La candela dei pastori: gioia per la chiamata alla salvezza
I pastori con le pecore nere, emarginati dalla città secondo le leggi di allora, sono i destinatari dell'annuncio degli angeli. Confidare in Dio e non disperare nell’attesa, al di là della condizione in cui versa la nostra vita, è il messaggio grande di questa terza domenica. Un messaggio che si estende a tutti e che quindi diventa segno della chiamata universale alla salvezza.
La terza domenica d’Avvento è detta gaudete. L’austerità dell’Avvento viene mitigata dalla gioia che già si pregusta: quella del Natale ormai imminente. La candela di riferimento è detta perciò candela dei pastori o della gioia per la chiamata universale alla salvezza.
I pastori che ricevettero l’annuncio degli angeli erano gli am ha’arez, ovvero i popoli della terra, un termine leggermente dispregiativo per definire persone condannate dal loro lavoro a restare ai margini. La condanna non era tanto legata all’essere pastore: Davide era pastore prima di diventare re di Giuda; Dio stesso è definito pastore di Israele; Gesù si è autodefinito il Buon Pastore. Quello che rendeva esclusi i pastori cui è diretto l’annuncio degli angeli è il fatto di avere nel gregge pecore nere, ossia pecore ritenute impure dagli ebrei. Chi possedeva pecore nere non poteva introdurre il gregge nei centri abitati o nelle immediate periferie e doveva restare fuori all’aperto. Da questa antica legge deriva, del resto, nel parlato comune, l’espressione “essere la pecora nera”. Tale espressione viene normalmente usata nel senso dell’«essere diversi», ma in realtà il significato originario indica l’essere impuri.
Fu proprio a causa del loro pernotto in aperta campagna, che quei pastori emarginati meritarono d’essere i primi destinatari della buona notizia del Vangelo. Fino al XIII secolo il fatto doveva essere ben noto poiché l’arte lo registra con precisione. Vediamo ad esempio nella Natività di Duccio da Buoninsegna comparire tra il gregge diverse pecore nere. I pastori dunque, erano esclusi non per una questione di razza o di religione e nemmeno per il loro lavoro in sé, ma per una condizione di impurità cui il loro lavoro li costringeva. Si può suppore, a ragione, che, se avessero potuto (economicamente), quei pastori avrebbero rinunciato alle loro pecore nere e avrebbero abitato con gli altri.
Essi dunque avevano un grande desiderio di appartenere al popolo di Dio ma la loro condizione sociale lavorativa lo impediva. Quindi ecco il motivo aggiunto della “grande gioia” di cui sono investiti. Essi ora potevano, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa, essere protagonisti della fede diventando depositari dell’avvento del Messia. I pastori di Duccio, poi sono due, uno anziano e uno giovane, possiamo scorgere in essi il popolo dell’Antico e del Nuovo Testamento. La gioia del Vangelo è per chi attende, chi desidera il Salvatore promesso dalle Scritture. Assimilato alla gioia dei pastori nell’opera di Duccio c’è Giuseppe, è lui infatti a vestire il rosa che è il colore assegnato proprio alla III domenica d’Avvento. Il viola infatti solo con molto bianco (ossia con molta luce) e un pizzico di rosso (ovvero l’amore e la passione del Salvatore) può diventare rosa.
In alcune Natività, specialmente a partire del XV secolo, le pecore nere spariscono. Ci si allontana dalla conoscenza di quella legge e di quegli usi, si acuisce invece il dramma dell’opposizione all’annuncio della salvezza, da parte di chi vuole togliere all’uomo il desiderio e la fiducia. Nella Natività di Rublëv, ad esempio, vediamo introdotta la figura del cattivo pastore. Questi veste in modo animalesco e con colore scuro ed è in realtà immagine del maligno che vuole attentare alla gioia di Giuseppe insinuando che la Madonna non concepì misteriosamente e verginalmente ma che, al contrario, avendo subito violenza, tenne nascosta la sua scomoda maternità.
Secondo gli Apocrifi il pastore maligno ha nome Tirso e reca con sé il bastone delle Baccanti, egli è in contrasto cogli altri due pastori che invece, sono accanto al tronco di Jesse. Tirso va ripetendo a Giuseppe: «Come questo bastone non può produrre fronde, così un vecchio come te non può generare e, d’altra parte, una vergine non può partorire». Come Giuseppe anche noi siamo tentati in vario modo a diffidare di Dio e della bontà della sua opera nella nostra vita. Così la presenza di questo elemento negativo nelle natività ha la funzione di ricordarci che se Dio vuole la nostra gioia, il maligno la vuole distruggere. Confidare in Dio e non disperare nell’attesa, al di là della condizione in cui versa la nostra vita, è il messaggio grande di questa terza domenica. Un messaggio che si estende a tutti e che quindi diventa segno della chiamata universale alla salvezza.