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LA LETTERA

«La DC combatté le leggi su divorzio e aborto»

L'on. Carlo Giovanardi ci scrive per contestare l'espressione "utili idioti" usata in un articolo per riferirsi ai leader DC che firmarono le leggi su divorzio e aborto. Ma dimentica che quella battaglia non fu veramente combattuta fino in fondo.

Politica 22_12_2020

Caro direttore,

mi dispiace dover contraddire Gianfranco Amato ma l'aver definito i Democratici Cristiani "utili idioti" (clicca qui), in quanto supposti responsabili dell'introduzione nel nostro ordinamento di divorzio e aborto, è un falso politico, storico e culturale.
In Parlamento infatti la DC fu compatta nel contrastare la legge Fortuna Baslini, non contando nelle sue file neppure un dissidente, finendo poi per soccombere nel 1970 di strettissima misura ( 52,7% contro 47,7% ).

Al referendum del 1974 quel  47,7% di no al divorzio si ridusse nel paese al 40.7% grazie anche alla massiccia mobilitazione dei cosidetti "cattolici per il no", in prima linea nel contestare la generosa campagna per l'abrogazione della legge da parte dell'allora Segretario della Dc Amintore Fanfani, che lo stesso Amato non può non riconoscere.

Lo stesso copione si è ripetuto per l'aborto che venne approvato alla Camera nel 1978 con il  51,1% dei voti favorevoli ed il 48,9% contrari, trasformatisi poi nel successivo referendum popolare in un umiliante 67,9% a favore della legge contro uno striminzito 32,1% contrario.

In ambedue i casi la DC si trovò contro in Parlamento non soltanto il Partito comunista e i radicali ma anche tutti i tradizionali alleati liberali, socialdemocratici, repubblicani e socialisti, essendo schierato per contrastare la legge, oltre alla DC, soltanto il Movimento Sociale Italiano.

Ancora più stravagante è l' accusa a Colombo ed Andreotti di aver controfirmato, come Presidenti del Consiglio, ai sensi dell'art 89 della Costituzione, la promulgazione di queste leggi già approvate dal Parlamento e firmate dal Capo dello Stato.

Si tratta di un atto dovuto in ossequio alla volontà popolare e alla sottoscrizione del Capo dello Stato: la sia pur rispettabile e sofferta decisione di Re Baldovino dei Belgi, che abdicò  per due giorni nel 1990, perché fosse un altro a firmare  la legge che legalizzava l'aborto in quel paese, per poi riprendere pienamente le sue funzioni, non sembra proprio si possa applicare nell'Italia Repubblicana nella quale, secondo l'art 1 della Costituzione, la sovranità appartiene al popolo.

Carlo Giovanardi

Risponde Riccardo Cascioli:

Caro Giovanardi,
la ringrazio della sua lettera. Le concedo che l'espressione usata da Amato possa essere un po' troppo semplicistica nel sintetizzare quanto avvenne per le leggi sul divorzio e l'aborto, ma credo che anche la sua ricostruzione cada in una eccessiva semplificazione quando - a proposito dei presidenti del Consiglio del tempo - se la cava con un assolutorio "non potevano fare altro".

Intanto, se è giusto ricordare la strenua battaglia dell'allora segretario DC Fanfani contro la legge sul divorzio, bisogna anche ammettere che per l'aborto non andò allo stesso identico modo (e non solo per il contemporaneo sequestro Moro). Ma soprattutto nessuno avrebbe impedito, davanti ai numeri del Parlamento, la decisione di aprire una crisi di governo. L'esperienza dice che a volte basta la minaccia per provocare ripensamenti, ma anche se non ci fossero stati era certamente preferibile la crisi di governo all'approvazione di leggi distruttive della società. Perché di questo stiamo parlando: non di leggi che non piacciono ai cattolici, ma leggi che - la realtà odierna lo dimostra - sono il motivo principale dei disastri sociali ed economici che sono seguiti.

Peraltro nella Prima Repubblica i governi avevano notoriamente breve durata e difficilmente le legislature arrivavano a compimento. Si aprivano crisi di governo per motivi ben meno importanti. Nel 1978, di fronte alla legge sull'aborto, la DC preferì non rischiare il governo, ma altri provocarono comunque la crisi poco dopo e nel 1979 si andò ad elezioni anticipate.
Tutto dipende da quanto riteniamo importante una questione.