Divorzio, la "conquista" che sfasciò famiglia e società
Non c'è nulla da festeggiare per i 50 anni della legge sul divorzio: ha costituito il primo passo della rivoluzione antropologica che stiamo tuttora vivendo. L’indissolubilità del matrimonio era la linea Maginot di quella società che era ancora in grado di mantenere e garantire una certa solidità. La profezia di Fanfani e gli utili idioti Dc grazie ai quali poi abbiamo avuto anche aborto, unioni gay e prossimamente anche legge sull'omotransfobia.
Poco prima del sorgere dell’alba dell'1 dicembre 1970, al termine di una tra le sedute notturne più lunghe nella storia del Parlamento italiano, l’allora presidente della Camera dei deputati, il socialista Sandro Pertini, annunciò l’approvazione definitiva della contrastata proposta di legge “Fortuna-Baslini” (dal nome dei due deputati che l’avevano promossa), la quale prevedeva l’introduzione dell’istituto del divorzio in Italia. Esattamente cinquant’anni fa la Legge 1 dicembre 1970, n.898, legalizzava lo scioglimento del matrimonio.
In realtà, quell’evento costituì il primo passo della rivoluzione antropologica che stiamo tuttora vivendo. L’indissolubilità del matrimonio, infatti, rappresentava la linea Maginot di quella società che era ancora in grado di mantenere e garantire una certa solidità. Prima di ridursi nell’attuale forma liquida ben descritta da Zygmunt Bauman.
Lo aveva capito anche un toscanaccio come Amintore Fanfani, che il 26 aprile 1974 a Caltanissetta, durante un comizio, lo spiegò alla sua maniera e a prova di popolo: «Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!». Non ci volevano particolari doti divinatorie per comprendere come sarebbe andata a finire, e come, purtroppo, è poi andata a finire.
Anche per il divorzio, come successivamente per l’aborto e le altre “conquiste” della modernità, si utilizzò la logica del male minore e il falso presupposto di dover affrontare situazioni eccezionali e transitorie. Il caso francese, da questo punto di vista, è emblematico. In Francia, infatti, il divorzio fu introdotto per legge nel 1884, nonostante gli ammonimenti che Papa Leone XIII lanciò nella sua enciclica Arcanum Divinae del 10 febbraio 1880, nella quale evidenziava lucidamente le prevedibili conseguenze di quella legge. I sostenitori del divorzio dicevano il contrario: il divorzio avrebbe sciolto i matrimoni male assortiti che attendevano una soluzione, poi si sarebbe rientrati nella normalità. I fatti dimostrarono, invece, l’esatto contrario. Mentre nel 1883 si aveva in Francia una media annua di circa 700 separazioni legali, che sembrava potessero rappresentare la somma dei matrimoni infelici in cui la convivenza appariva impossibile, nell’anno seguente, con la nuova legge, si ebbero subito 1.675 divorzi, e questi, con una continua corsa ascendente, arrivarono nel 1921, quindi dopo trentasette anni, al numero di 32.557, mentre la natalità diminuiva spaventosamente.
Resta oggettivo il fatto che, in tutto il mondo, il divorzio abbia reso le relazioni umane e la società molto più liquide e che la solubilità del matrimonio abbia incrinato la stessa stabilità della convivenza civile. Questo lo si deve onestamente ammettere, prescindendo da qualunque valutazione di carattere religioso, sacramentale, teologico. È possibile, infatti, parlare di matrimonio indissolubile anche da un punto di vista squisitamente laico. Pure un laico, per esempio, può comprendere che l’indissolubilità del matrimonio difende innanzitutto la dignità della donna, la parte più debole in caso di abbandono, che dopo aver dato al marito il meglio di sé, dopo aver sacrificato la propria vita per la famiglia, non merita certo di essere sostituita quasi fosse un prodotto scaduto. E tutti possono comprendere la necessità del matrimonio indissolubile per il destino dei figli, il loro sostentamento e la loro educazione. Abbiamo sotto gli occhi quotidianamente gli effetti devastanti del divorzio su intere generazioni di giovani.
