IL CASO
La contesa in Istria spacca i vescovi croati
Monastero della discordia: i vertici episcopali danno fedeltà al Papa, ma altri vescovi stanno con il "ribelle".
- Dall'Istria un siluro per il Papa
Attualità
05_08_2011
Il conflitto tra la Diocesi di Parenzo-Pola, in Istria, e la Santa Sede sulla proprietà dell’ex abbazia benedettina di Daila e di 380 ettari di terreno circostante è ben lungi dall’essersi risolto, e ogni giorno riserva nuovi colpi di scena. Né il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede di martedì 2 agosto, né la riunione del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale croata (CEC) di mercoledì 3 hanno portato a un allentamento della tensione, che al contrario, sembra crescere di giorno in giorno.
Il Consiglio permanente della CEC, composto dai quattro arcivescovi croati, Mons. Marin Srakic di Dakovo-Osijek, presidente della Conferenza Episcopale, il cardinal Josip Bozanic di Zagabria, Mons. Ivan Devcic di Fiume e Mons. Marin Barisic di Spalato, dopo un incontro durato ben quattro ore ha emesso un comunicato che pur senza condannare esplicitamente il vescovo Ivan Milovan, esprime il proprio pieno appoggio a papa Benedetto XVI e alla soluzione da egli trovata per risolvere il contenzioso tra la diocesi istriana e l'abbazia benedettina di Praglia, un tempo proprietaria dei beni oggetto della contesa.
Gli arcivescovi croati inseriscono anzitutto la vicenda nel tormentato quadro della storia istriana dell’ultimo secolo, ricordando come in questa regione le popolazioni locali furono sottoposte prima alle violenze del regime fascista italiano e in seguito a quelle del regime comunista jugoslavo «i quali perseguitavano persone loro invise negando loro i diritti umani fondamentali, sottraendo loro i beni, sia a singoli sia a istituzioni, tra i quali anche i benedettini di Daila». In seguito si ricorda come nel 1999 i beni dei benedettini siano passati alla parrocchia di Daila e alla Diocesi di Parenzo-Pola in seguito alle restituzioni e ai risarcimenti alle vittime delle espropriazioni, e che da quel momento vi sono stati contatti con i benedettini di Praglia affinché «ciò che era stato restituito venisse suddiviso secondo criteri di giustizia», senza per questo mettere in questione in alcun modo i Trattati di Osimo e di Roma.
Dopo l’intervento della Congregazione dei vescovi e dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, tra la Diocesi di Parenzo-Pola e l’Abbazia benedettina di Praglia si era addivenuti a un accordo, firmato a Roma il 17 maggio 2006, secondo il quale i beni sarebbero stati divisi a metà. Dal momento che le parti interessate non sono riuscite a raggiungere un accordo su tale suddivisione, nel 2008 il Santo Padre ha nominato una commissione cardinalizia allo scopo di studiare la situazione che aveva lo scopo di attuare l’accordo precedente stipulato tra la Diocesi di Parenzo-Pola e l'abbazia benedettina di Praglia. Nel novembre 2010 la commissione cardinalizia ha trasmesso al Santo Padre i risultati del suo lavoro, sulla base del quale egli ha preso la sua decisione.
Proseguono i vescovi: «Non è necessario in questa sede esporre tutte le possibili ragioni che hanno spinto il vescovo di Parenzo-Pola mons. Ivan Milovan a non firmare il documento finale con il quale si pone fine alle trattative durate diversi anni. E’ necessario tuttavia dire che il Santo Padre ha nominato un proprio commissario incaricato di sottoscrivere tale documento affinché si potessero attuare le decisioni interne alla Chiesa, con le quali in nessun modo si è voluto danneggiare la Diocesi di Parenzo-Pola. Al contrario, senza tali accordi sarebbero rimasti rapporti non chiari tra le istituzioni della stessa Chiesa, fatto che non avrebbe contribuito alla crescita nello spirito evangelico».
