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CONTINENTE NERO

La Chiesa e la cura del Covid, l'esempio del Camerun

Il continente africano resta quello meno colpito in assoluto dall'epidemia di coronavirus. In un contesto in cui i sistemi sanitari sono un disastro, la rete degli ospedali gestiti dalla Chiesa Cattolica è la miglior alternativa. Samuel Kleda, arcivescovo di Douala, Camerun, ha anche creato due farmaci a base di erbe che stanno funzionando bene.

Esteri 01_04_2021
Mons. Samuel Kleda

L’Italia, per non ammettere le carenze del sistema sanitario nazionale, il malfunzionamento della medicina territoriale, il numero insufficiente di medici e di posti letto negli ospedali, continua ostinatamente a considerare lockdown e vaccini gli unici mezzi efficaci per combattere il COVID-19. Il risultato è che siamo settimi al mondo per numero di decessi: 108.879; e tra i primi dieci per numero di morti per milione di abitanti: 1.803.

Molti paesi devono vedersela con il coronavirus disponendo di sistemi sanitari molto ma molto peggiori del nostro senza tuttavia risentirne altrettanto. In Africa mancano medici, ospedali, medicinali. Lo stato africano con più medici è il Sudafrica che ne ha solo 91 per 100.000 abitanti. Per di più solo una parte esigua della popolazione africana è in grado di supplire a proprie spese alle carenze del sistema sanitario pubblico. In Uganda, ad esempio, nel 2016 si è rotta l’unica macchina per la radioterapia e per due anni chi ne aveva i mezzi è andato a farsi curare in Kenya o in un altro stato vicino. Gli altri ammalati di cancro sono rimasti senza cure. Nel continente si scherza, con amarezza, a proposito del “turismo sanitario” di capi di stato, ministri e parlamentari che vanno a farsi curare in Europa e Stati Uniti.

Eppure l’Africa, in particolare l’Africa sub-sahariana per la quale si temeva il peggio, è l’area geografica meno colpita dal Covid-19 e ci si continua a domandare come mai. Si sa che moltissimi africani, per necessità e per convinzione, si affidano ai guaritori tradizionali: ovviamente con risultati drammatici, a meno che non si tratti di malattie che passano da sole. Non è certo la stregoneria che previene e cura il COVID-19. Ma c’è un’altra alternativa in Africa alla sanità pubblica, carente, e a quella privata, costosa, ed è la rete capillare di ambulatori, ospedali, centri sanitari finanziati, amministrati e gestiti da istituti religiosi cristiani e in particolare della Chiesa Cattolica: la maggior parte creati durante l’epoca coloniale europea, molti anche prima. Curano con dedizione e professionalità, accettano anche chi non è in grado di pagare. Sappiamo che è grazie a queste strutture sanitarie, con l’ausilio di finanziamenti privati e del servizio volontario di tanti medici, che milioni di africani sono nati, cresciuti, vivono in salute e assistiti nel bisogno. Non sapremo mai quanti hanno curato e guarito dal coronavirus, potrebbero essere decine, centinaia di migliaia perché sappiamo che, dove esistono, la loro presenza fa la differenza.

Nel solo Camerun da un anno migliaia di persone sono guarite dal coronavirus curandosi con due farmaci a base di erbe, Elixir Covid e Adsak Covid, creati da monsignor Samuel Kleda, arcivescovo della capitale economica Douala, esperto nell’uso di erbe medicinali. Monsignor Kleda aveva annunciato ad aprile di aver trovato una cura che poteva attenuare i sintomi del coronavirus. Subito dopo l’arcidiocesi di Douala ha aperto dei dispensari per distribuire gratuitamente i due trattamenti. La gente è accorsa. Persino persone ricoverate in ospedale si sono procurate la cura e sono guarite. Si è ridotta anche la percentuale di decessi tra le persone colpite dal virus in maniera grave. “Finora – dichiarava monsignor Kleda a fine aprile – abbiamo distribuito il trattamento a centinaia di persone e tutte sono guarite”. Da allora, visti i risultati, personalità politiche e uomini d’affari hanno avviato raccolte di fondi per consentire a monsignor Kleda di produrre grandi quantità dei suoi medicinali. Lo scorso giugno il ministro della sanità Malachie Manaouda e il primo ministro Joseph Ngute hanno incontrato monsignor Kleda e successivamente è stata organizzata una sua audizione in parlamento.

Arriviamo ai nostri giorni con l’annuncio fatto il 17 marzo scorso da Marius Macaire Biloa, coordinatore nazionale dell’Associazione cattolica per la salute del Camerun, che i due medicinali saranno immessi sui mercati stranieri, al prezzo di 30 e 36 dollari, mentre continueranno a essere totalmente gratuiti in tutto il paese dove attualmente sono distribuiti in una dozzina di centri sanitari cattolici nelle due principali città che registrano la maggior parte dei casi di COVID-19: Douala e la capitale Yaoundé.   

Il Camerun ha poco più di 27 milioni di abitanti. Finora sono stati rilevati 47.669 casi di COVID-19 e i morti sono 721, circa 27 per milione di abitanti. A partire dallo scorso maggio le regole anti contagio sono state progressivamente allentate. L’apertura anche di sera dei locali pubblici aveva fatto temere una impennata di contagi, ma così non è stato.

Monsignor Kleda, che è stata nominato arcivescovo di Douala da papa Benedetto XVI nel 2009, è un noto e apprezzato erborista. Ha iniziato a occuparsi di erbe e rimedi naturali 30 anni fa quando era rettore del Piccolo seminario di Saint-Paul-de-Guider, nel nord del Camerun, spinto dalla mancanza di medicine per i bambini. “Curiamo grazie alle erbe – è solito dire Monsignor Kleda – e con l’intercessione della Vergine Maria”. Un importante, prezioso “effetto collaterale” della sua cura anti COVID-19 è di essere stata l’occasione per avviare una riflessione chiarificatrice, ripresa dai vertici politici, sulla differenza tra l’uso medicinale di sostanze naturali e la stregoneria ancora tanto radicata in tutto il continente africano.