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Mistero di salvezza

La Croce, la lezione di san Giovanni Paolo II

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Papa Wojtyła ha approfondito più volte il mistero della Croce di Cristo. Lui stesso ne è divenuto testimone, attraverso la malattia. Un mistero che ci parla del significato della sofferenza nel piano della Redenzione.

Ecclesia 14_09_2024
Croce e resurrezione

«La festa dell’Esaltazione della Croce richiama alle nostre menti e, in un certo senso, rende attuale, l’elevazione di Cristo sulla croce. La festa è l’elevazione del Cristo redentore: chiunque crede nel Cristo crocifisso avrà la vita eterna. L’elevazione di Cristo sulla croce costituisce l’inizio dell’elevazione dell’umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo dell’elevazione è la vita eterna». Sono parole di san Giovanni Paolo II pronunciate durante il viaggio apostolico in Canada, il 14 settembre 1984, per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. In quell’omelia, poi, san Giovanni Paolo II entra in quello che definisce “mistero” della Croce, che è «in sé il mistero della salvezza, perché nella croce l’amore viene innalzato. Questo significa l’elevazione dell’amore al punto supremo nella storia del mondo: nella croce l’amore è sublimato e la croce è allo stesso tempo sublimata attraverso l’amore. E dall’altezza della croce l’amore discende a noi».

In fondo, se guardiamo alla Croce, la parola che viene subito in mente è appunto “mistero”. Un mistero che diviene anche follia. È san Paolo di Tarso a dichiararlo. Lo spiega bene il teologo Hans Urs von Balthasar (1905-1988): «Follia è una parola usata da san Paolo per mettere in evidenza che la saggezza di Dio, manifestata soprattutto nella Croce del Signore, oltrepassa e contraddice ogni saggezza puramente umana e a quest’ultima può apparire come insipienza, come follia. Per capire bene bisogna aggiungere immediatamente la frase paolina: “La follia di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1, 25)». Così si esprimeva il teologo svizzero davanti alla platea del Meeting di Rimini nell’edizione del 1984. Tutto è racchiuso in quel «oltrepassa e contraddice ogni saggezza puramente umana»: l’umanità, dunque, di fronte a questo mistero non può che avere difficoltà nel comprenderlo. È disorientata davanti alla Croce perché non ne comprende il senso.

E san Giovanni Paolo II, durante il suo pontificato, ha cercato in diversi modi di spiegare proprio questo mistero al popolo di Dio. Lo ha fatto fino alla fine della sua vita terrena, addirittura diventando lui stesso manifestazione di quella Croce attraverso la malattia. Basterebbe pensare all’ultima Via Crucis al Colosseo (2005) seguita in diretta televisiva dalla cappella privata del Palazzo Apostolico: papa Wojtyła, chino, abbracciava il legno della Croce con forza, determinazione e perseveranza. Un fotogramma che rimarrà nella storia della Chiesa per sempre.

Se si pensa alla Croce, diviene spontaneo andare con il pensiero alla Vergine Maria. Lo «stabat Mater dolorosa» risuona forte nell’immaginario collettivo. In merito a ciò, san Giovanni Paolo II, durante l’Angelus del 15 settembre 1991, diceva: «Quale sconvolgente mistero è la Croce! Dopo aver a lungo meditato su di esso, san Paolo così scriveva ai cristiani della Galazia: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” ( Gal 6,14). Anche la Vergine Santissima avrebbe potuto ripetere – e con maggior verità! – queste stesse parole. Contemplando sul Calvario il Figlio morente, Ella aveva infatti capito che il “vanto” della sua maternità diventava in quel momento il suo culmine, partecipando direttamente all'opera della Redenzione. Aveva inoltre capito che ormai il dolore umano, fatto proprio dal Figlio crocifisso, acquistava un valore inestimabile. Oggi, dunque, la Vergine Addolorata, ritta accanto alla Croce, con la muta eloquenza dell'esempio, ci parla del significato della sofferenza nel piano divino della Redenzione». Ancora una volta, in quell’occasione, il papa polacco cercava di dare una sorta di spiegazione all’irrazionale (per l’umano) ragione (divina) della Croce di Cristo.

E noi, uomini di oggi, cosa potremmo dire dinanzi alla Croce? San Giovanni Paolo II risponde con una preghiera-poesia scritta nel 1987: «Ave Croce di Cristo!/ Ovunque si trovi il tuo segno,/ Cristo dà testimonianza della sua Pasqua: del “passaggio dalla morte alla vita”. E dà testimonianza dell’amore/ che è la potenza della vita/ dell’amore che sconfigge la morte./ Ave, Croce, ovunque tu ti trovi,/ nei campi, lungo le strade, nei luoghi/ dove gli uomini soffrono e agonizzano./ Nei luoghi dove lavorano/ studiano e creano…/In ogni luogo, sul petto d’ogni uomo e donna,/ ragazzo o ragazza…/ e in ogni cuore umano./ Ave, Croce di Cristo!». In queste righe, sintetiche ed efficaci, grazie alla forza della sublimazione propria dell’arte poetica, Wojtyła è come se “calasse” la Croce dal Golgota: la porta sul piano dell’orizzonte terreno. La pianta a terra (in diversi luoghi) e nei petti di donne e uomini, di ragazzi e ragazze. È possibile vedere tutta la varietà umana nelle sue parole: è un’antropologia della Croce, così si potrebbe definire. Come aveva scritto dell’Amore, ammirato «dovunque esso si trovi» (Canto del Dio nascosto), così descrive la Croce da ammirare «in ogni luogo»: sappiamo bene che sinonimo di Croce è Amore.

San Giovanni Paolo II, guardando alla Croce, non ha mai guardato ad essa solamente con lo sguardo divino. Approfondisce il tema, lo rende ancora più ampio dell’episodio evangelico in sé. E soprattutto lo rende comprensibile all’uomo, portando davanti all’umanità stessa quanto di più tangibile ci possa essere: il corpo. Nel testo Segno di contraddizione (1977) dell’allora cardinale Karol Wojtyła, arcivescovo di Cracovia, troviamo queste parole che offrono al lettore una visione del tutto tangibile: «Un grande riscatto è tutto questo corpo: le mani, i piedi, ed ogni osso. Tutto l’Uomo in massima tensione: scheletro, muscoli, sistema nervoso, ogni organo, ogni cellula; tutto è in massima tensione». Addirittura, dall’antropologia della Croce si passa all’anatomia del Cristo crocifisso. È questa la grandezza del pensatore Wojtyła che guarda alla grandezza massima: la Croce.