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GLOBAL GENDER GAP INDEX

La condizione femminile peggiora in Africa e Asia

Secondo il rapporto annuale del WEF le disuguaglianze tra uomini e donne (in 146 Paesi) sono diminuite di appena 0,2 punti rispetto al 2021. Colpa della pandemia, certamente, ma anche del significativo impatto di alcune aree del mondo dove norme tribali e Islam incidono pesantemente. Per colmare il divario in Asia meridionale ci vorranno 197 anni.

Attualità 21_07_2022
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Il 13 luglio il World Economic Forum (WEF) ha presentato al pubblico il Global Gender Gap Index 2022, un rapporto che dal 2006 ogni anno misura le disuguaglianze di genere, globalmente, per nazioni e per aree geopolitiche, e stima il tempo ancora necessario per colmare il divario tra uomo e donna e raggiungere la piena parità. Gli ambiti considerati sono quattro: partecipazione e opportunità economiche, educazione, salute e sopravvivenza, partecipazione politica. Ogni ambito comprende diversi parametri. Il divario in ambito economico, ad esempio, viene analizzato considerando parametri quali l’accesso al mercato del lavoro, il divario di retribuzione a parità di occupazione, il reddito da lavoro, la percentuale di donne in posizioni professionali ad alta specializzazione. 

L’indice globale 2022 è stato calcolato grazie ai dati raccolti in 146 Paesi, 102 dei quali sono stati monitorati ininterrottamente fin dal 2006. Il primo dato da evidenziare è la notevole differenza che si registra a seconda degli ambiti considerati. Il divario più vicino a essere colmato è quello relativo alla salute, completato al 95,8% (rispetto al 95,7% dell’indice 2021). Segue l’istruzione scolastica, raggiunta al 94.4%, che però arretra di 0,8 punti (era al 95,2%). Il divario nella partecipazione economica pur migliorando di 1,6 punti, è superato solo al 60,3%, quello nella partecipazione politica risulta invariato ed è al 22%.

La media globale dei risultati conseguiti è 68,1%, migliorata appena di 0,2 punti rispetto all’anno precedente. Le crisi innescate dalla pandemia di COVID-19 e soprattutto dal modo in cui la malattia è stata affrontata da certi governi hanno determinato un arretramento nella condizione delle donne in molti paesi. In alcuni casi i dati indicano che la pandemia ha fatto arretrare di una generazione la situazione della parità tra i sessi. Ad esempio, a differenza di altre crisi economiche che in passato hanno penalizzato la forza lavoro maschile, la pandemia ha fatto perdere di gran lunga più posti di lavoro alle donne. In parte questo è dovuto al fatto che molte donne hanno smesso di lavorare per prendersi cura di figli e fratelli rimasti a casa nei periodi di lockdown totale. Adesso molte stentano a rientrare nel mondo del lavoro. La chiusura delle scuole per lunghi periodi inoltre ha avuto ripercussioni sulla carriera scolastica di tante bambine e ragazzine che a scuola non sono più tornate alla fine dell’emergenza sanitaria: perché, dove i matrimoni precoci sono diffusi, nel frattempo si sono sposate, sono diventate madri o semplicemente perché le famiglie hanno deciso di far loro interrompere gli studi. Soprattutto in Asia e in Africa, quando per qualche motivo uno studente lascia la scuola, è più difficile che ci ritorni, se è una femmina. L’abbandono scolastico incide significativamente di più sulle bambine.

Le 374 pagine del rapporto illustrano nel dettaglio la situazione della condizione femminile sulla base dei parametri esaminati dai ricercatori del WEF. Il dato complessivo più rilevante, e di certo non sorprendente, è costituito dalle sensibili differenze regionali. L’America del nord è l’area geopolitica che più ha superato il divario di genere, raggiungendo una percentuale del 76,9%, grazie soprattutto ai risultati ottenuti negli Stati Uniti. Segue l’Europa, con il 76,6%, merito in gran parte dei molti Stati in cui il divario risulta superato per oltre l’80% (l’Italia al 63° posto nell’indice, con una percentuale del 72%, non è tra questi). America Latina e Caraibi hanno colmato il 72,6% del divario, l’Asia centrale il 69,1%, l’Asia orientale, il 69%. In tutte e tre le regioni la situazione è rimasta sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. In sesta posizione si trova l’Africa subsahariana, con il 67,8% di divario superato, ma che ha registrato il suo peggior risultato in 16 anni. È seguita da Medio Oriente e Nord Africa con il 63,4%, anche in questo caso una percentuale invariata. Ultima viene l’Asia meridionale con il 62,4%, la regione in cui si è verificato un arretramento generale. 

Come si è osservato, non sorprende che l’indice del World Economic Forum veda America del nord ed Europa significativamente più vicine all’annullamento del divario tra uomini e donne e ultimi invece Africa, Medio Oriente e Asia meridionale. Quelli di America del nord ed Europa sono paesi ad alto reddito, nei quali il rispetto dei diritti umani è universalmente riconosciuto e, per quanto imperfettamente, tutelato da leggi e consuetudini. In Africa, Medio Oriente e Asia (non solo meridionale) norme tribali e Islam si combinano per sottomettere tuttora le donne a istituzioni che le discriminano, ne limitano diritti e libertà personali: ancora si praticano matrimoni combinati e precoci, mutilazioni genitali femminili, forme degradanti di segregazione e assoggettamento.

Le percentuali calcolate dall’Indice quantificano situazioni note, confermando un profondo divario culturale e sociale tra aree geopolitiche, tra civiltà: tale da configurare uno scontro, secondo l’analisi discussa eppure fondata di Samuel Huntington. L’entità del divario risulta ancora più evidente se si considerano i tempi in cui presumibilmente si verificherà il superamento totale del divario tra i sessi. Globalmente, secondo il WEF, di questo passo ci vorranno 132 anni. Ma l’America del nord potrebbe raggiungere il traguardo entro 59 anni e l’Europa entro 60. In Africa subsahariana ci vorranno 98 anni, in Africa del nord e Medio Oriente 115 e in Asia meridionale 197.