La fuga all'estero è soltanto a parole
Secondo il ginecologo abortista Viale un terzo degli aborti praticati in Svizzera sarebbe compiuto su donne italiane, ma i dati dicono ben altro.
Prosegue la campagna abortista; l’ultima iniziativa in ordine di tempo è il recapito di sacchi contenenti scatole di RU 486 al governatore del Piemonte che si era impegnato ad ostacolare la diffusione dell’aborto chimico nella sua regione. Per dare colore a tale iniziativa alcuni Radicali, tra cui il ginecologo Silvio Viale, hanno pensato di recapitare “i doni” travestendosi da Babbi Natale.
Qualcuno obietterà circa l’opportunità di promuovere un “pesticida antiumano”, come lo definì il professor Jerome Lejeune, proprio nel periodo che prepara la nascita di un certo bambino di nome Gesù; magari il mal di pancia accrescerà per l’uso di Babbo Natale, figura ispirata a San Nicola, il vescovo di Myra ricordato per la munificenza nel provvedere personalmente alla dote matrimoniale di fanciulle indigenti, ma che volete, i personaggi si conoscono e sono quello che sono, la sensibilità al sentimento religioso non è il loro forte. Certo che rivendicare come un successo le 1792 confezioni di RU 486 acquistate dalle strutture del Piemonte sulle 6700 di tutta l’Italia la dice lunga della passione che certi personaggi mettono nell’espletare le loro mansioni, evidentemente ci sono proprio portati.
È in questa cornice che il 25 novembre il “Corriere Nazionale”, quotidiano tosco-umbro, a pagina 4 denunciava una vera e propria “fuga all’estero” per abortire da parte delle donne italiane. Nel pezzo, integrato da una intervista all’immancabile Viale, si dice che la Svizzera e la Francia sono «le principali mete del “turismo abortivo” dove una donna su tre è italiana». I motivi della fuga dall’Italia sarebbero i soliti: “privacy, vantaggi economici e attese ridotte al minimo”. Corbezzoli! A leggere queste cifre uno potrebbe immaginarsi lunghe file di donne che dall’italico avido suolo valicano i confini verso gli erbosi pascoli transalpini, dove la fame di diritti riproduttivi è ampiamente saziata.
Leggendo l’intervista al ginecologo radicale ci si può però accorgere che egli dice una cosa un bel po’ diversa, laddove limita al solo Cantone Ticino quel terzo di donne italiane che abortiscono in Svizzera. Ora gli abortisti ci scuseranno se, in un eccesso di zelo, ci siamo permessi di verificare le cifre andando a controllare le fonti ufficiali. Per la Svizzera l’ufficio federale di statistica fornisce la cifra di 11.092 aborti per l’anno 2010, di cui 10.641 effettuati da donne residenti nella confederazione. Poiché qui non serve un matematico del calibro di Oddifreddi, si può facilmente calcolare per sottrazione che le donne non residenti che hanno abortito in Svizzera sono state 451.
Ora, anche se queste fossero tutte donne italiane, si tratterebbe di una percentuale di solo il 4%, che è un po’ più bassa rispetto a quella di un terzo evidenziata nel titolo. I calcoli completi li si può comunque fare per l’anno 2008, anno in cui nel citato Cantone Ticino sono stati eseguiti 682 aborti complessivi; di questi 206 sono riferiti a donne italiane che avevano attraversato la frontiera. In effetti 206 aborti corrisponde ad un terzo degli aborti, ma non della Svizzera, bensì del Cantone Ticino, cosa rilevante forse per i ticinesi, ma assai meno per gli svizzeri per i quali le italiane che vanno lì ad abortire rappresentano meno dell’1,9% di tutti gli aborti, ed ancora meno per gli italiani, per i quali 206 casi costituiscono appena lo 0,17% degli aborti effettuati nel nostro paese. Quanto poi alla Francia, altra nazione citata nell’articolo come meta di turismo abortivo, i numeri sono ancora più chiari. Nel 2007 gli aborti effettuati in Francia sono stati 213.382. Come riporta a pagina 126 la Revue française des affaires sociales del gennaio/marzo 2011, gli aborti effettuati in quel anno da donne straniere sono il 6%; di questi la maggioranza è costituita “essenzialmente da donne africane” (58%), mentre le donne provenienti complessivamente dai paesi dell’Europa dell’ovest costituiscono il 13% di quel 6% di straniere, cioè appena lo 0,78% di tutti gli aborti in Francia. In numeri crudi sono state 1.664 le donne dei paesi dell’Europa occidentale che nell’ultimo anno disponibile hanno abortito sul suolo francese ed è piuttosto difficile sostenere che queste fossero formate esclusivamente da donne italiane.
La fuga dall’Italia per andare ad abortire all’estero pertanto non esiste, ma questo è secondario. Come quel gran laicista di Voltaire insegnava scrivendo all’amico Thiriot il 21 ottobre 1736, “La menzogna è un vizio solo quando fa male. È una grandissima virtù quando fa del bene. Siate dunque più virtuosi che mai. Dovrete mentire come un demonio, non già timidamente, non per un po’, ma con coraggio e sempre. Mentite, amici miei, mentite, un giorno ve lo renderò”. L’articolo è comunque interessante perché in esso lo stesso Viale sembra smentire il pericolo del blocco degli aborti a causa dei troppi medici obiettori denunciato soltanto poche settimane fa dai suoi colleghi aborti-facenti. Per Viale il vero problema non sono i medici obiettori, egli dice infatti che un 30% di ginecologi che praticano gli aborti è un numero sufficiente.
La responsabilità dell’emigrazione abortiva risiederebbe piuttosto nel doversi “sorbire” il colloquio al consultorio e la mancanza della RU 486, il “farmaco miracoloso”, come ebbe a definirlo il suo divulgatore, l’accademico di Francia professor Baulieu. Parlare in questo caso di miracolo parrebbe un po’ eccessivo, ma si deve riconoscere che fare sparire milioni di bambini su scala planetaria è roba che avrebbe fatto impallidire persino Houdini. È singolare come il tentativo di aiutare la donna a non abortire sia percepito sul versante del femminismo abortista come l’istituzione di un intollerabile “tribunale morale”, cosa che evidenzia una volta di più la contraddizione tra la prassi abortista e la tutela della maternità ipocritamente declamata nel titolo della legge italiana. “Di aborto ne ha sempre parlato chi di solito non se ne occupa, io dico che se non ci metti la faccia non capisci”, ha dichiarato molto divertito Silvio Viale. Molto meno divertito ricordo che tante persone ci hanno messo più che la sola faccia, ma la loro intera vita e spesso quella delle loro famiglie, ma l’hanno fatto in un modo opposto al suo: dando una chance ad ogni bambino destinato a nascere.
A quei tanti, generosi, ignoti benefattori che sono le braccia dell’organismo pro-vita, va la nostra ammirazione ed il nostro ringraziamento. Il 14 luglio 1941, in un momento buio della storia dell’umanità, Winston Churchill disse: “fate il vostro peggio, noi faremo il nostro meglio”. Oggi contro la cultura della morte il nostro meglio è difendere la bellezza della vita, contro la menzogna dire solo la verità, all’ignoranza rispondere con la conoscenza, all’abbandono contrapporre la condivisione; questo è il nostro meglio, questo è l’identikit ed il programma del pro-life.