La Cantata dei pastori, in un’opera il mistero del Natale
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Opera in tre atti del gesuita Andrea Perrucci, la trama si basa su una serie di congiure demoniache per impedire la nascita di Gesù Bambino. Ma l’arcangelo Gabriele sventa i piani infernali, aiutando Maria e Giuseppe.
Tutto inizia con un nome, un personaggio da riscoprire: il gesuita Andrea Perrucci (Palermo, 1 giugno 1651 - Napoli, 6 maggio 1704), fine letterato, scrittore di versi in latino, italiano, siciliano e napoletano. Da Palermo, giovanissimo, si trasferì a Napoli. Qui, ricevette lezioni di grammatica e filosofia presso un collegio di gesuiti, determinanti per la sua formazione culturale e spirituale. Divenne uno dei primi letterati che si dedicarono al melodramma a Napoli: il suo lavoro fu quello di librettista e, grazie alla sua straordinaria inventiva, diede un grande impulso alla nascita del genere dell’opera buffa.
Seppur autore di molti soggetti teatrali, il nome di Perrucci è legato soprattutto a un’opera: la Cantata dei pastori. Il titolo originario era però un altro: Il vero lume tra le ombre, ovvero la spelonca arricchita per la nascita del Verbo incarnato (o La nascita del Verbo umanato), opera scritta nel 1698, con lo pseudonimo di Casimiro Ruggiero Ugone. L’opera, articolata in tre atti, venne rappresentata l’anno dopo la sua stesura e nei due secoli successivi sarà più volte riproposta con modifiche, aggiunte e rimaneggiamenti.
Una serie di congiure demoniache che vogliono impedire la nascita del Bambino Gesù costituisce la trama dell’opera. Sarà il provvidenziale intervento dell’arcangelo Gabriele a mandare in fumo i progetti infernali. Tre i personaggi sacri: la Vergine Maria, san Giuseppe e, appunto, san Gabriele. Gli altri personaggi: i diavoli, i pastori, i pescatori, i cacciatori e Razzullo, un pulcinella vestito di nero che vive disavventure ed è sempre affamato per l’intero svolgimento della Cantata.
Il popolo napoletano assiste alla prima del 1699 con grande entusiasmo. Nel corso di tutto il ‘700 l’opera continuerà ad essere rappresentata – rigorosamente sempre nel tempo di Natale – ma vivrà diversi rimaneggiamenti: ad esempio, sul finire dello stesso ‘700 venne introdotta la figura di Sarchiapone, un personaggio gobbo, cattivo e folle. Modifiche che in un certo modo tradiscono l’iniziale intento dell’autore di presentare al pubblico una sacra rappresentazione: cominciarono, infatti, ad essere introdotte scene che più che sacre potrebbero definirsi sacrileghe. Nel 1889, le autorità decideranno persino di interrompere la rappresentazione per le troppe volgarità ormai presenti nel testo. A seguito di questa sospensione, ci fu una vera e propria damnatio memoriae di quest’opera. Solo nel 1974 la Cantata è stata ripresa dall’eclettico musicista partenopeo Roberto De Simone che con “La nuova Compagnia di canto popolare” ha messo in scena una nuova versione dell’opera di Perrucci.
Fra i tanti personaggi della commedia, vi è anche il pastore Benino, tipico personaggio del presepe napoletano. È in questo personaggio che ognuno di noi potrebbe rivedersi: è lui, infatti, a impersonificare l’attesa della nascita del Salvatore. Ed è proprio con Benino che si apre la Cantata: la prima scena del primo atto si apre con un dialogo fra il pastorello e il padre Armenzio che lo ha svegliato da un sogno straordinario in cui ha visto la terra trasformarsi in Paradiso. È il sogno della nascita del Salvatore: «Mentre sognavo / d’un tratto si apre il cielo / piove argento e oro / il mondo era tutto un tesoro / I fiori erano pietre preziose / dai fiumi scorre l’argento / dalle viti pendevano grappoli / di brillanti topazi e rubini / E mentre guardavo estasiato / vedo apparire una luce / sorge dalla grotta di Betlemme / grande come cento soli / E mentre quella luce s’alzava / sento una voce che mi dice / “Vieni a me figlio mio / che Io sono sceso in terra” / In mezzo a quello splendore / vedo un Bambino che mi chiama / ha sul viso raffigurato / il Paradiso».
Interessante la prima scena che vede coinvolti la Vergine Maria e san Giuseppe: i due protagonisti dormono e l’arcangelo Gabriele giunge dal cielo mentre Belfegor, inviato dal maligno, arriva dagli abissi dell’Inferno. L’arcangelo vedendoli esclama: «Disserratevi o Cieli, or che discende/ dalle sovrane sfere/ il Paraninfo dell’eterne nozze/ per dissipar nel Mondo/ ciò che di male ordir tenta l’Abisso;/ mentre vengo a fugare i mostri in guerra. / Gridi il Mar, goda il Ciel, rida la Terra». A questi versi fa eco Belfegor che tenta di distruggere il disegno di Dio: «Ecco la coppia indegna,/ che mi spaventa al solo rimirarla». Da questo momento in poi, la scena si anima con il cosiddetto espediente teatrale della “battuta/controbattuta”. San Gabriele, guardando con amore i due giovani, esclama: «Ecco la bella unione,/ che in vederla mi astringe a venerarla», mentre Belfegor pronuncia queste parole: «Da questa Donna teme il mio regnante,/ che ne nasca Chi alfine/ abbia da macchinar le sue rovine».
È colma di significati teologici una delle ultime scene: Maria e Giuseppe sono costretti a mettersi al riparo, per colpa delle intemperie, in una grotta. Quest’ultima è abitata da un drago. Anche questa volta sarà l’arcangelo Gabriele ad aiutarli. Una volta liberata la grotta dove nascerà il Bambino Gesù, san Giuseppe invita la santissima Vergine a seguirlo nell’antro: «Entriamo, o sposa,/ perché sin dal principio/ Iddio formò la tua leggiadra Immago,/ che devi fiaccar la testa al drago». Poi Maria allude, in questo punto del testo, al serpente: «Mentre calca il mio pie’, grazie ti rendo». Chiude la scena l’arcangelo: «E tu profondi, o mostro,/ se resta di poter tua forza vota,/ spira tosco, astio vibra, e i denti arrota;/ ché se vantando tu le glorie prime,/ Eva ingannasti, oggi Maria ti opprime». Il mondo è salvo grazie alla nuova Eva. Gesù e la Vergine Maria non sono caduti nelle grinfie del diavolo. Ora è possibile vivere appieno quel sogno del pastore Benino: «In mezzo a quello splendore / vedo un Bambino che mi chiama, / ha sul viso raffigurato / il Paradiso». E a noi non rimane altro che contemplare, assieme a tutti i pastori, la nascita del Salvatore, «mentre d’un tratto si apre il cielo e piove argento e oro».
L'eterna poesia dei canti di Natale
Le canzoni legate al Natale hanno questa capacità: si condensano in un angolo del cuore e risvegliano ricordi, immagini della propria memoria. Sono dense di poesia, così come tanti sono i compositori che si sono addentrati nel tema: dal teologo sant’Alfonso Maria de’ Liguori a Irving Berling, da Giovanni Pierluigi da Palestrina a sir John Francis Wade.