La Città di Dio. L'eredità di Benedetto XVI
L’unico tema sociale che stava veramente a cuore a Ratzinger era quello del posto di Dio nel mondo. Come riaprirlo dopo che il mondo aveva espulso Dio dalla pubblica piazza? Da qui la strenua rivendicazione del ruolo pubblico della fede.
Il 28 febbraio di un anno fa, alle ore 20,00, Benedetto XVI lasciava il Pontificato. Con ciò egli apriva il periodo della “vacanza” in vista della elezione del nuovo Pontefice e nello stesso tempo, uscendo di scena, ci lasciava una sua eredità. Ad un anno di distanza questa eredità risulta ancora molto preziosa. Di una parte di essa, quella relativa alla dottrina sociale, mi sono occupato nel libro Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Il posto di Dio nel mondo. Potere politica legge (Cantagalli 2014) e curando il fascicolo monografico del Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa avente lo stesso titolo e in distribuzione in questi giorni.
Il lascito di Benedetto XVI riguarda meno i singoli temi di un’agenda sociale, quanto piuttosto la grande architettura del rapporto tra religione cristiana e costruzione della società umana. La grande lezione di Regensburg del 12 settembre 2006, pur essendo formalmente dedicata ad altro, contiene già tutto l’impianto del rapporto tra verità della fede cattolica e verità della politica: esiste una coesione del cosmo della ragione, non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio, il cristianesimo si collega originariamente con la ragione che non aveva tacitato la domanda su Dio e non con le religioni del mito, l’età moderna ha prodotto una separazione tra fede e ragione che ha indebolito e quasi annientato anche la stessa ragione.
Questo grandioso quadro, che Joseph Ratzinger nella sua lunga vita di teologo e di Pontefice ha approfondito e analizzato in tutte le possibile dimensioni, è applicabile anche al rapporto tra la ragione pubblica e la fede cristiana. Quando la ragione pubblica rifiuta Dio è perché ha tacitato la propria domanda sulla verità, cessando di essere pienamente ragione. Così facendo, però, la ragione pubblica non si rende neutra ed autonoma da Dio, ma, dato questo peccato di superbia, diventa essa stessa Dio. Ecco la dittatura del relativismo.
L’unico tema sociale che stava veramente a cuore a Ratzinger era quello del posto di Dio nel mondo. Come riaprire un posto di Dio nel mondo dopo che il mondo aveva espulso Dio dalla pubblica piazza? Da qui la strenua rivendicazione del ruolo pubblico della fede cattolica, soprattutto nella difesa del creato, dell’ecologia umana e dei principi non negoziabili. Questo poteva avvenire se la fede si fosse incontrata con quanti pensavano ancora che la ragione fosse capace di verità pubblica e che lo spazio pubblico fosse ancora lo spazio della verità e non solo delle opinioni. Il dialogo tra cattolici e laici egli lo pensava così. L’estenuazione della ragione produce mostri perché gli uomini si trovano davanti a scelte drammatiche guidati solo dalla dittatura del relativismo. La fede nel Logos poteva ridare fiato alla ragione e con essa instaurare il dialogo perduto.
Ecco perché, secondo Benedetto XVI, il terreno decisivo sarebbe stata l’Europa o, se vogliamo, l’Occidente. È stato proprio qui, infatti, che per la prima volta si è sviluppata una cultura che non nasce dalla religione ma dalla negazione di Dio. Qui, per la prima ed unica volta, la ragione non solo si è staccata dalla religione ma lo ha fatto assolutizzando dapprima se stessa e poi, alla fine, distruggendosi. Senza la fede in Dio, la ragione rimane priva di fede in se stessa e allora la vita politica è solo terreno per gli interessi o per lo scorazzare dell’“io e delle sue voglie”. Proprio perché tutto è avvenuto qui e da qui poi si è esteso alle periferie continentali, da qui si doveva ricominciare. Solo se la fede, come Risposta, avesse nuovamente suscitato nella ragione la meraviglia per le domande essenziali, ontologiche e metafisiche, la relazione tra ragione e fede nella pubblica piazza si sarebbe potuta ricucire. Il problema di fondo non è tanto pastorale o esistenziale, quanto teologico, culturale, dottrinale.
“Non esiste un ambito delle questioni terrene sottratto a Dio creatore e al suo potere” aveva detto Benedetto XVI ai vescovi americani il 19 gennaio 2012, facendo dipendere da questa convinzione la natura e la modalità della stessa nuova evangelizzazione. Tale centralità di Dio non ha smesso di essere vera anche nel contesto della democrazia e del pluralismo. La religione vera interpella tutta la verità umana e le chiede di essere fino in fondo se stessa in tutte le sue dimensioni, compresa la dimensione della ragione pubblica. La religione vera non accetterà mai di essere trasformata in mito, soggettivo e consolatorio, e privata della sua propria missione di proclamare la signoria di Dio creatore e redentore anche nella costruzione della casa degli uomini. Il superamento storico di forme confessionali di organizzazione politica nulla toglie al principio che le persone e le società hanno un dovere verso l’unica religione di Cristo, dal quale dipende anche la loro stessa felicità umana.
Ratzinger ha molto amato Agostino, anche se ci sono molti indizi di un amore non meno forte per Tommaso. E Agostino non solamente distingue tra città di Dio e città dell’uomo, che molti interpretano come la negazione della centralità di Dio anche per la città dell’uomo, ma, come ebbe a scrivere Etienne Gilson, “Quel che resta vero nel modo più rigido ed assoluto è che in nessun caso la città terrena, e meno ancora la città di Dio, possono essere confuse con una forma di Stato qualsiasi, ma che lo Stato possa e debba perfino essere eventualmente utilizzato per i fini propri della Chiesa e, mediante essa, per la Città di Dio, è una questione totalmente diversa ed un punto sul quale Agostino non avrebbe nulla da obiettare”. E io credo nemmeno Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.