Come sosteneva il grande filosofo-contadino Gustave Thibon «gli sposi non si impegnano soltanto l’uno verso l’altro, ma anche l’uno e l’altro verso una realtà di cui fanno parte e che li supera: la famiglia innanzi tutto, di cui sono la sorgente e il sostegno, e in seguito la Nazione e la Chiesa, corpi viventi di cui le famiglie sono le cellule». Ecco perché un’istituzione così importante come il matrimonio ha bisogno d’essere protetta contro le mille vicissitudini dell’istinto e dell’interesse personale, perché proprio il matrimonio costituisce il fondamento della comunità umana; se quello si spezza, questa si sfascia.
Ha proprio ragione Thibon: oggi noi assistiamo al sorgere, per reazione, di una specie di mistica del matrimonio, che si preoccupa più della qualità del vincolo personale tra gli sposi che delle sue conseguenze sociali. Viviamo in un’epoca in cui pare dilagare e dominare una sorta d‘iperestesia dell’io e di ugualitarismo grossolano, che considera la felicità dell’individuo un diritto «assoluto». Ma non è così. Se uno nella vita fa una scelta sbagliata sulla persona che ha deciso di sposare, non può presentare il conto alla collettività. Paga privatamente. Come paga privatamente l’imprenditore che fallisce. Tra il sacrificio individuale per un’errata decisione della sfera privata e l’interesse collettivo della società alla sua tenuta complessiva, è quest’ultimo che deve prevalere. Una persona adulta si assume la responsabilità delle proprie azioni e se sbaglia ne deve accettare le conseguenze. Una scelta, del resto, è davvero libera solo quando è responsabile.
Non vale neppure l’obiezione che l’indissolubilità del matrimonio si opponga all’amore. Anzi, è vero il contrario. Lo spiega bene lo stesso Thibon distinguendo la fase antecedente e quella successiva del matrimonio. Prima di sposarsi, infatti, l’individuo consapevole dell’irrevocabilità del matrimonio è «indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle; come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte attingono a questa “idea-forza” una garanzia preliminare contro tutti gli eventi del destino che minacceranno il loro amore». Al contrario, «la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza».
L’esperienza ha più volte dimostrato, infatti, che in alcune circostanze, specie quando si tratta di grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perché essa divenga necessaria. Si tratta di un dato psicologico elementare che da solo basta a sfatare, tra l’altro, il mito del cosiddetto “matrimonio di prova”. Dopo il matrimonio vero, invece, «il patto nuziale, situando una volta per sempre la sostanza dell’amore al di là delle contingenze, contribuisce necessariamente a decantare, a purificare l’amore; così come una diga non solo contiene il corso del fiume, ma rende le sue acque più limpide e più profonde; la necessità di subire e di superare la prova del tempo agisce sull’affetto degli sposi come vaglio che separa la pula dal chicco del frumento; essa lo spoglia a poco a poco dei suoi elementi accidentali e illusori e ne conserva solo il nocciolo incorruttibile, trasformando la passione in vero amore».
In questa triste ricorrenza del cinquantesimo anniversario dall’approvazione della legge sul divorzio, appaiono ancor più vere le parole del grande scrittore cattolico Igino Giordani: «Salvare la famiglia è salvare la civiltà. Lo Stato è fatto di famiglie; se queste decadono, anche quello vacilla».
Se lo ricordino bene i politici che si definiscono “cattolici”, e che magari si sentono pure “adulti”. La Storia ci ha mostrato, infatti, i danni che costoro sanno infliggere ad una nazione: fu proprio il governo guidato dal cattolico Emilio Colombo che introdusse in Italia il divorzio (1970), il governo del cattolico Giulio Andreotti che promulgò l’aborto (1978), e il governo del cattolico Matteo Renzi che approvò le unioni civili omosessuali (2016). E forse toccherà pure al governo del cattolico Giuseppe Conte approvare la legge sull’omofobia e sull’eutanasia. Non c’è nulla da fare, servono sempre gli “utili idioti” per realizzare la rivoluzione antropologica della sinistra radicale e anticristiana.