La compagnia aerea: Ita, così giovane e già così in perdita
Ita è la nuova compagnia di bandiera dopo la fine di Alitalia. In due mesi e mezzo di vita ha perso 170 milioni di euro, più di 2 milioni al giorno. La quarta ondata di Covid ha quasi del tutto fermato i viaggi e il carburante è rincarato. I vertici dell'azienda ostentano ancora ottimismo, ma temono una class action degli ex dipendenti Alitalia.
Sulle ceneri di Alitalia è nata Ita, la nuova compagnia aerea di bandiera. All’entusiasmo iniziale si è subito sostituito il realismo degli ultimi giorni: un po' per colpa di Omicron, un po' per l’aumento del carburante, il settore è in agonia su base mondiale, con tutte le incognite che ne derivano in termini occupazionali.
Il turismo va al rallentatore, quello congressuale è praticamente fermo, e la gente si muove meno anche per gli spostamenti di puro piacere. I voli offrono tariffe scontatissime per sopravvivere e per accaparrarsi i pochi viaggiatori rimasti, ma registrando ingenti perdite. Ecco perché Ita, nonostante la cura dimagrante impostale dalla disastrosa situazione finanziaria di Alitalia, sembra già in grosse difficoltà. Solo una repentina uscita dalla pandemia potrebbe consentire alla nuova compagnia aerea di bandiera di invertire la rotta.
Intanto le cifre sono impietose e disarmanti. In due mesi e mezzo di vita la nuova compagnia ha perso 170 milioni di euro, pari a circa 2,2 milioni di euro al giorno. Lo hanno comunicato i vertici (il presidente Alfredo Altavilla e l’amministratore delegato, Fabio Lazzerini) in un’audizione parlamentare, pur dicendosi convinti che si tratti di un periodo transitorio legato alla contrazione dei ricavi e ai rincari del carburante. Anzi, Altavilla ha sostenuto che l’attenzione sui costi dei servizi e delle forniture ha consentito alla compagnia di mantenere inalterato il risultato e quindi di realizzare buone performance. Il presidente aveva dato conto di ricavi del 50% al di sotto delle previsioni del piano industriale, spiegando la cattiva performance con la recrudescenza del virus, la perdita delle rotte per la Sardegna e il ritardo nella campagna promozionale del nuovo vettore. La compagnia attualmente dispone di circa 440 milioni di euro di liquidità, a fronte di un’iniezione iniziale di capitale di 770 milioni di euro.
Ma la congiuntura straordinariamente sfavorevole non può e non deve diventare un alibi per la governance. Ita annuncia nuove assunzioni e scommette sulla ripresa. «La flotta iniziale è vero che è stata dimezzata. Già nel corso di quest’anno aumenterà del 50% arrivando a 78 aerei, per tornare ai 105 aerei entro il 2025. Mettere in operazione il 50% di aerei in più in un anno è un’operazione che non è mai stata fatta in Europa», ha dichiarato il presidente Alfredo Altavilla, aggiungendo che «le assunzioni stanno andando avanti assolutamente regolarmente non tenendo conto della variante Omicron. Perché l’assunzione non è un interruttore on/off, ma le tempistiche di training necessitano un adeguato periodo di formazione».
Ma sul futuro di Ita pende la spada di Damocle dei fantasmi del passato, vale a dire della chiusura traumatica dell’esperienza di Alitalia. Le cause legali avviate da ex lavoratori della precedente compagnia e supportate dalle rappresentanze sindacali potrebbero tarpare le ali a Ita, che pure non è partita nel migliore dei modi, come documentano questi primi dati. «L’espressione più o meno colorita o infelice che "noi non siamo la Croce rossa dell’Alitalia" era riferita al discorso della class action: se queste class action avessero successo, e dovessimo assumere tutte le persone che erano nel ramo aviation della vecchia Alitalia, avendo una flotta dimezzata e un traffico ridotto del 60%, credo che in meno di sei mesi portiamo i libri in tribunale: quindi se qualcuno vuole trovare il modo far fallire questa operazione, questo è il sistema migliore», sentenzia il manager. Peraltro Ita ha comprato il marchio Alitalia per 90 milioni di euro e continuerà a utilizzarlo in futuro per operazioni di rilancio del brand e di sviluppo di nuovi collegamenti.
Intanto, però, questa falsa partenza di Ita torna ad agitare lo spettro dell’assistenzialismo di Stato, dopo che l’Italia aveva già speso circa 13 miliardi di euro di soldi pubblici in 47 anni per operazioni di salvataggio di Alitalia. La cura dimagrante imposta, anche in termini occupazionali, a Ita, per far partire il new deal della compagnia di bandiera, dovrebbe essere la garanzia sufficiente di una svolta organizzativa e gestionale. Se, nel giro di qualche tempo, si dovesse ritornare a chiedere agli italiani altri sacrifici per mantenere in vita la compagnia aerea di bandiera, perderebbe definitivamente ogni credibilità l’ostinazione con cui per decenni la si è difesa, in nome di un’italianità che non ha giovato da nessun punto di vista al trasporto aereo e all’orgoglio nazionale.