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SINODO/LA PASTORALE

La Chiesa non ha mai abbandonato i divorziati risposati

Non da oggi, ma sin da quando la pratica del divorzio si è diffusa fra i fedeli, la Chiesa ha sempre mantenuto un atteggiamento di misericordia, comprensione e accoglienza nei confronti dei divorziati e risposati. Senza ingannarli sulla verità della loro situazione, testimoniando una sincera carità fraterna. 

Ecclesia 06_10_2014
Una coppia accolta da Giovanni Paolo II

Proseguiamo il nostro discorso in merito agli strumenti pastorali indicati dalla Chiesa per venire incontro a quei fedeli che hanno deciso di divorziare e poi di risposarsi.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, edito nel 1992, così si esprime: “Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio” (1651).

In modo analogo nella esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio, pubblicata nel 1981, Giovanni Paolo II afferma che “la Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza […]. Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza […]. Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (84).

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004 ripete quasi fedelmente le parole della Familiaris Consortio. Ne riportiamo quindi solo l’incipit: “La Chiesa non abbandona a se stessi coloro che, dopo un divorzio, si sono risposati. La Chiesa prega per loro, li incoraggia nelle difficoltà di ordine spirituale che incontrano e li sostiene nella fede e nella speranza”. (226)

Nella Nota pastorale della CEI del 1979 dal titolo “La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali difficili” si forniscono concrete indicazioni per rimanere vicino e coinvolgere questi credenti in difficoltà: “Il sacerdote, ma anche parenti o vicini di casa, come pure coppie particolarmente sensibili e preparate, dovrebbero avvicinare i divorziati risposati e iniziare - nella più grande delicatezza - quel dialogo che potrebbe illuminarli circa la posizione della Chiesa verso di loro, senza ingannarli sulla verità della loro situazione ma insieme testimoniando una sincera carità fraterna. Le occasioni non mancano: la nascita di un bambino, la richiesta del suo Battesimo, una dolorosa prova o un lutto familiare, la visita delle case, la domanda che il figlio frequenti scuole o ambienti gestiti da personale religioso, ecc.” (parte II, 19). Non si esclude nemmeno la strada canonica della dichiarazione di nullità: “Nell'ambito della sollecitudine pastorale verso i divorziati risposati si pone il problema - specialmente da parte del sacerdote – di esaminare con cura se il primo Matrimonio sia invalido. Nel caso di fondato motivo per l'invalidità occorrerà aiutare concretamente le persone interessate a rivolgersi al Tribunale ecclesiastico” (parte II, 1.20). Successivamente la Nota indica gli strumenti per partecipare alla vita della Chiesa: l’ascolto della Parola di Dio, la vita di preghiera, la partecipazione alla Messa, le “opere materiali e spirituali di carità che edificano la comunità ecclesiale (cfr. parte II, 21 e 23). Data però la loro situazione irregolare “è evidente che i divorziati risposati non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettore, il ministero di catechista, l’ufficio di padrino per i sacramenti”. (parte II, 22).

Uguale premura per l’anima di questi fedeli viene espressa anche nel documento Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa Italiana (25 luglio 1993) della CEI. Al n. 201 la Conferenza Episcopale Italiana insiste anche sull’aspetto preventivo: “Perché possa essere accogliente e misericordiosa, l'azione pastorale dovrà comprendere insieme l'aspetto dell'assistenza e quello della prevenzione. Senza dubbio, è necessario intervenire nei casi di vera e propria crisi e offrire contributi puntuali e specifici per cercare di risanare, o almeno di avviare ad un qualche miglioramento, le situazioni matrimoniali irregolari. Ma ancora più importante e indispensabile è svolgere un'azione preventiva: attraverso una sapiente e incisiva opera educativa, non disgiunta da congrue forme di intervento sulle strutture sociali, occorre promuovere le condizioni che possono garantire il retto sorgere e svilupparsi del matrimonio e della famiglia. In questo contesto appare quanto mai opportuna una seria preparazione al matrimonio”. Successivamente si ricorda che “segno di squisita carità un'azione pastorale davvero ‘ecclesiale’, nella quale tutti, senza sminuire in nulla la sana dottrina di Cristo e insieme facendosi eco della voce e dell'amore del Redentore, parlino lo stesso linguaggio della Chiesa e del suo magistero. I pastori d'anime per primi, specialmente nel loro ministero di confessori, di consiglieri e di guide spirituali dei singoli e delle famiglie, superando ogni individualismo, ogni arbitrio e ogni approccio meramente emotivo, sappiano accostarsi con sincera fraternità a chi vive in situazioni matrimoniali difficili o irregolari, offrendo valutazioni e indicazioni fondate unicamente sulla fedeltà della Chiesa al suo Signore e che sappiano arrivare al cuore delle persone” (203).

La CEI inoltre appunta – e la sottolineatura è quanto mai attuale – che il problema dei divorziati risposati non si può ridurre alla questione “comunione sì – comunione no”. Infatti i vescovi scrivono: “ogni comunità cristiana eviti qualsiasi forma di disinteresse o di abbandono e non riduca la sua azione pastorale verso i divorziati risposati alla sola questione della loro ammissione o meno ai sacramenti: lo esige, tra l'altro, il fatto che la comunità cristiana continua ad avere occasioni di incontro con queste persone, i cui figli vivono l'esperienza della scuola, della catechesi, degli oratori, di diversi ambienti educativi ecclesiali. Nella certezza che i divorziati risposati sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio e come tali non sono del tutto esclusi dalla comunione con la Chiesa, anche se non sono nella ‘pienezza’ della stessa comunione ecclesiale, si mettano in atto forme di attenzione e di vicinanza pastorale. Ogni comunità ecclesiale, di conseguenza, li consideri ancora come suoi figli e li tratti con amore di madre; preghi per loro, li incoraggi e li sostenga nella fede e nella speranza; non si stanchi di illuminarli con la parola di Cristo, di stimolarli a un'esistenza morale ispirata alla grande legge della carità, di invitarli alla conversione” (215).

Abbiamo volutamente indicato per ogni documento citato anche l’anno di pubblicazione dello stesso per far comprendere che questo atteggiamento di misericordia, di comprensione e accoglienza verso i divorziati risposati non è una novità di questi giorni, una trovata benevola di qualche cardinale particolarmente sensibile al lato umano della faccenda, bensì è sempre stato l’orientamento scelto dalla Chiesa fin da quando il fenomeno del divorzio ha iniziato a mettere radici tra i fedeli.