La fede, i soldi, il potere: uno sguardo per capire meglio
La fede, il denaro, la famiglia e il potere politico. Di questo e di altri problemi del vivere quotidiano che discendono dall’enciclica di Papa Francesco, Lumen Fidei, si occupa il volumetto di Dario Antiseri e Flavio Felice: La vita alla luce della fede. Riflessioni filosofiche e socio-politiche sull’enciclica Lumen Fidei
La scienza non è in grado di rispondere, per principio, a quelli che sono i problemi più importanti per l’uomo; la filosofia non riesce a salvare l’uomo; il senso della vita è sempre religioso. Muove da quest’assunto la stesura dell’enciclica Lumen Fidei (29 giugno 2013), che inquadra in maniera efficace la natura della fede: «La fede è la risposta a una Parola che interpella personalmente, a un Tu che chiama per nome. La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia della salvezza».
A prescindere dalla riflessione teologica che impregna quel documento, Dario Antiseri, già insigne docente universitario di materie filosofiche e tra i filosofi italiani più tradotti nel mondo, e Flavio Felice, ordinario di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense e coordinatore scientifico dei corsi di formazione in Dottrina sociale della Chiesa organizzati dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, hanno dato alle stampe un agile volumetto, La vita alla luce della fede. Riflessioni filosofiche e socio-politiche sull’enciclica Lumen Fidei, edizioni Rubbettino, nel quale mettono acutamente a fuoco le problematiche del vivere quotidiano che discendono dal messaggio di quell’enciclica.
A detta dei due autori, Papa Francesco, che nella stesura della “Lumen Fidei” ha, per sua stessa ammissione, ampiamente attinto alle elaborazioni teologiche del suo predecessore, vede alla luce del senso religioso, sotto il faro di luce proiettato dalla fede, i nodi cruciali e gli snodi fondamentali della vicenda umana: origine e fine della vita, dignità unica della singola persona, valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, rispetto della natura quale «dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita», ricerca di «modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto», impegnato e concreto servizio alla giustizia, al diritto e alla pace, senso della sofferenza quale «tappa di crescita della fede e dell’amore», convinzione che «la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro». Se è vero che il pontificato di Papa Francesco si è da subito caratterizzato per alcuni gesti inusuali, considerati quasi rivoluzionari da una parte dell’opinione pubblica, è altrettanto innegabile che il dover essere del cristiano, secondo il Pontefice, è racchiuso tutto nel Vangelo, nella sua radicale semplicità.
Antiseri e Felice si soffermano sul tema del rapporto tra fede e ricchezza, smascherando la tesi della radicale inconciliabilità tra accumulazione dei beni e coerenza evangelica. Quando nei testi sacri si parla di ricchezza e povertà, s’intende esprimere una preferenza per la povertà, intesa, non già come demonizzazione dei frutti del creato, bensì come capacità di «saper rinunciare a ottenere un risultato “a ogni costo”, offrendo questa rinuncia e questa perdita per il benessere proprio e altrui», e dunque si qualifica la ricchezza come un mezzo per aiutare chi non è in grado di farcela. «Il Vangelo», si legge nel volume, con riferimento ad alcuni brani del compianto don Angelo Tosato, «non condannerebbe la ricchezza in quanto demoniaca, ma denuncerebbe il fatto che essa sia caduta nelle mani del demonio e dei suoi servitori». Dunque, non c’è un’irriducibile antinomia tra Dio e ricchezza ma tra “servire Dio” e “servire la ricchezza” diventandone schiavi. Ma quanto riferibile alle ricchezze riguarda in generale gli idoli e il rischio di adorazione del “vitello d’oro”: «L’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani».
Davvero pregne di stimoli le pagine riguardanti il rapporto tra fede e potere, inteso come servizio, come ministero che ha un termine ultimo ben preciso: il prossimo, causa prima di ogni azione autenticamente umana. Un traguardo irraggiungibile quando il potere viene ridotto a “politica”, a «mera composizione degli interessi, al comando di chi (persona o cricca al potere) si ritiene sovrano assoluto, ossia sciolto da qualsiasi riferimento e responsabilità verso il destino degli altri».
Profonde anche le pagine sulla relazione tra la fede e la famiglia, considerata forza autopropulsiva, potenziale fattore di progresso. «La sua sottostima, la sua penalizzazione, il suo indebolimento, anche in termini economici, è molto probabile che finisca per indebolire l’intero sistema sociale», avvertono gli autori del saggio, che indicano nella famiglia «l’istituzione che maggiormente esprime il carattere poliarchico della società civile, irriducibile all’articolazione gerarchica delle istituzioni che vede nello Stato il vertice sintetico dell’ordine civile». Una riattualizzazione del principio di sussidiarietà, come valorizzazione dei corpi intermedi tra Stato e persona, in particolare della famiglia e del suo insostituibile contributo all’edificazione di una società libera e virtuosa.