorista dato per morto, Hussein Fiad, è infatti ricomparso in video a due passi dal confine israeliano. L'esercito lancia un'operazione su larga scala in Cisgiordania. Scontri anche in Libano
Se nella Striscia di Gaza la tregua per il cessate il fuoco momentaneamente regge, pur legata ad un sottilissimo filo, in Cisgiordania l’esercito israeliano ha lanciato l’operazione Muro di ferro contro la città di Jenin, famosa per il suo campo profughi. Tra i palestinesi c’è paura e preoccupazione e si teme per quanto potrà accadere ancora nella Striscia e in Palestina.
Durerà la tregua del cessate il fuoco? Si arriverà ad una pace stabile e duratura? Sono questi gli interrogativi che si pongono i palestinesi. Ma non solo. Le cancellerie internazionali sono state mobilitate e la diplomazia ha intensificato il suo lavoro per non far riesplodere la guerra. Purtroppo i presupposti ci sono tutti.
Hussein Fiad, uno dei capi di Hamas, che guidava i terroristi a Beit Hanoun, una cittadina situata nella zona settentrionale di Gaza, a soli sei chilometri dall’israeliana Sderot, che l’esercito israeliano aveva dato per morto nel maggio dello scorso anno, è riapparso in un video: barba corta e berretto in testa, attorniato da un gruppo di uomini. Nel suo breve messaggio ha dichiarato che Israele non ha raggiunto i suoi obiettivi nella Striscia e questo significa che ha perso.
Fiad è un simbolo in questa guerra tra Israele e Hamas, in particolare dopo l’assassinio di Yahya Sinwar, ucciso dagli israeliani e considerato il mandante del massacro del 7 ottobre. Il suo ritorno dimostra che tre mesi di intensi bombardamenti lungo il confine non sono stati sufficienti per sconfiggere i terroristi di Hamas, da sempre convinti che per vincere conviene nascondersi non solo nei tunnel, ma anche tra le macerie, rimanendo nascosti in piccoli gruppi, evitando le formazioni di combattenti troppo numerose, nello stile della guerriglia.
Nel frattempo prosegue la marcia degli sfollati verso il nord della Striscia, mentre una compagnia privata di sicurezza statunitense ha ultimato le ispezioni lungo il corridoio Netzarim, prima di assumere l’incarico del controllo della zona. La società impiegherà un centinaio di addetti per garantire la sicurezza del corridoio ed impedire il ritorno di terroristi.
Ma anche al confine con il Libano si sono riaccesi gli scontri. L’esercito israeliano ha annunciato che Hezbollah ha violato la tregua diverse volte, al punto che il governo Netanyahu ha chiesto agli Stati Uniti e ad altre nazioni di rimanere nel Libano meridionale per un periodo più lungo rispetto a quello previsto per il cessate il fuoco che scadrà il prossimo 27 gennaio. Va detto che due militari del’Unifil la forza di osservazione delle Nazioni Unite al confine tra Israele e Libano, sono rimasti coinvolti in un bombardamento israeliano mentre si trovavo in viaggio a bordo di un veicolo.
Ritornando alla Cisgiordania, il ministro degli Esteri del regno hascemita, il giordano Ayman Safadi, parlando a Davos ha detto che è inammissibile che la Cisgiordania possa trasformarsi in una seconda Gaza; va fatto tutto il possibile per impedire un nuovo spargimento di sangue. E che il rischio sia reale lo si deduce dalle dichiarazioni del primo ministro israeliano: «L’operazione Muro di ferro è un’ulteriore azione per il raggiungimento dell’obiettivo che ci siamo prefissati: rafforzare la sicurezza in Giudea e Samaria (così è chiamata la Cisgiordania dagli israeliani, ndr). Stiamo operando – ha detto Netanyahu - contro l'asse iraniano per bloccare l’invio di armi, a Gaza, in Libano, in Siria, nello Yemen e, naturalmente, in Giudea e in Samaria». Herzi Halevi, il capo di Stato maggiore dell’esercito, che ha rassegnato le dimissioni, ha anticipato l’operazione. «Contemporaneamente agli intensi preparativi di difesa nella Striscia di Gaza - ha detto - dobbiamo essere pronti per vitali operazioni in Giudea e Samaria nei prossimi giorni per prevenire e catturare i terroristi prima che raggiungano i nostri cittadini».
A Jenin le ruspe sono entrate in azione ed hanno iniziato ad abbattere abitazioni e a distruggere la maggior parte delle vie di accesso alla città che si trova alle porte di Ramallah. Le pale meccaniche hanno preceduto la lunga colonna di mezzi blindati dell’esercito. Una tra le prime arterie distrutte e resa impraticabile è la strada che porta all’unico ospedale, impedendo così ai cittadini di poter raggiungere la struttura sanitaria. Ma i soldati hanno anche iniziato i rastrellamenti casa per casa, arrestando numerose persone. Il campo profughi è sotto assedio e le persone uccise allungano la lista dei morti. Secondo le autorità amministrative cittadine sarebbero oltre seicento i profughi che hanno abbandonato il campo cercando rifugio in luoghi di fortuna. Il sindaco Muhammad Jarar ha dichiarato che l'esercito israeliano ha dato l’ordine agli abitanti di abbandonare i quartieri di Mahyoub Street e Jabal Abu Dhahir.
Ma anche nel resto della Cisgiordania si stanno vivendo giorni inquietanti. Da Beit Jala ad Aboud, da Ajn Arik a Beit Sahour e a Betlemme gli abitanti vivono nel terrore. Le nuove incursioni dell’esercito israeliano e l’aumento delle restrizioni stanno rendendo la vita sempre più difficile.
Le attività economiche sono azzerate, la disoccupazione è galoppante. Dopo il massacro del 7 ottobre il governo di Netanyahu non ha più concesso ai palestinesi della Cisgiordania, che lavoravano in Israele, il visto per entrare in territorio ebraico, e in quasi 200mila sono rimasti senza lavoro e privi di reddito. Molti disoccupati sono ora disponibili a diventare “manovalanza” delle organizzazioni terroristiche. Ma al di là del confine, le imprese israeliane si sono trovate in grossa difficoltà per carenza di manodopera, rimpiazzata ora da lavoratori indiani. Ne stanno risentendo in particolar modo il settore edile e quello dell’agricoltura.
Anche gli spostamenti da un paese all’altro all’interno della Cisgiordania sono messi a dura prova. Per raggiungere Ramallah da Betlemme, prima si impiegava circa un’ora, oggi ci vuole un’intera giornata. A volte capita di dover dormire in auto, in attesa che riapra il posto di blocco di Qalandia. Durante queste lunghe e snervanti attese, aspettando che i posti di blocco riaprano, si prega, si mangia e si chiacchera per ammazzare il tempo.
Ma isolando i villaggi e impedendo la libera circolazione significa anche ostacolare l’utilizzo delle strutture sanitarie, di raggiungere l’ospedale di Ramallah, uno tra i più attrezzati della Cisgiordania; significa anche impedire ai rifornimenti dei beni di prima necessità di arrivare a destinazione.