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COMUNISMO

La Cina dà altri giri di vite alla libertà religiosa

La Cina riforma la sua legge sulle Ong straniere, anche quelle cristiane, che operano sul suo territorio. Ora l'autorizzazione spetterà alla polizia. E’ un passo avanti o un passo indietro? Quasi certamente un passo indietro. E l'ultimo discorso di Xi Jinping non promette bene

Libertà religiosa 01_05_2016
Campagna di demolizione delle croci

La Cina riforma la sua legge sulle Ong straniere che operano sul suo territorio. La nuova normativa, che entrerà in vigore nel gennaio del 2017, riguarderà anche le organizzazioni cristiane. Di fatto, l’autorizzazione ad operare verrà trasferita dal Ministero degli Affari Civili a quello della Pubblica Sicurezza (polizia e forze dell’ordine). E’ un passo avanti o un passo indietro?

Il percorso della Cina è visto, molto spesso pregiudizialmente, come processo irreversibile che porterà il gigantesco paese verso una maggiore apertura, una maggiore libertà, anche di religione. Nel 2013 è stata annunciata la chiusura dei Laogai, i campi di concentramento. Nel 2015 è stata la volta della riforma della politica di controllo demografico, che ora permette anche due figli. Purtroppo ci sono incertezze sulla reale applicazione della legge contro i Laogai (e nessuno può seriamente controllare, da fonti indipendenti, se sono stati chiusi) e anche la riforma della “politica del figlio unico”, all’atto pratico suona come un bluff. Anche la riforma delle Ong viene ufficialmente salutata da media e autorità cinesi come un segno di maggior apertura, anche se il nome stesso del Ministero di Pubblica Sicurezza non suggerisce nulla di particolarmente tollerante, specie in Cina. Secondo Guo Linmao, funzionario dell’Assemblea del Popolo (il “parlamento” della Cina comunista), il decreto è “un’affermazione del contributo delle Ong straniere al nostro Paese”, come dichiara ad Asia News. Guo spiega usa termini rassicuranti, quando spiega che: “la scelta di dare il timone alla polizia è logica: sono loro che già gestiscono l’immigrazione e le attività singole degli stranieri”.

Ma secondo Lu Jun, fondatore della Yirenping (Ong impegnata nel campo sanitario e dell’occupazione): “Questa norma danneggerà in maniera seria il percorso dell’attività caritativa e quindi l’interesse pubblico del nostro Paese”. Il decreto, oltre a trasferire la competenza delle autorizzazioni alla polizia, elenca anche tutti gli ambiti in cui le Ong possono operare. Il “catalogo” non è ancora pronto. Per ora, da quel che si apprende, le organizzazioni straniere potranno operare in ambito di economia, istruzione, scienza e tecnologia, cultura, salute, sport, protezione dell’ambiente, interventi umanitari contro la povertà e i disastri naturali. Non è ancora specificato nulla sulla libertà di religione. Una Ong cristiana potrà impartire anche un’educazione di tipo religioso? Si attendono nuove disposizioni, ma il sospetto è che vi sarà, in futuro, ancor meno libertà religiosa.

E’ lecito essere pessimisti, osservando l’inasprimento delle campagne anti-cristiane condotte dal Partito Comunista Cinese proprio in questi ultimi anni. La responsabilità viene attribuita alle sezioni locali del partito e non a quello nazionale, ma intanto la campagna di rimozioni delle croci e di demolizioni delle chiese sta continuando senza sosta nella provincia di Zhejiang: dove si contano almeno 1700 croci distrutte e chiese demolite nell’ordine delle decine, dal 2013 ad oggi. Ha fatto giustamente scalpore, anche nei media internazionali, la demolizione della la chiesa di Beitou, nella città di Zhumadian, durante la quale Li Jiangong, insieme alla moglie Ding Cuimei, sono stati letteralmente seppelliti vivi. Mentre il pastore è riuscito miracolosamente a disseppellirsi e a salvarsi, la moglie non ce l’ha fatta. Testimoni raccontano a China Aid che i due coniugi siano stati sepolti a seguito di precisi ordini.

Su scala nazionale, la settimana scorsa il presidente Xi Jinping ha illustrato la politica sul rapporto con le religioni. Il presidente dice che il tema delle religioni è importantissimo “nell’ambito della sicurezza di Stato e dell’unificazione”. Il ché può essere letto come: le religioni possono costituire una minaccia sia alla sicurezza di Stato (al cui ministero ora vengono affidate le Ong), sia alla sua stessa unità. Dunque: repressione. Xi ha specificato che i gruppi religiosi “devono mescolare le dottrine religiose con la cultura cinese, ubbidire ai regolamenti e alle leggi cinesi, votarsi in modo completo alla riforma della Cina e all’apertura, alla modernizzazione socialista, per contribuire alla realizzazione del sogno cinese e al ringiovanimento nazionale”.

Di fatto, sono le religioni, cristianesimo incluso, che dovrebbero convertirsi all’ateismo di Stato, o per lo meno adeguarvisi. Stando al presidente, è il Partito Comunista che deve “sviluppare le teorie religiose con caratteristiche cinesi”, aderendo al principio di “indipendenza” e adattando la religione alla società socialista. Il presidente cinese ha anche ribadito che il Partito deve resistere alle “infiltrazioni religiose dall’estero”, vigilare su pensieri religiosi “estremisti”, fare attenzione ai contenuti religiosi on-line, propagare le teorie religiose del Partito e le indicazioni “diffondendo voci positive”. E’ difficile immaginare una maggior ingerenza dello Stato nella religione, poiché qui si prevede in intervento non solo nell’attività delle confessioni, ma anche nella loro stessa dottrina.