Il messaggio si conclude affermando che pur «rispettando le diversità di posizioni e di opinioni emerse nelle discussioni, noi vescovi continueremo a coltivare e sviluppare l’unità ecclesiale. Rimaniamo forti nell’unità del servizio episcopale, soprattutto nel rispetto delle decisioni e nell’amore verso il Santo Padre, la Santa Sede e le diverse istituzioni ecclesiali, impegnandoci per la giustizia e rifiutando tutto ciò che potrebbe mettere a rischio la pace tra i fedeli, i popoli e gli Stati. Come si è mostrato molte volte nel passato, solamente se si è guidati dalla verità e dalla giustizia, possiamo testimoniare anche il nostro amore verso la nostra Patria croata».
Il comunicato rivela il particolare, fino a ora sconosciuto, che fin dal momento della restituzione delle proprietà alla parrocchia e alla Diocesi vi erano state trattative tra queste e la controparte benedettina per un’equa suddivisione dei beni, fino a giungere alla firma di un primo accordo nel 2006, rimasto poi lettera morta – in ogni caso, la parrocchia e la Diocesi, nonostante le trattative in corso, vendevano parti della proprietà e mettevano sotto ipoteca il resto della medesima per ottenere mutui da una banca.
Viene inoltre ricordata, oltre alla violenza fascista ai danni delle popolazioni slave, anche quella comunista jugoslava ai danni degli italiani colà residenti – un riconoscimento invero non frequente nell’analisi cattolica croata di questo periodo storico, e per questo motivo ancora più lodevole, così come è apprezzabile l’accenno al rifiuto di «tutto ciò che potrebbe mettere a rischio la pace tra i fedeli, i popoli e gli Stati» chiaro ammonimento rivolto ai “ribelli" istriani e alla loro propaganda anti-italiana.
L’elemento più importante di questo comunicato è l’appoggio incondizionato espresso dai quattro arcivescovi al Papa e alla sua decisione a proposito dei beni di Daila. E’ tuttavia lecito dubitare che la posizione dell’intero consesso episcopale sia altrettanto unitaria, poiché già i vescovi di Gospic-Segna e di Sebenico, Bogovic e Ivas, hanno espresso pubblicamente la propria solidarietà al confratello vescovo istriano, e secondo fonti solitamente bene informate, anche altri vescovi si sono espressi, seppur non pubblicamente, allo stesso modo.
La situazione è estremamente confusa ma in continua evoluzione. Ogni giorno vengono rivelati nuovi particolari sulla natura dei beni contesi, che a quanto pare, e contrariamente alle prime affermazioni della diocesi, erano effettivamente di proprietà dei benedettini in quanto iscritti nel 1945 nei libri fondiari a nome dell’ordine religioso. La Diocesi appare in questo momento in posizione favorevole, forte dell’indubbio supporto popolare, anche tra i cattolici, dopo avere giocato con spregiudicatezza la carta del (falso) patriottismo e del sentimento anti-italiano (la parola d’ordine, ripetuta ossessivamente dal cancelliere della diocesi Jakovljevic e dai sacerdoti istriani, che quasi unanimemente appoggiano il loro vescovo, è «non daremo mai la terra istriana agli irredentisti»), e ora essa afferma che restituirà i terreni allo Stato, sia che spettino loro, sia che spettino alla controparte.
Come hanno notato alcuni osservatori, il vescovo Milovan e il cancelliere Jakovljevic sono destinati, presto o tardi, a essere rimossi dalle loro funzioni. Il grave problema è che i loro successori, e più in generale tutti i vescovi croati, si troveranno a gestire le macerie nei cuori dei fedeli provocate da questo scandalo, dalla durezza dei cuori e l’avidità per beni materiali, dalla disobbedienza verso il Papa e la Chiesa, nonché dall’odio seminato contro gli italiani.
In questi stessi giorni, mentre la Chiesa in Croazia dà scandalo, quarantamila giovani, provenienti da 80 Paesi, nel silenzio dei media si sono riuniti a Medjugorje - in Erzegovina, ma popolazione croata - per abbeverarsi del latte di pace, riconciliazione e amore che sgorga dal seno della Vergine Maria, Regina della Pace. E’ proprio vero ciò che molti dicono: Medjugorje è su un altro pianeta.