La "droga" monetaria presenta il conto
La crisi dei mercati finanziari, che si è accentuata nell'ultima settimana, è causata da politiche monetarie estremamente espansive. Iniettando troppa liquidità, le banche centrali hanno favorito la crescita di bolle speculative. E ora iniziamo a pagare il conto. La nostra classe dirigente non l'ha capito.
Nelle ultime settimane, con un'accelerazione negli ultimi giorni, si è assistito ad un vero e proprio sell-off sui mercati azionari. Rispetto ai picchi di settembre l'S&P500 - l'indice di riferimento della Borsa Usa - ha ceduto il 10%, l'EuroStoxx50 - l'indice di riferimento dell'area euro - il 16% e l'italiano FtseMib addirittura il 22%. Il recupero parziale in chiusura di settimana non cambia comunque un risultato ampiamente negativo. Era da 2 anni che non si assisteva ad una discesa così marcata, ed il nervosismo sui mercati si è riflesso in un balzo della volatilità risalita sui picchi degli ultimi 3 anni.
Ha poco senso cercare di motivare queste marcate correzioni come una reazione dei mercati a dati fondamentali sull'evoluzione del ciclo economico. In realtà, a partire dal 2009 negli Usa e a partire dal luglio 2012 in Europa, si è assistito a forti rialzi sui mercati azionari - più negli Usa che non nell'area euro comunque - spinti soprattutto dalle politiche monetarie ultra-espansive delle Banche Centrali che non da dati brillanti sul fronte dell'economia reale. Con la manipolazione al ribasso dei tassi di interesse la Fed statunitense, la Bce europea, la Banca del Giappone - per citare solamente le più importanti - hanno immesso fiumi di liquidità nei circuiti finanziari, provocando un'inflazione degli asset finanziari, Borse e titoli di Stato. Come insegna la Scuola Austriaca di economia, le politiche monetarie ultra-espansive delle Banche Centrali hanno sempre un effetto inflazionistico. Anche se le ricadute non sono sempre immediate sui prezzi al consumo, sicuramente la liquidità spinge all'insù tutti gli asset, come le maree sollevano tutte le barche. Il problema è che ciò provoca degli effetti distorsivi, arricchendo ingiustamente chi riceve la liquidità per primo - in questo caso Wall Street ed il sistema finanziario - a scapito di chi percepisce un reddito fisso che sarà eroso nel momento in cui l'inflazione si sposterà dagli asset finanziari ai prezzi al consumo: è quanto in economia viene indicato come "effetto Cantillon".
Per non parlare degli effetti distorsivi sull'allocazione degli investimenti delle imprese a causa di tassi di interesse artificialmente bassi e sulla stimolazione indebita dei consumi a scapito del risparmio. Non deve stupire, quindi, che negli Usa, nonostante il forte rialzo delle Borse post-2009, la classe media sia in continuo restringimento. L'espansione del Bilancio della Fed dai 0,9 trilioni di dollari pre-crisi agli attuali 4,45 trilioni rappresenta una crescita senza precedenti, che ha certamente fatto salire Borsa e Treasury ma non ha minimamente contribuito a far ripartire l'economia reale: molto bene per Wall Street, non altrettanto per Main Street.
Al netto della propaganda dei commentatori economico-finanziari e della classe politica, l'economia Usa è ben lungi dall'avere intrapreso una strada di crescita duratura. Basti pensare ad uno dei dati più pubblicizzati come il calo del tasso di disoccupazione verso il 6%, omettendo però di precisare che le statistiche sulla disoccupazione tengono conto solo di chi è iscritto nelle liste e non di chi ha smesso di cercare lavoro perché ha perso la speranza di trovarlo: guardando al tasso di partecipazione, che misura la percentuale di persone che fanno parte della forza-lavoro sul totale della popolazione in età lavorativa, si nota infatti una costante diminuzione negli ultimi anni. Le cattive notizie provenienti dall'economia reale non hanno comunque mai preoccupato i mercati finanziari: anzi, negli ultimi anni a fronte di notizie negative la Borsa Usa tendeva sempre a salire, non per una reazione irrazionale da parte degli operatori finanziari ma per la consapevolezza che le brutte notizie costringono la Fed ad iniettare ancora "droga" monetaria nel sistema - il cosiddetto "quantitative easing". Tanto peggio, tanto meglio, quindi.
Il rischio di questo sistema è ovviamente la formazione di nuove gigantesche Bolle, che potrebbero scoppiare all'improvviso, come quando una catena di Sant'Antonio si spezza. E chi rimarrà per ultimo col cerino in mano, non potrà che bruciarsi. Questo spiega il passaggio repentino dall'euforia al panico, come è accaduto nelle ultime due settimane. All'interno di questo quadro generale si inserisce la situazione dell'area euro, in generale, e del nostro Paese in particolare: nel vecchio continente la situazione è connotata da una fragilità ancora superiore, perché ai problemi generali dell'indebitamento - che affliggono anche Usa e Giappone - si aggiungono anche gli sfasamenti tra i singoli Paesi dell'area euro, con i Paesi periferici sempre più avvitati in una spirale negativa di deficit-debito-deindustrializzazione ed inverno demografico.
Al di là di quanto accadrà alle Borse nei mesi a venire - è ancora prematuro, infatti, ipotizzare che i recenti segnali negativi siano la prima fase di una fuga dalle Borse, anche se non si può ovviamente escluderlo - quello che sembra chiaro è che le Banche Centrali - bracci armati degli Stati - continueranno a perseguire politiche di manipolazione al ribasso dei tassi di interesse, cercando nel contempo di spingere all'insù l'inflazione. Portando in territorio negativo i tassi di interesse "reali" - cioè i tassi di interesse nominali meno l'inflazione - si otterrà il risultato di abbattere in termini reali il valore dei debiti - a partire dai debiti degli Stati sovrani. In tal modo si eviteranno probabilmente dei default nei Paesi fortemente indebitati e senza crescita - Italia, Spagna ma anche gli Usa ed il Giappone hanno finanze pubbliche assai malconce - andando nel contempo a svilire in termini reali risparmi e redditi fissi. Un enorme trasferimento di ricchezza dalle famiglie agli Stati, dai creditori ai debitori, dalle formiche alle cicale. Una sorta di tassa occulta, che paradossalmente va a punire proprio chi ha scelto di risparmiare.
Non sarà facile, negli anni a venire, proteggere il valore reale dei propri risparmi e dei propri redditi. La prossima volta che qualche economista ci racconterà che il problema in Europa è la deflazione ed il calo dei consumi, pensiamo invece che sarà proprio l'inflazione ed il calo dei risparmi - e quindi degli investimenti - la maggiore insidia per chi ha un reddito fisso e dei risparmi da difendere. La soluzione vera non potrà essere l'uscita inflazionistica dalla crisi - che danneggerebbe ulteriormente la classe media - bensì riforme strutturali centrate sulla riduzione della spesa pubblica, del perimetro dello Stato, delle tasse, per non parlare della riforma del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione, della giustizia oltre, ovviamente, ad un rilancio della famiglia. Non saranno le Banche Centrali a salvarci, e gli stessi mercati finanziari potranno crescere in modo sano soltanto quando si uscirà da questa "sbornia di liquidità" a buon prezzo. La politica, se c'è, batta un colpo: possibilmente andando nella direzione giusta.