La fondazione di Roma, città del destino
Il 21 aprile si festeggia il natale di Roma, la data in cui, secondo tradizione, Romolo avrebbe tracciato il solco e fondato la città. Roma non è una città come le altre. Come Gerusalemme è una città del destino. "Roma immortale di Martiri e di Santi, Roma immortale accogli i nostri canti: Gloria nei cieli a Dio nostro Signore, Pace ai Fedeli, di Cristo nell'amore" recita l'inno pontificio.
Come tutti sappiamo, il 21 aprile di ogni anno si festeggia il natale di Roma, la data in cui, secondo la tradizione, Romolo avrebbe tracciato il solco e fondato la città. Non perché sono romano, ma parlare di Roma non è come parlare di ogni altra città, in quanto a Roma appartiene un destino speciale, un poco come a Gerusalemme. Sono città del destino, città a cui è stato riservato un fato del tutto singolare. Sarà per questo che grandi imperi, non ultimo quello presente americano, hanno continuato ad ispirarsi alla grandezza di Roma per proiettare il proprio destino imperiale sulla scena mondiale. E non sarà neanche un caso che per delinearne la grandezza, la città di Costantinopoli veniva definita seconda Roma, Mosca come cuore pulsante della Chiesa ortodossa veniva definita terza Roma, mentre Washington, capitale dell’impero americano, è la quarta Roma. Insomma Roma, nata con un atto sacro, il che non va mai dimenticato, è stato sempre il paradigma con cui i grandi imperi si sono giudicati.
E non dimentichiamo che Roma, come detto città sacrale, non ha cessato il suo alto destino con la caduta dell’impero romano, ma esso si è elevato su un piano più alto con il subentrare del Papato e della relgione cattolica che noi appunto definiamo come “apostolica e romana”. Quindi, non ci fu semplicemente sostituzione fra due poteri, ma un superamento su un piano più alto che armonizzava alcuni aspetti (architettonici, culturali, liturgici, etc.) nella nuova condizione.
C’è un interessante testo del Cardinale Alfredo Ottaviani (Luce di Roma cristiana nel diritto. Tipografia Poliglotta Vaticana 1943) che da conto di questa continuità, di come un destino quasi accomunasse la Roma pagana e la Roma cristiana, ovviamente su un piano molto più alto e sublime. Pio XII, in un radiomessaggio del 1941 bene ci descrive questo destino di Roma: “O Roma cristiana, quel sangue è la tua vita: per quel sangue tu sei grande e illumini della tua grandezza anche i ruderi e le rovine della tua grandezza pagana, e purifichi e consacri i codici della sapienza giuridica dei pretori e dei Cesari. Tu sei madre di una giustizia più alta e più umana, che onora te, il tuo seggio e chi ti ascolta. Tu sei faro di civiltà, e la civile Europa e il mondo ti devono quanto di più sacro e di più santo, quanto di più saggio e di più onesto esalta i popoli e fa bella la loro storia. Tu sei madre di carità: i tuoi fasti, i tuoi monumenti, i tuoi ospizi, i tuoi monasteri e i tuoi conventi, i tuoi eroi e le tue eroine, i tuoi araldi e i tuoi missionari, le tue età e i tuoi secoli con le loro scuole e le loro università testimoniano i trionfi della tua carità, che tutto abbraccia, tutto soffre, tutto spera, tutto opera per farsi tutto a tutti, tutti confortare e sollevare, tutti sanare e chiamare alla libertà donata all'uomo da Cristo, e tranquillare tutti in quella pace, che affratella i popoli, e di tutti gli uomini, sotto qualunque cielo, qualunque lingua o costume li distingua, fa una sola famiglia, e del mondo una patria comune”. In un discorso ai fedeli di Roma lo stesso Papa diceva: “L'Urbe, su cui ogni età ha impresso l'orma di gloriose attuazioni, divenute poi eredità delle genti, riceva da questo secolo, dagli uomini che oggi la popolano, l'aureola di promotrice della salvezza comune in un tempo in cui contrastanti forze si contendono il mondo. Tanto sperano da lei i popoli cristiani, e soprattutto aspettano azione!”.
Nel testo dell’inno pontificio preparato da Monsignor Antonio Allegra veniva cantato: “Roma immortale di Martiri e di Santi, Roma immortale accogli i nostri canti: Gloria nei cieli a Dio nostro Signore, Pace ai Fedeli, di Cristo nell'amore”. Nella nuova versione preparata dal genovese Mons. Raffaello Lavagna, che ho avuto il piacere di conoscere e con cui ho avuto molte piacevoli chiacchierate, viene invece detto nello splendore della lingua latina: “O felix Roma – o Roma nobilis: Sedes es Petri, qui Romae effudit sanguinem, Petri cui claves datae sunt regni caelorum”. Insomma, dovremmo veramente riflettere sul destino eterno della città di Roma, per cui tutti i cattolici possono definirsi a ragione come “Romani”. La mancata consapevolezza in molti di questa continuità e di questo destino è alla base di molta della confusione in cui al momento siamo immersi.