SOCIETÀ
La famiglia degli italiani? A richiesta
Il Censis parla di ripresa del valore della famiglia. Ma i numeri dicono altro: una pluralità di relazioni molto diverse da quelle naturali.
Editoriali
29_03_2012
Di mamma ce n'è una sola. Ma di famiglia invece a dar retta agli italiani ce ne possono essere più di una. E’ ciò che emerge da un’indagine ad ampio spettro condotta dalla Fondazione Censis in occasione del centocinquantenario dell’Unità di Italia, i cui risultati sono stati presentati il 13 marzo scorso. Il dato su cui più hanno stillato miele i giornali laici e cattolici è il seguente: per il 65% dei nostri connazionali la famiglia è il valore più importante. Questa percentuale ha aperto le danze più sfrenate sulla carta stampata qualificando la famiglia come “faro” per gli italiani e sottolineando che nel Bel Paese tira un’aria nuova, aria di riscoperta di valori e sani principi.
Ma le cose stanno davvero così? Pare di no. Il caro vecchio e per nulla buon Thomas Hobbes (1588-1679) nel suo Leviatano affermava che «Bene e male sono nomi che significano i nostri appetiti e le nostre avversioni». Ciò a dire che le parole sono come scatole vuote che riempiamo di contenuto a seconda del nostro estro, dei nostri gusti. Non sfuggono a questa regola per niente aurea anche le parole di carattere valoriale, come giustizia, solidarietà, pace, etc. E nemmeno termini che si riferiscono ad istituti di antichissima nascita come quello della famiglia.
Gli italiani apprezzeranno sì la famiglia ma il problema sta nel fatto che tale vocabolo abbraccia una pluralità di significati che nella maggior parte dei casi non c’entra nulla con il vecchio ma ortodosso modello di famiglia tradizionale fondata sul matrimonio tra due persone di sesso differente.
Come facciamo a dirlo? Non lo diciamo noi, ma il Censis. Infatti se continuiamo a leggere i dati di questa ricerca emerge che dal 2000 al 2010 i matrimoni sono diminuiti del 23,7% sebbene il 74% degli intervistati consideri il matrimonio una realtà importante. Figuriamoci cosa sarebbe accaduto – ci viene da pensare – se il matrimonio non fosse stato ritenuto importante. La realtà che emerge con nitore da questi dati ci dichiara a voce alta che l’italiano medio si costruisce la sua idea di famiglia a proprio piacere e secondo le proprie esigenze. Il matrimonio è istituto borghese e dal sapore formalistico? Meglio la convivenza. Un marito/genitore non è più all’altezza del compito assunto al tempo delle nozze? Lo licenziamo con il divorzio e la donna farà anche da papà. Alla roulette dell’amore non è uscito il numero giusto al primo colpo? Ci riproviamo con un secondo matrimonio. L’immagine che ne esce è quella di una famiglia personalizzata, tagliata su misura, on demand.
E questo accade perché, al contrario di quanto con sicumera hanno scritto molti in relazione ai dati del Censis, prevale l’individuo più che la relazione, più l’”io” che il “tu”. La famiglia “a richiesta” privilegia le esigenze del singolo, le sue voglie o la tutela dei suoi timori. Gli italiani del Censis portano sul palmo di mano non tanto la famiglia come la intendevano i nostri padri, ma la relazione affettiva da declinarsi in accordo ai bisogni personali. Nelle loro mani il carattere di questo istituto di diritto naturale viene deformato per prendere le sembianze più gradite all’individuo, per acquisire – come se fosse un prodotto – quelle specifiche più adatte alle pretese del soggetto. Purtroppo aveva ragione Hobbes: famiglia oggi è solo un nome. Un’identica maschera dietro cui si celano infiniti volti.