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COPTI

La difficile eredità di Papa Shenouda III

Grande uomo di fede e abile politico, ha saputo mantenere l'equilibrio tra
la Chiesa ortodossa copta, il regime
di Mubarak e l'islamismo radicale.

Attualità 23_03_2012
Papa Shenouda III (1923-2012)

 

«Noi non lasceremo mai l’Egitto, perché  l’Egitto non è solo il Paese in cui viviamo, ma l’Egitto vive dentro di noi». Queste parole di Papa Shenouda III basterebbero a fare comprendere quanto il 117° successore di san Marco significasse per la propria comunità. Ebbene, sabato 17 marzo 2012 alle ore 17.00 questa figura carismatica è venuta a mancare all’età di 88 anni dopo anni di agonia. Lui, eletto nel 1971, dopo essere stato esiliato nel 1981 da Anwar Sadat nel monastero di Wadi Natrun per averne criticato le politiche filoislamiste, dopo essere stato liberato da Hosni Mubarak nel 1985, ha fatto in tempo a vedere la "rivoluzione del loto", la cacciata di Mubarak e l’ascesa dell’islamismo al potere, lasciando senza dubbio un arduo compito a chiunque gli succederà.

Il Papa della Chiesa ortodossa copta nonché patriarca di Alessandria ha guidato la Chiesa più numerosa del Medioriente (circa il 12% della popolazione egiziana) in un periodo di grandi trasformazioni e di tensioni con il mondo islamico. Con ben otto dottorati, egli ha spinto all’approfondimento della fede con studi, catechesi, libri di cui egli stesso è autore, aprendosi al movimento ecumenico, ai rapporti con il Papa di Roma e rinforzando i legami con i copti all’estero. Nei suoi anni sono cresciute le vocazioni monastiche in Egitto e sono aumentate le comunità copte negli Stati Uniti, in Australia e in Canada.

La popolarità e l’influenza anche e soprattutto a livello politico di Papa Shenouda era tale che tutte le alte cariche dello Stato hanno espresso il loro cordoglio. Il Consiglio supremo delle Forze armate ha auspicato di vedere proseguire gli sforzi del patriarca al fine di «conservare l’unità dell’Egitto e l’unità sociale». Anche la più alta carica religiosa l’imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, che ha rotto i rapporti con la Santa Sede, ha emesso un comunicato lunghissimo in cui ricorda tra l’altro «la sua visione nei confronti di Gerusalemme e la sua storia», cui fa da eco la dichiarazione del teologo dei Fratelli musulmani, Yusuf Qaradawi, che ha ricordato il suo «profondo rispetto per la sharia e il suo coraggioso sostegno per la causa palestinese, rifiutandosi si andare a Gerusalemme occupata dagli israeliani». Una voce fuori dal coro è stata quella del predicatore islamico Wagdi Ghoneim. Quest’ultimo, che nel 2005 aveva predicato in alcune moschee italiane e che era stato definito dall’allora segretario nazionale dell’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia Hamza Piccardo «un alim, un sapiente», ha esclamato: «Che Dio lo possa punire con l’inferno!».

Dalla vita del patriarca e dalle dichiarazioni post mortem si evince che Shenouda non era un semplice religioso, ma era altresì un abile politico che era riuscito funambolicamente a mantenere un difficile equilibrio tra la propria comunità, un dittatore come Mubarak e l’estremismo islamico al quale lo accumunava il sentimento anti-israeliano.

La sua morte in un momento in cui l’Egitto è ancora in piena fase di transizione, con l’estremismo islamico che domina il Parlamento, con un presidente ancora da eleggere, con una società in balia della crisi economica e della più totale insicurezza, è un fatto che non potrà non influire sul futuro dell’Egitto e dei rapporti tra i copti, che costituiscono il 10% della popolazione totale, e il resto del paese. La scelta è talmente complicata e delicata che si è già accennato che si potrebbe posticiparla a dopo le elezioni presidenziali.

Nel frattempo è stato nominato il cosiddetto locum tenens, il reggente, nella persona del metropolitano Pachomio che guiderà la Chiesa copta sino all’elezione del nuovo Patriarca. Questo passaggio si rende necessario poiché l’iter di elezione potrebbe durare anche mesi. La modalità di elezione del successore di san Marco prevede che quest’ultimo abbia almeno quarant’anni. Costui può essere un sacerdote oppure un vescovo generale. Due giorni dopo i funerali ufficiali viene ufficialmente aperta la procedura che è piuttosto complicata. Un sinodo dei vescovi è incaricato di eleggere il nuovo Patriarca. I vescovi che hanno un’eparchia possono votare, ma non possono essere eletti. Al contrario, i vescovi che non hanno eparchie possono essere eletti, così come i sacerdoti o i monaci. All’inizio ci sarà una riunione comune tra il Sinodo e un comitato di laici, i ministri cristiani e l’intellighenzia copta.

Cominceranno a raccogliere le proposte per le candidature. Successivamente si procederà alle elezioni. Infine, i tre candidati che avranno ottenuto il maggior numero di voti si riuniranno per concelebrare una messa, durante la quale un bambino bendato sceglierà, estraendo uno dei biglietti che riportano i nomi dei tre candidati, che recherà il nominativo di colui che verrà proclamato Patriarca d’Alessandria. Così la scelta del fanciullo avrà espresso “la volontà di Dio”. L’ultima volta la procedura è durata ben otto mesi. Ma adesso si stima che il processo sarà più rapido, anche se come si è già detto si tenderà ad andare oltre le presidenziali.

Un fatto è certo: il nuovo Papa avrà il difficile compito di gestire, meglio controllare e frenare, l’avanzata islamica nel paese delle piramidi, un’avanzata che vede i salafiti guadagnare terreno con il benestare dei Fratelli Musulmani, con i quali condividono la convinzione, giustificata dalla tradizione islamica, che l’islam è la religione naturale dell’uomo e che le altre religioni hanno alterato i testi e che quindi i cristiani siano cittadini di second’ordine.