Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Evangelista a cura di Ermes Dovico

L'UDIENZA

La croce, scuola di fiducia in Dio

Benedetto XVI: «Sulla croce Gesù ci insegna a perdonare e ad avere la certezza che anche nelle prove siamo sempre nelle mani di Dio».

Attualità 15_02_2012
Papa
Proseguendo nella sua «scuola della preghiera» - dopo avere meditato il 9 febbraio sulla preghiera di Gesù sulla croce secondo i Vangeli di Marco e Matteo - nell'udienza generale del 15 febbraio Benedetto XVI ha proposto una riflessione sulle parole di Gesù nell'imminenza della morte così come ce le tramanda il Vangelo di Luca. Si tratta di tre parole di Gesù sulla croce, due delle quali – la prima e la terza – sono invocazioni al Padre. La seconda, invece, è la promessa rivolta a quello che la tradizione chiama il buon ladrone: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).

Il Papa ha esaminato una per una queste tre preghiere di Gesù. «La prima la pronuncia subito dopo essere stato inchiodato sulla croce, mentre i soldati si stanno dividendo le sue vesti come triste ricompensa del loro servizio. In un certo senso è con questo gesto che si chiude il processo della crocifissione». Ascoltiamo san Luca: «Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte» (23,33-34). Gesù, qui, «chiede il perdono per i propri carnefici», e «si rivolge direttamente al Padre intercedendo a loro favore», dando un sublime esempio di che cosa intendesse quando nel corso della sua predicazione invitava al perdono anche in circostanze estreme. Il Pontefice nota che questo insegnamento di Gesù fu subito messo in pratica dai martiri , a partire dal primo di loro, santo Stefano, il quale «piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Detto questo, morì» (At 7,60). C'è però una differenza fra la preghiera di Gesù e quella di Stefano. Entrambi pregano per i loro persecutori, ma Gesù fa qualche cosa di più, «offre anche una lettura di quanto sta accadendo». I crocifissori, afferma, «non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). «Egli pone cioè l’ignoranza, il "non sapere", come motivo della richiesta di perdono al Padre, perché questa ignoranza lascia aperta la via verso la conversione». Come fa spesso in queste udienze del mercoledì, il Pontefice invita a leggere una pagina del suo secondo volume su Gesù di Nazaret: «Rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini il fatto che il Signore, sia a riguardo di coloro che veramente non sapevano – i carnefici – sia di coloro che sapevano e lo avevano condannato, pone l'ignoranza quale motivo della richiesta di perdono – la vede come porta che può aprirci alla conversione» (Gesù di Nazaret, II, 233).

La seconda parola di Gesù sulla croce riferita da san Luca «è una parola di speranza, è la risposta alla preghiera di uno dei due uomini crocifissi con Lui. Il buon ladrone davanti a Gesù rientra in se stesso e si pente, si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, che rende visibile il Volto stesso di Dio, e lo prega». Ascoltiamo le sue parole : «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42). Non solo Gesù risponde, ma «la risposta del Signore a questa preghiera va ben oltre la richiesta»: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). «Gesù è consapevole di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all’uomo la via per il paradiso di Dio. Così attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio».

Infine, la terza parola. San Luca racconta: «Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò» (vv. 44-46). Il Papa fa notare che «alcuni aspetti di questa narrazione sono diversi rispetto al quadro offerto in Marco e in Matteo. Le tre ore di oscurità in Marco non sono descritte, mentre in Matteo sono collegate con una serie di diversi avvenimenti apocalittici, come il terremoto, l’apertura dei sepolcri, i morti che risuscitano (cfr Mt 27,51-53)». In Luca, invece, «le ore di oscurità hanno la loro causa nell’eclissarsi del sole, ma in quel momento avviene anche il lacerarsi del velo del tempio». Nel testo di Luca ci sono in realtà «due segni, in qualche modo paralleli, nel cielo e nel tempio. Il cielo perde la sua luce, la terra sprofonda, mentre nel tempio, luogo della presenza di Dio, si lacera il velo che protegge il santuario». Tutto questo è presentato come fattualmente e storicamente vero, ma ha insieme - le due cose non si escludono - un profondo significato simbolico. «La morte di Gesù è caratterizzata esplicitamente come evento cosmico e liturgico; in particolare, segna l’inizio di un nuovo culto, in un tempio non costruito da uomini, perché è il Corpo stesso di Gesù morto e risorto, che raduna i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue».

Le parole di Gesù – «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» - esprimono «un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio». Già la prima parola pronunciata dal Signore - «Padre» – «richiama la sua prima dichiarazione di ragazzo dodicenne. Allora era rimasto per tre giorni nel tempio di Gerusalemme, il cui velo ora si è squarciato». Quando aveva dodici anni, ai genitori che lo cercavano preoccupati aveva risposto: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (Lc 2,49). «Dall'inizio alla fine, quello che determina completamente il sentire di Gesù, la sua parola, la sua azione, è la relazione unica con il Padre». Al Padre qui Gesù si rivolge con un'espressione del Salmo 31: «Alle tue mani affido il mio spirito» (Sal 31,6). Queste parole, però, «non sono una semplice citazione, ma piuttosto manifestano una decisione ferma: Gesù si "consegna" al Padre in un atto di totale abbandono». Il genere è quello della «preghiera di "affidamento", piena di fiducia nell’amore di Dio». «La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui». Gesù ci rivela - rivela a noi, che lo ascoltiamo attraverso i secoli - «quali sono realmente le mani a cui Egli consegna tutta la sua esistenza. Prima della partenza per il viaggio verso Gerusalemme, Gesù aveva insistito con i suoi discepoli: "Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini" (Lc 9,44). Adesso, che la vita sta per lasciarlo, Egli sigilla nella preghiera la sua ultima decisione: Gesù si è lasciato consegnare "nelle mani degli uomini", ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito».

Queste parole di Gesù sono per noi: «offrono indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza». Troviamo qui, in particolare, due indicazioni molto concrete. La prima riguarda il perdono. «Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinché la luce di Dio possa illuminare il loro cuore; e ci invita a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori", diciamo quotidianamente nel "Padre nostro"».

La seconda indicazione propone il tema fondamentale della fiducia in Dio. «Gesù, che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele».