La falsa accoglienza sulla pelle degli immigrati
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Distinguere tra chi fugge da guerra e miseria e chi insegue i miraggi promessi dalle organizzazioni criminali che alimentano i flussi migratori illegali. Punti fermi dall'incontro di ieri con Anna Bono.
Chi specula davvero Sulla pelle degli immigrati? È la domanda al centro dell’incontro di ieri della serie “I venerdi della Bussola”, con Anna Bono, intervistata da Stefano Magni. Poiché a scanso di equivoci è proprio sulla loro pelle che una falsa concezione di “accoglienza” finisce per alimentare un mercato criminale.
Ma prima di tutto Magni ricorda la necessità di chiarire i termini: non «migranti», bensì «immigrati» in riferimento al Paese d’arrivo o «emigranti» in riferimento al Paese di partenza. Al tema Anna Bono ha dedicato sia Migranti!? Migranti!? Migranti!? (Ed. Segno, Feletto Umberto 2017) sia Migrazioni, emergenza del XXI secolo, edito nel 2015 per I libri della Bussola (qui).
«Nel caso specifico c’è un aggettivo che manca», specifica la Bono poiché ci riferiamo al «fenomeno dei flussi migratori illegali», di persone che riescono a entrare in Europa senza documenti, in modo irregolare, «sostenendo di essere dei profughi (...) in fuga da situazioni di estremo pericolo per la loro vita, la loro incolumità fisica, la loro libertà». Nessuno nega l’accoglienza ai rifugiati (quando lo sono realmente), «ma qui stiamo parlando di un fenomeno illegale che come tale deve essere considerato e trattato».
La soluzione del governo italiano di trasferire temporaneamente gli immigrati in due appositi centri in Albania per verificarne lo status – bocciata dal Tribunale di Roma – si basa su «una considerazione: la maggior parte degli irregolari chiede asilo ma non proviene da Paesi in cui sono in atto guerre o si verificano situazioni estreme e generalizzate di violenza». Se avessero diritto all’asilo verrebbero portati in Italia, altrimenti sarebbero rimandati nel Paese di provenienza. «Tutto questo nel rispetto della legalità, della Convenzione di Ginevra e del diritto internazionale, ma di questo parere non è stato il Tribunale di Roma». Questione analoga si è presentata con l’accordo tra il Regno Unito e un Paese africano stabile, il Rwanda. Ancora una volta, un «progetto mai decollato, anche se in Rwanda era già stato allestito tutto il necessario», perché bocciato dalla magistratura inglese.
Altri Paesi europei stanno pensando di adottare sistemi analoghi nel pieno rispetto del diritto internazionale: un rifugiato «chiede di essere accolto al sicuro, non importa se in Italia o altrove, finché non viene meno il pericolo che lo ha costretto a fuggire». Sottolineatura necessaria perché il mancato rispetto del diritto internazionale è un’accusa rivolta anche in termini morali. «Lo status di rifugiato non si nega a chi effettivamente lo chiede con diritto», casomai occorre chiedersi perché molti che percorrono migliaia di km per raggiungere un Paese sicuro in Europa, non abbiano potuto ottenere asilo e sicurezza necessaria molto prima», magari presi in carico dall’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati.
Altro caso eclatante, ricorda Magni, è il processo a carico del ministro Matteo Salvini che nel 2019 (allora al Viminale) impedì lo sbarco a Lampedusa di immigrati che, secondo l’accusa, avevano bisogno urgente di aiuto, dalla nave spagnola Open Arms che aveva deciso di portarli in Italia. «Nonostante il porto sicuro più vicino fosse in Tunisia», specifica la Bono. Persino Malta solitamente piuttosto restia si era detta disponibile ad accoglierli, come la stessa Spagna che avrebbe inviato una propria imbarcazione, ma «il capitano della nave aveva deciso che l’unico porto sicuro fosse italiano». Inoltre, «non era vero che queste persone fossero in balia delle onde, hanno ricevuto sempre cibo e medicinali. Alcune in difficoltà sono state sbarcate, mentre le rimanenti sono rimasti sull’imbarcazione: di qui l’accusa a Salvini di sequestro di persona». Accusa che si può ribaltare sul capitano della nave «che aveva tutte le opportunità di sbarcare (Tunisia, Malta, Spagna)» piuttosto che condurli fino in Italia.
Questi processi danno l’idea che l’accoglienza sia divenuta un principio fondamentale o addirittura “il” principio fondamentale, stando anche alle affermazioni del presidente Mattarella e di Papa Francesco, osserva Magni: «Ma noi veramente non accogliamo?». «Ma certo che accogliamo», risponde la Bono, «prestando fede alle dichiarazioni di persone» che si dicono profughi «come espediente per non essere rimandate nel loro Paese di origine».
Ma quanti sono davvero profughi e rifugiati? Dai dati del Viminale, «le percentuali più alte di concessione dello status di rifugiato sono al massimo il 14%».
E si affaccia all’orizzonte una nuova categoria: «il migrante climatico». Eppure, «difficilmente chi ha questo problema percorre migliaia di km e può spendere migliaia di dollari», anzi lo fa spostandosi il meno possibile.
Inoltre nel mondo la maggior parte dei profughi sono quelli interni, gli sfollati, che «si spostano entro i confini del proprio Paese sperando che la crisi che li ha costretti a scappare si risolva più in fretta possibile».
Tirando le somme, Magni richiama «alcuni punti fermi. I profughi sono una percentuale minima rispetto alla massa degli immigrati, che non fuggono dalla miseria perché spendono somme esorbitanti». Allora chi è che sta effettivamente speculando sulla loro pelle? Soprattutto – la Bono risponde «con le stesse parole di alcuni leader africani di buona volontà» – le organizzazioni criminali che rappresentano l’Europa come l’Eldorado: «sono imprese commerciali illegali, miliardarie, che hanno tutto l’interesse a cercarsi clienti, convincendo famiglie e individui» con il miraggio di una nuova vita in Europa, naturalmente affidandosi a loro.
La risposta è quella dei vescovi africani, «in prima linea da anni per spiegare ai ragazzi e loro famiglie che emigrare è una scelta non sempre vincente», e soprattutto che «quella di emigrare illegalmente è sbagliata», anche grazie al racconto di chi è tornato indietro. Purtroppo ci sono «molti casi di giovani che hanno avvisato solo in procinto di imbarcarsi», oppure è stata la famiglia stessa a organizzarsi per mettere insieme la cifra.
Infine occorre tener presente che «gli scafisti sono solo l’ultimo anello di una catena» che parte dal momento in cui queste organizzazioni «prendono in carico il migrante illegale»: poiché un viaggio clandestino espone al rischio di essere intercettati e arrestati, il 90% lo fa affidandosi a queste organizzazioni criminali, che negli anni si sono «moltiplicate e ingrandite» e qualcuno le definisce «agenzie di viaggi illegali». Sono le uniche a guadagnarci, non certo gli immigrati. Ma questo fenomeno si può fermare? «La prima condizione è riconoscere che è un atto illegale che non giova a nessuno»; naturalmente la soluzione passa per la «collaborazione tra i Paesi di origine e di transito, ma soprattutto dalle Nazioni Unite e dalle autorità politiche e morali».
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