La "comunicazione da tempo di guerra" che Monti vuole
L'informazione sul Covid ha provocato spesso panico e confusione, come si può vedere anche ora con la comparsa della variante Omicron. Ma per sanare il problema, Monti ha calcato la mano, chiedendo pubblicamente di "dosare" l'informazione, organizzandola dall'alto, come in tempo di guerra. Silenzio dei giornalisti.
Con un’informazione più corretta e responsabile l’andamento del Covid sarebbe stato lo stesso? A questa domanda ognuno è autorizzato a dare la sua risposta, anche perché la storia non si fa con i se. Certo è che la comunicazione istituzionale sul virus è stata inadeguata e il terrorismo mediatico fomentato per lunghi tratti della pandemia dai principali mezzi d’informazione, con la complicità dei virologi, ha prodotto danni enormi alla collettività. Ora cominciano ad ammetterlo anche quelli che alimentavano questa spirale e che si rendono conto di aver esagerato. E dalla Procura di Bergamo emergono sempre più nitidamente le responsabilità del precedente governo e si rincorrono voci di un possibile rinvio a giudizio del Ministro della Salute, Roberto Speranza, accusato di aver detto bugie sulle azioni di contrasto al virus.
L’ultimo allarme relativo alla variante Omicron conferma che non è cambiato nulla e che la gente si sta assuefando all’emergenza permanente e alla paura stabile, aderendo a una visione distorta di normalità, quella delle continue rinunce a libertà e diritti. Viene considerato eretico chi, pur rispettando le regole, prova a confutarne la validità e a proporre soluzioni alternative, visto che la situazione attuale presenta ancora ampi margini di incertezza, nonostante l’accelerazione sulle terze dosi di vaccino.
Ne abbiamo avuto prove tangibili anche durante i talk show degli ultimi giorni. Una parte consistente del mondo del giornalismo sembra ormai imbalsamata e inchinata a un pensiero dominante del tutto acritico e piegato alla narrazione dominante, che però non si fonda su evidenze scientifiche. E c’è addirittura chi sostiene che bisognerebbe zittire eventuali opinioni alternative perché con “meno democrazia” nell’informazione sul Covid vivremmo tutti meglio. Non è un pericoloso sovversivo a sostenere questa tesi, bensì un senatore a vita. Mario Monti, ospite qualche sera fa a “In Onda”, su La 7, ha sparato a zero sulla confusione nei mezzi di informazione e ha invocato un’informazione calata dall’alto e gestita dal Governo, con messaggi univoci e quindi nessuna opinione contraria. In linea del tutto astratta, che il potere esecutivo, su temi di interesse generale, diffonda messaggi di pubblica utilità fondati su riscontri certi e inequivocabili, sarebbe anche giusto. Peccato, però, che in materia di Covid non esistano certezze e si navighi a vista, con un susseguirsi vorticoso e incoerente di messaggi contraddittori, promesse vaghe e fuochi fatui, che ha destabilizzato l’opinione pubblica, sempre più disorientata e scoraggiata. C’è un antefatto, tutt’altro che irrilevante. Monti non è solo un senatore a vita e un ex Presidente del Consiglio. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’anno scorso, ha istituito una Commissione paneuropea dell'agenzia Onu per la salute e lo sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di ripensare le priorità relative alle politiche pubbliche da attuare alla luce della pandemia, e ne ha affidato proprio a lui la presidenza.
Anche in ragione di questo suo ruolo l’ex Rettore della Bocconi si è sentito legittimato a calcare la mano in tema di disinformazione. Peccato però che abbia usato un’espressione infelice, che è diventata virale e che avrebbe dovuto suscitare indignazione nel mondo giornalistico. E invece nulla. «Di colpo – sono le parole pronunciate da Monti in tv - abbiamo visto che il modo in cui è organizzato il mondo è disunito. Abbiamo iniziato a usare il termine guerra, ma non abbiamo usato una politica di comunicazione adatta alla guerra. Bisognerà trovare un sistema che concili la libertà di espressione ma che dosi dall’alto l’informazione. Parlando continuamente di Covid si fanno solo disastri. Comunicazione di guerra significa che ci deve essere un dosaggio dell’informazione. Bisogna trovare delle modalità meno democratiche. Abbiamo accettato limitazioni molto forti alla nostra libertà di movimento. Il governo istruito dalle autorità sanitarie dovrebbe tenere le redini di questo modello di comunicazione».
Parole indubbiamente forti. Se le avesse pronunciate l’ex premier Silvio Berlusconi all’epoca del cosiddetto “Editto Bulgaro”, sarebbero state immediatamente bollate come liberticide dalla totalità o quasi dei mezzi d’informazione. Ma anche oggi, se a farle proprie fosse stato un esponente della destra, qualcuno avrebbe gridato allo scandalo. E’ la conferma di un radicato pregiudizio del mondo dell’informazione italiana, duro a morire, come riconoscono onestamente anche tanti giornalisti che si autodefiniscono di sinistra.
Non è un caso che nello studio televisivo de La7 nessuno abbia fiatato, anzi i giornalisti che intervistavano Monti, anziché trasalire, si sono quasi mostrati compiaciuti. Eppure la libertà d’opinione è sacra e auspicare che i punti di vista alternativi a quello del governo possano essere censurati in nome dell’interesse nazionale è davvero aberrante. Diffondere notizie false è reato, incitare all’odio è reato, ledere i diritti della personalità altrui è reato, ma interpretare in maniera difforme dalle posizioni ufficiali del Governo una situazione incerta, in evoluzione e sulla quale perfino gli scienziati dicono tutto e il contrario di tutto, è assolutamente lecito e democratico. Impedire la libera circolazione delle idee sul Covid e dei punti di vista sulle strategie messe in campo dai governi per limitare la pandemia è qualcosa che somiglia tanto al bavaglio. Che ci siano tanti giornalisti accondiscendenti nei confronti degli intervistati non è sintomo di una democrazia dell’informazione matura. Il giornalista incalza, scava, approfondisce, non dà mai nulla per scontato e deve innamorarsi inguaribilmente del pluralismo delle idee se non vuole diventare un passacarte e un megafono acritico di opinioni altrui.
Sarebbe stato un bel gesto se qualcuno (lo stesso Monti o i conduttori) avesse spiegato ai cittadini che l’auspicio di una “minore democrazia” era solo una iperbole per auspicare un’informazione più ordinata e responsabile. C’è davvero da sperare che fosse così e che quelle parole del senatore a vita non nascondessero un recondito e inconfessabile desiderio di omologazione e di compressione del dissenso.
Meno male che il Presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna gli ha risposto per le rime: «Le parole di Mario Monti non meriterebbero neanche una replica, trattandosi di affermazioni prive di alcun senso democratico e in contrasto evidente con la Costituzione italiana e con i principii europei in tema di libertà di informazione». Silenti, invece, i “soloni” del giornalismo, che vorrebbero l’abolizione dell’Ordine ma poi tacciono di fronte a incresciosi episodi come questo.