La cittadinanza naturale e quella artificiale
Quando lo Stato non esisteva nemmeno, le persone facevano parte delle nazioni, avevano le loro patrie, tessevano legami sociali e politici, erano “qualcuno”, senza che ciò fosse concesso dallo Stato. C’era una “cittadinanza naturale”, mentre ad un certo punto della storia si è creata una cittadinanza artificiale
Quali sono le condizioni per concedere la cittadinanza? Il tema è alla ribalta in questi giorni, non solo per le polemiche sullo ius scholae, ma anche per alcuni gravi delitti compiuti da immigrati ormai di seconda generazione. In rete si sono moltiplicate osservazioni di questo genere: la cittadinanza non consiste in un foglio di carta timbrato.
Non entriamo qui negli aspetti pratici e procedurali, ma cogliamo l’occasione per una riflessione più generale. Oggi si ritiene ormai quasi all’unanimità che il conferimento della cittadinanza consista in un atto dello Stato. Noi siamo cittadini italiani perché lo Stato ci riconosce tali. Come ha riconosciuto noi con un atto amministrativo, così nello stesso modo può riconoscere altri. Ciò significa che se siamo cittadini italiani lo dobbiamo allo Stato e che, se non ci fosse lo Stato non ci sarebbero cittadini italiani.
L’Italia, politicamente parlando, non esisterebbe, come rispettivamente non esisterebbero i cittadini degli altri Stati. Secondo questa visione, lo Stato deve precedere i cittadini: prima ci deve essere lo Stato e poi noi cittadini. Il rapporto con lo Stato è il primo e principale, poi semmai vengono i rapporti nella società civile, nel territorio o in famiglia, i quali sono esplicazioni del primario status di cittadino e quindi devono essere normati anch’essi dallo Stato.
Il cittadino è prima uomo o è prima cittadino? Per questa visione le due cose si identificano, perché lo status di maschio, di padre, di lavoratore, di residente in un certo luogo si danno perché lo Stato li riconosce come espressioni della cittadinanza da esso conferita, e quindi conferiti anch’essi dall’alto. Se niente viene prima dello Stato, il cittadino coincide con l’uomo. Lo Stato può anche inventarsi quali debbano essere le condizioni per ottenere la cittadinanza.
Non ha sotto di sé e prima di sé una dimensione naturale della comunità nazionale alla quale ispirarsi, perché prima di sé ci sono solo apolidi, persone senza volto perché prive di riconoscimento da parte dello Stato. È lo Stato che fa la nazione e quindi non ci può essere una nazione (italiana o altra) che indica allo Stato cosa pretendere dai nuovi arrivati.
Questo modo di vedere così innaturale è stato elaborato nella modernità. Questa è la cittadinanza secondo Hobbes, Rousseau, Kant, Hegel. Prima di loro, quando lo Stato non esisteva nemmeno, le persone facevano parte delle nazioni, avevano le loro patrie, tessevano legami sociali e politici, erano “qualcuno”, senza che ciò fosse concesso dallo Stato. C’era una “cittadinanza naturale”, mentre ad un certo punto della storia si è creata una cittadinanza artificiale, non costituita dal basso, vale a dire dai ritmi naturali della vita, ma decretata dallo Stato, e ora siamo costretti ad inventare mille strade artificiose oltre che artificiali per la concessione – la concessione! – della cittadinanza.