La famiglia naturale, la base per legami veri
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Cacciari parla di “famiglia patogena” sostenendo che bisogna accantonare l’idea di famiglia naturale per superare le tensioni attuali. In realtà è l’innaturale a generare violenza. La natura, invece, è l’alfabeto che regola rapporti veri e appaganti.
Il confronto-scontro in corso circa il cosiddetto “femminicidio”, dopo la tragica uccisione di Giulia Cecchettin, è molto incentrato su cosa si ritiene essere una famiglia. Il titolo stesso del Ddl Roccella sul contrasto alla violenza di genere approvato dal Senato in via definitiva parla di “violenza domestica”, qualcosa quindi che si consuma tra le mura di casa. Anche il ridicolo e inconsistente richiamo al “patriarcato” come causa di questi fenomeni ha a che fare con la famiglia, in questo caso la famiglia appunto patriarcale. L’attentato terroristico a Pro Vita & Famiglia testimonia ulteriormente che l’obiettivo è colpevolizzare la famiglia addossandole le responsabilità del “femminicidio”.
L’idea cavalcata è quindi quella della “famiglia patogena”. Sarebbe essa a provocare patologie nei comportamenti, insicurezze, carenze formative, difficoltà di relazioni, ansie e atti di violenza. L’espressione “famiglia patogena” è stata di recente coniata da Massimo Cacciari in un passaggio della trasmissione Otto e mezzo, condotta da Lilly Gruber [vedi QUI]. La famiglia, secondo il professore, è qualcosa di storico, si è sempre evoluta in molte forme e oggi ha completamente abbandonato l’idea di essere qualcosa di naturale. Proprio questo passaggio dalla natura alla storia, da una visione statica e chiusa ad una dinamica e aperta, creerebbe quelle patologie che poi si esprimono anche in forme violente. La soluzione sarebbe di non rivendicare più alcuna caratteristica naturale per la famiglia, perché questo farebbe continuare la tensione attuale, ma di transitare le menti verso una piena accettazione della sua storicità e pluralità di sensi, senza più rimpianti patogeni. A questo le persone vanno aiutate, secondo Cacciari, tramite la scuola in primo luogo e poi tramite gli amici, affinché non si sentano più a disagio nelle nuove forme di famiglia. In questo modo viene appoggiata la politica governativa di introdurre nuovi percorsi di educazione alle relazioni sentimentali e alla diversità.
Avere una storia, tuttavia, non significa essere storia. Ciò vale anche per la famiglia. Essa ha certamente assunto varie forme organizzative e di vita. La famiglia patriarcale – quella che secondo i sostenitori del femminicidio a base familiare esisterebbe tuttora e sarebbe la causa del disastro – non esiste più da tempo. Si tratta però di cambiamenti sociologici perché, anche nel caso della famiglia mononucleare, sempre di famiglia si tratta. La famiglia ha avuto e ha una storia, ma non è storia, perché questo significherebbe che non esista la famiglia ma solo le famiglie, caso per caso. Significherebbe non poterle più chiamare nemmeno con lo stesso nome di famiglie perché non ci sarebbe nessuna struttura universale e permanente che le unifichi, nemmeno per analogia. Significherebbe, infine, che il tempo non sia più il “luogo” in cui ogni famiglia si costruisce, ma solo la successione priva di un senso unitario delle situazioni di vita che, nominalisticamente, chiamiamo famiglia.
L’abbandono della visione naturale della famiglia la trasformerebbe in una semplice aggregazione di cittadini. Come far parte di un circolo del tennis o di un coro amatoriale, la famiglia sarebbe un’aggregazione elettiva, la cui unica motivazione sarebbe la scelta di chi decide di parteciparvi. È stato questo il caso, per esempio, della legge Cirinnà che, legiferando sulle unioni civili, chiama famiglia un’aggregazione di individui. Che differenza c’è tra un’aggregazione di individui e una famiglia? La prima è un accostamento interessato e strumentale di soggetti intesi come unità numeriche che si sommano gli uni con gli altri; la seconda è un’integrazione complementare di un uomo e una donna che cessano di essere individui isolati e di utilizzare criteri strumentali nei loro rapporti, per vivere insieme secondo una regola indisponibile, non più loro ma della coppia-famiglia. Questo non può derivare dalla semplice aggregazione a base volontaristica, con la quale l’individuo non esce mai da sé stesso, ma richiede di rispondere ad un’inclinazione naturale presente in noi ma che non proviene da noi. Questa è precisamente l’idea di natura umana, la quale inclina naturalmente la donna e l’uomo al “coniugio”, alla procreazione e all’educazione della prole.
Se la famiglia varia nei tempi e nei luoghi, come dice Cacciari, per forza diventa patogena. Non, quindi, perché naturale ma perché ridotta a tempo e spazio. La persona è così sperduta e sradicata, dissolta in esperienze prive di continuità e coerenza, dentro le forme aggregative apparentemente più varie ma nella realtà imposte e rese artificialmente naturali. L’innaturale elimina l’indisponibile e, quando su tutto si può mettere le mani, il conflitto e la violenza sono inevitabili. La natura viene interpretata á la Cacciari come qualcosa di astratto e imposto. Invece è la nostra vita libera perché protetta nei suoi elementi indisponibili. La nostra natura è l’alfabeto con cui possiamo avere legami veri, appaganti e privi di violenza.
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