La Casellati ci prova, ma si scontra con i veti incrociati
Parte con scetticismo e senza grandi speranze la missione esplorativa di Elisabetta Alberti Casellati. Il M5S pone il veto su Forza Italia, dunque esclude di governare col centrodestra. Salvini non molla l'alleato. E pone il veto sul governo assieme al Pd. Quindi non ci sono maggioranze possibili, almeno per ora.
Parte con scetticismo e senza grandi speranze la missione esplorativa di Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato, incaricata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella di provare a sbrogliare la matassa della formazione di un nuovo esecutivo, dopo quasi un mese e mezzo di stallo.
Per la verità, nelle ultime ore l’affidamento dell’incarico alla seconda carica dello Stato era nell’aria, stante la mancanza di accordo tra i due partiti usciti vincitori dalle elezioni del 4 marzo, cioè Lega e Cinque Stelle. La Casellati, pur provenendo da Forza Italia, ha un profilo istituzionale prima ancora che politico, e proverà a sondare il terreno per capire se esista o meno la possibilità di dar vita a un esecutivo stabile e con una solida maggioranza tra Cinque Stelle e centrodestra. Il Presidente del Senato avrà 48 ore di tempo, dunque dovrà sciogliere già domani la riserva e infatti incontrerà nuovamente oggi le delegazioni dei tre partiti di centrodestra e quella pentastellata.
Il suo mandato è infatti circoscritto, sia temporalmente che nel perimetro delle forze da interpellare: verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare tra il centrodestra e i Cinque stelle e di un’indicazione condivisa per l’affidamento dell’incarico di Presidente del consiglio. Fuori da questa esplorazione il Pd, proprio per mettere le forze vincitrici davanti alle loro responsabilità nei confronti del Paese.
Ma cosa dovrà in concreto verificare il Presidente incaricato? Anzitutto la consistenza dei veti reciproci, il possibile ruolo di Berlusconi e le probabilità di arrivare a una premiership condivisa. I primi segnali non sono affatto incoraggianti. I partiti, forse perché si avvicinano le elezioni regionali in Molise (domenica prossima) e quelle in Friuli (domenica 29), non vogliono rinunciare alle contrapposizioni e preferiscono ancora marcare le distanze rispetto agli avversari. Dunque Luigi Di Maio ha ribadito che è arrivato il momento di archiviare definitivamente lo schema M5s-centrodestra compatto. Se ancora ci fosse bisogno di ripeterlo in qualche modo, i grillini non intendono accettare di sedersi allo stesso tavolo di Silvio Berlusconi. E invece lanciano un ultimatum alla Lega: "Sono stato accusato da Salvini - ha dichiarato Di Maio dopo l’incontro con la Casellati - di porre dei veti e non si capisce perché io non possa porli su Berlusconi e lui sul Pd. Noi siamo insieme alla Lega le uniche due forze che non si pongono veti a vicenda". E ha aggiunto: "Le consultazioni dimostreranno che l’idea di un governo di centrodestra è fallito. Per noi la coalizione di centrodestra è un artifizio elettorale, visto che perfino alle consultazioni con la Casellati i tre partiti di quell’area politica vanno divisi e addirittura il leader Salvini manda i capigruppo".
Matteo Salvini, a Catania per le elezioni amministrative, non cede di un mililmetro: "Non mollo Forza Italia, non tradisco il voto degli italiani, il secondo arrivato non può imporre le regole. Io voglio governare e smontare le riforme di Renzi. Di Maio non vuole governare o vuole governare con il Pd e Renzi. Su queste basi non c’è accordo". Silvio Berlusconi, dal canto suo, non può che ribadire la sua disponibilità a contribuire alla formazione di un esecutivo e infatti, al termine del colloquio a Palazzo Giustiniani con la Casellati, ha confermato che "Forza Italia non pone veti e intende contribuire a dare in fretta un governo al Paese". Il Pd, come detto, è fuori da questo mandato esplorativo della Casellati, ma ha comunque voluto dire la sua per bocca del reggente, Maurizio Martina: "Con questo incarico alla seconda carica dello Stato si pone fine alle ambiguità di questi 45 giorni. Altro che aspettare le elezioni Regionali, ora è il momento della verità per chi dopo il 4 marzo ha pensato solo a tatticismi e personalismi".
Ma se, come appare altamente probabile, il tentativo della Casellati non dovesse sortire alcun effetto, quali altri scenari si aprirebbero? Nei retroscena circola già l’ipotesi di un altro mandato esplorativo, sempre a tempo e sempre circoscritto nei suoi margini di manovra, al Presidente della Camera, Roberto Fico, con l’obiettivo anzitutto di aprire all’ipotesi di un governo con il Pd, e, in seconda battuta, di mettere in difficoltà Di Maio, costretto in quel caso a dover dire di no a un suo compagno di partito.
I dem potrebbero così tornare protagonisti e il fronte dei governisti (Franceschini, Gentiloni, Orlando) potrebbe rivelarsi più ampio del previsto, visto che ora nel Pd sembra prevalere la linea renziana dell’opposizione a tutti i costi. Se lo stallo permanesse, se la Casellati cioè rimettesse il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica senza un nulla di fatto, Mattarella potrebbe anche non percorrere la strada di un altro mandato esplorativo e, al contrario, provare a stanare i partiti, affidando un pre-incarico a uno dei due leader vincitori (Di Maio?). Infine, terza ipotesi al momento solo suggestiva, ma che col tempo potrebbe diventare la più concreta, il Quirinale potrebbe affidarsi a una personalità super partes (cosiddetto Governo del Presidente), che avrebbe il compito di formare un governo di tutti per fare poche cose, circoscritte nel perimetro contenutistico e nel tempo, per riportare il Paese entro un anno a nuove elezioni, magari con una nuova legge elettorale.
Sarebbe l’ennesima certificazione dell’incapacità della politica di offrire soluzioni governative al Paese, ma sarebbe probabilmente l’unico modo per far partire concretamente la legislatura. Sarebbe infine la riprova che i mandati esplorativi raramente servono. La storia lo insegna fin dal 1957, quando l’allora Presidente del Senato, Cesare Merzagora ricevette il primo mandato esplorativo dalla nascita della Repubblica italiana dall’allora Capo dello Stato, Giovanni Gronchi, ma dovette gettare la spugna e così si andò a nuove elezioni.