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CORPORAZIONI

La Consulta dà torto alla lobby dei tassisti: limita la libertà

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La Corte Costituzionale ha chiarito che il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (Ncc) è contrario alle norme sulla libera concorrenza. Messaggio utile anche per i balneari

Economia 23_07_2024
Coda per i taxi alla Stazione Centrale di Milano (La Presse)

Nei giorni scorsi la Corte Costituzionale, con una sentenza provvidenziale, ha chiarito che il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (Ncc) è contrario alle norme sulla libera concorrenza e dunque va cancellato. La sentenza sottolinea come tale restrizione abbia compromesso la possibilità di aumentare un’offerta già insufficiente.

Le licenze, dunque, vanno liberalizzate perché i cittadini all’occorrenza hanno il diritto di poter trovare un servizio di trasporto in tempi ragionevoli. Le lunghe code alle stazioni, negli aeroporti ma anche il sabato sera e in occasione di eventi pubblici nelle principali piazze delle grandi città, sono una vergogna nazionale e disincentivano la mobilità oltre che frenare il turismo.

La tirannia imposta ai governi dalla cosiddetta lobby dei tassisti, che minaccia di bloccare le città ricattando quanti provano ad attuare il principio costituzionale della libera iniziativa economica privata, ha prodotto danni ingenti al Paese. Nella disputa tra tassisti e società di Noleggio con conducente (Ncc) a soccombere sono milioni di italiani che patiscono limitazioni assurde e contrarie alla democrazia.

Il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio Ncc fino alla piena operatività del registro informatico nazionale -spiega la Corte Costituzionale- ha permesso per oltre cinque anni alle autorità amministrative di alzare una barriera all’ingresso per nuovi operatori, compromettendo gravemente la possibilità di aumentare un’offerta già carente.

Dunque, nella sentenza n.137, depositata la settimana scorsa, la Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo del decreto legge n.135 del 2018 che imponeva restrizioni alle nuove licenze. D’altronde già l’Antitrust aveva posto il problema di una norma che provoca un grave pregiudizio all’interesse della collettività. Ad essere penalizzata è la stessa libertà di circolazione, che è essenziale per l’esercizio di altri diritti costituzionali, ad esempio quello di riunione o all’assistenza sanitaria.

Su questo punto il governo Meloni si è comportato esattamente come gli altri, cioè ha delegato ai Comuni le decisioni sulle licenze ma senza varare una seria politica di liberalizzazione. Ci vorrebbe una nuova legge quadro sul trasporto pubblico non di linea, ma a Palazzo Chigi preferiscono tirare a campare per evitare di scontentare lobby consolidate come quella dei tassisti, che pretendono di essere tutelati a vita per una licenza acquistata magari 20 o 30 anni fa e abbondantemente ripagata con i guadagni delle corse.

Un governo che ha una solida maggioranza come quello attuale dovrebbe avere il coraggio di assumere posizioni in difesa dei consumatori, anche per ridimensionare corporativismi e rendite di posizione che ostacolano lo sviluppo liberale della società e dell’economia. La libera concorrenza porterebbe anche benefici ai consumatori: ci sarebbero migliori servizi di trasporto e a prezzi più competitivi. La qualità ne guadagnerebbe.

Ma il clima di invidia sociale che si sta creando nel Paese non promette nulla di buono. L’episodio di qualche giorno fa a Malpensa, dove un conducente Ncc è stato preso a bastonate da un tassista, la dice lunga sulle tensioni che si agitano nel settore. Occorre un governo autorevole e deciso per attutire gli urti dello scontro sociale che certamente potrebbe innescarsi.

Non solo per quanto riguarda la questione delle licenze taxi ma anche per quanto attiene ad altri dossier caldi e tutti da affrontare e gestire. In particolare quello dei balneari, destinato ad esplodere già in agosto, con minacce di scioperi da parte degli addetti ai lavori che, anche in questo caso, pretendono di continuare ad essere privilegiati a danno di cittadini e turisti che pagano profumatamente ombrelloni e lettini perché i governi non hanno la forza e l’autorevolezza di aprire aste pubbliche per l’assegnazione delle concessioni balneari.

Il modo in cui l’Italia amministra le concessioni balneari è in contrasto con la normativa europea, perchè si è proceduto con rinnovi di anno in anno e i governi che si sono succeduti nel nostro Paese dal 2006 in poi hanno sempre rinviato il riordino del settore. La Commissione Ue ha già avviato due procedure di infrazione contro l'Italia dal 2009. Tuttavia, diversi governi italiani hanno ripetutamente cercato di aggirare le riforme favorevoli alla concorrenza, aumentando addirittura il numero di concessioni. Un grande spreco: lo Stato svende le sue spiagge, concedendole a soggetti privilegiati con affitti irrisori e un’elevata evasione fiscale. E le spiagge libere hanno sempre meno spazio. Le concessioni balneari sono in tutto 26.689, ma di queste ben 21.581 (circa il 70 per cento) ha un valore inferiore ai 2.500 euro all’anno, pari a 200 euro al mese (altro che saldi, qui si può parlare di veri e propri regali!). I canoni di concessione di tutte le spiagge italiane rappresentano appena il 2 per cento del fatturato di tutti gli stabilimenti balneari del Paese. Tutto senza gara e in continua proroga. Con l’aggiunta di una segnalazione che arriva direttamente dall’Agenzia delle entrate: due gestori su tre non dichiarano al fisco il dovuto dei loro incassi.

Questo allegro andazzo ha fatto la fortuna di operatori improvvisati, poco professionali e attenti solo a incamerare utili per attività improvvisate, contando su amministratori locali compiacenti. Inoltre, è stato sfruttato dalla malavita, che ha messo in piedi un vero e proprio business per riciclare denaro anche attraverso quelle attività.

La direttiva Ue Bolkestein continua ad essere ignorata e la “lobby del mare” anche quest’estate stappa champagne, confermando il vero volto illiberale delle politiche governative in materia. E’ ora di voltare pagina e di dimostrare che la stabilità politica non è un valore fine a se stesso ma la precondizione per porre fine a radicati privilegi e per varare riforme di sistema finalizzate a rilanciare la competitività del Paese.