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DOPO IL G20

La Cina aspira a guidare il mondo, ma si illude

La Cina ospita il G20 e caldeggia una trasformazione del forum economico in una vera e propria seconda Onu, capace di guidare lo sviluppo economico del pianeta. La Cina spera di essere alla testa di un club esclusivo alla guida del progresso. Senza tener conto della sua crisi economica e demografica, ormai croniche.

Esteri 09_09_2016
Xi Jinping

Per rendere più agevoli gli spostamenti e più sicuri i lavori delle delegazioni della conferenza annuale delG 20, che ha avuto luogo nella città cinese di Hangzhou il 5-6 settembre scorsi, il governo di Pechino ha ordinato lo sgombero dalla città di circa due milioni di persone, un terzo dei suoi abitanti. Fabbriche e uffici sono stati chiusi, e il personale posto in ferie obbligate per sette giorni. I residenti nei grattacieli situati nei pressi degli edifici sede della conferenza sono stati obbligati lasciare i loro appartamenti e a cercare provvisorio alloggio in campagna o comunque altrove presso parenti. Per evitare il rischio di manifestazioni ostili i sospetti dissidenti sono stati messi agli arresti domiciliari oppure allontanati dalla città. E’ nella pace plumbea assicurata da questa enorme dimostrazione di potere autoritario che i lavori della conferenza annuale del G20 si sono svolti ad Hangzhou concludendosi con un comunicato finale in 48 punti in cui si delinea l’alba di un nuovo “sol dell’avvenire”: un nuovo mondo al centro del quale sta un G20 al centro del quale sta la Cina.

La grande stampa italiana ha fatto per lo più molta ironia sulla genericità e sulla retorica del documento. Ne ha fatta però anche troppa. Se infatti si ha la pazienza di leggerlo attentamente (il suo testo in inglese, l’unica lingua in cui sin qui è disponibile, è tra l’altro sul sito della Commissione Europea), non si tarda ad accorgersi di trovarsi di fronte al manifesto di un progetto di governo mondiale di tipo massonico. Poi si tratterà di vedere se tale progetto riuscirà a realizzarsi o meno, ma la buona volontà non manca. L’impronta è quella, ma per di più si tratta, rispetto all’originale, di una copia in peggio. Mentre la Massoneria del secolo XIX si autocandidava a guidare il mondo in nome di una sua (seppur presunta) superiorità intellettuale e morale, e mentre più tardi gli Stati Uniti giustificavano la loro egemonia planetaria sventolando la bandiera di campioni della libertà e della democrazia, il G20 a guida cinese non si preoccupa di porre nobili motivi alla sua aspirazione al primato nel secolo XXI: lo afferma come ovvio, punto e basta. E per soprammercato non gli dà alcun altro contenuto se non quello economico, il che è tanto più sorprendente se si considera quanto in questi anni il caso dell’Unione Europea stia dimostrando la fragilità di intese internazionali basate soltanto sulle convenienze dell’economia. 

Dopo avere nei primi cinque punti delineato l’attuale situazione economica internazionale, il comunicato finale così continua: “6. In questo quadro noi, i G20, in quanto forum primario per quanto concerne la cooperazione economica internazionale, diamo forma a un progetto integrato e organico di sviluppo forte, sostenibile, equilibrato ed inclusivo e perciò adottiamo il seguente pacchetto di politiche e di azioni – l’Hangzhou Consensus – basato su quanto segue: ( …)”.

Il testo continua delineando nel dettaglio tale “pacchetto”, che comprende anche molte indicazioni condivisibili. Ciò non toglie tuttavia che ci si debba grandemente preoccupare della sua struttura complessiva. Alla base di essa c’è evidentemente l’idea di far assumere ai 20 Paesi membri del Gruppo il ruolo che sarebbe dell’Onu e delle organizzazioni ad essa collegate. Sul fatto che l’Onu e la sua galassia di enti specializzati siano da un lato in crisi e dall’altro sempre più in preda di ideologie relativiste e neo-autoritarie non c’è alcun dubbio. Una loro profonda riforma è di certo urgente: una riforma però, non la sua sostituzione con qualcosa di peggio. Ciò che infatti il documento finale di Hangzhou delinea è un direttorio dei 20 Paesi più ricchi o più popolosi del mondo, la maggior parte in termini di abitanti e di risorse ma solo il 10 per cento degli Stati oggi esistenti, che decidono anche per tutti gli altri.

Motivi di ulteriore preoccupazione vengono poi dal fatto che dietro tutto questo sta la Cina, un Paese che si ritiene da sempre al centro del mondo e che ha sempre faticato molto ad accettare il principio della parità nel campo delle relazioni internazionali. Nemmeno le sue vicissitudini nell’epoca coloniale hanno scalfito tali pretese, che oggi riaffiorano di pari passo l’inizio del declino degli Stati Uniti. In tale prospettiva l’ “Hangzhou Consensus” è inteso a Pechino come un primo importante passo avanti sulla via dell’affermazione tanto a lungo attesa della centralità della Cina alla scala planetaria. “Creeremo una Task Force del G20”, si legge al punto 11 del comunicato finale, “per portare avanti l’agenda del G20 sull’innovazione, la nuova rivoluzione industriale e l’economia digitale con il sostegno dell’OECD e di altre importanti organizzazioni internazionali”. Si farà cioè un comitato ristretto, una giunta di cui certamente la Cina sarà uno dei membri principali. Si punta insomma a creare un nuovo baricentro mondiale delle relazioni internazionali che, a differenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, non ruoterà più attorno alle grandi democrazie.

Tenuto conto dei caratteri strutturali della crisi economica che la Cina sta attraversando, e della gravissima crisi demografica nella quale sta entrando, è molto probabile che la realtà delle cose non corrisponderà a questo sogno di gloria. Indipendentemente dalla sua possibilità di attuazione questo sogno influirà tuttavia sulla politica estera di Pechino, e in modo probabilmente non positivo. Se l’Europa non rinasce in quanto soggetto attivo e di rilievo sulla scena internazionale diventa inevitabile che i vuoti che gli Stati Uniti lasciano dietro sé, o abbandonando o comunque riducendo la loro presenza in alcune parti del globo, diventino campo di caccia di nuove vere o presunte grandi potenze, dalla Turchia nel Levante alla Cina in Asia. Potenze grandi quanto basta per stare alla ribalta della scena, ma non abbastanza per stabilizzare le situazioni.