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La Buona Notizia contro il proselitismo

Nello Sri Lanka cattolici e buddisti insieme contro gli attacchi protestanti. Ma nessun sincretismo: il Vangelo cambia il cuore delle persone.

Articoli tematici 23_11_2011
Sri Lanka
da Batikaloa (Sri Lanka)

Nei giorni scorsi il sito Vatican Insider ha pubblicato la notizia di una proposta del Cardinal Malcolm Ranjith di Colombo, Sri Lanka. La proposta è che venga costituito un “comitato inter-religioso tra cristiani e buddisti per affrontare insieme il proselitismo iperattivo e sregolato dei gruppi d’ascendenza nord-americana”, principalmente di tipo evangelico pentecostale. Occorre conoscere il retroterra, accennato brevemente nell'articolo menzionato.

Il proselitismo aggressivo di questi gruppi non è nuovo nel paese. Se è vero che si dirigono verso la popolazione buddista, è altrettanto vero che molto più spesso mirano ai cristiani di lunga data. Tale proselitismo ha creato e crea innumerevoli tensioni e divisioni tra i cattolici, anche tra membri della stessa famiglia d'origine, perché troppo spesso l'evangelizzazione si basa sulla denigrazione attiva e sistematica delle denominazioni “storiche” (di cui la Chiesa Cattolica è la più diffusa), facendo leva su inevitabili dissapori o incomprensioni che ogni realtà umana sperimenta, oltre che sulla difficoltà che i parroci incontrano nel seguire capillarmente le loro numerose ed estese parrocchie. La reazione delle frange militanti del mondo buddista non si è fatta attendere a lungo.

Oltre a istanze di rappresaglia vera e propria, è da tempo che una spada di Damocle pende sopra le teste delle minoranze religiose. Seguendo l'esempio – controverso – di altri paesi tra cui la vicina India, è stata proposta una legge per proibire le conversioni che si dimostrano forzate o indotte approfittando delle condizioni di povertà della popolazione. Questo è l'intento dichiarato, che si potrebbe anche accettare. Ma queste “anti-conversion bills” contengono sempre elementi che possono permettere di usarle per immobilizzare totalmente le minoranze, privandole dei loro diritti sulla base di cavilli o di false accuse. Ci si verrebbe a trovare in una situazione in cui, ad esempio, un cristiano che prestasse del denaro al suo vicino di casa, buddista, che glielo chiede, potrebbe essere accusato di cercarne la conversione tramite questa forma di carità. Ogni servizio ai poveri da parte delle minoranze verrebbe sospettato e paralizzato.

Per questa ragione le minoranze sono piuttosto combattive nel prevenire l'approvazione di tali leggi potenzialmente lesive della libertà di tutti. Nessun tentativo di approvarle è finora andato a segno, ma le pressioni restano. Come resta vero il fatto che i gruppi evangelici indulgono veramente in pratiche che si prestano alle accuse di offrire vantaggi economici in cambio di conversioni. Le dichiarazioni dei loro leader in contrario non devono essere giudicate in malafede: contrariamente alle denominazioni storiche, questi gruppi hanno pochissimo controllo sulla condotta dei loro “pastori” sul campo. Già l'11 marzo 2009 p. Vimal Tirimanna, esperto di teologia morale, aveva pubblicato un articolato intervento su di un giornale nazionale spiegando al grande pubblico che la legge contro le conversioni è un rimedio peggiore del male, perché chi fa maggiormente le spese di tale proselitismo non è la popolazione buddista, ma le comunità cristiane più consolidate. In questo contesto, la proposta del Cardinale Ranjith è una soluzione praticabile e pragmatica per affrontare tali difficoltà alla loro radice, evitando soluzioni come le leggi contro le conversioni che danneggerebbero la libertà e la fiducia sociale dell'intero paese.

Mi sembra utile aggiungere qualche elemento alle osservazioni dell'articolo. Non è la prima volta che il Cardinale avanza proposte che sorprendono anche chi lo conosce da tempo. Questa particolare proposta non offenderà, a mio giudizio, persone di sensibilità tradizionalista. Non si tratta di dialogo interreligioso, ma di un'iniziativa in linea con la mens dell'attuale Pontefice: puntare meno su questioni teologiche (su cui non è ci possibile fare sconti), concentrarsi su azioni di utilità comune. Evitare l'approvazione di una legge limitante della libertà è nell'interesse di tutti. Tant'è vero che le reazioni da parte buddista sono state subito positive: una possibile via d'uscita dall'impasse in cui ci si è venuti a trovare. Non direi che l'impegno continuo del prelato a rafforzare l'identità cattolica venga compromesso da tale iniziativa: si tratta, a tutti gli effetti, di difendere la Chiesa su due fronti, quello che ne limiterebbe la libertà d'azione, e quello del proselitismo evangelico che approfitta di alcune debolezze strutturali a cui sono esposte larghe fette della popolazione cattolica. Mentre si pone rimedio a tali debolezze (che sono tuttavia meno pronunciate in Sri Lanka che altrove), occorre anche arginare gli attacchi.

Trovo molto appropriata l'osservazione conclusiva: “Il caso srilankese conferma che l’approccio a quel fenomeno da parte della Chiesa di Roma [la valutazione tendenzialmente positiva dell'evangelizzazione da parte di gruppi evangelici] deve per forza tener conto di elementi di segno diverso e non univoco [...]. In un tempo un cui organismi cattolici centrali come il Sinodo dei Vescovi si preparano a focalizzare la loro attenzione sulla nuova evangelizzazione, appare urgente un preliminare riconoscimento della natura propria dell’annuncio evangelico e della missione cristiana.” Infatti non si tratta di giustificare e persistere in un approccio missionario debole, focalizzato esclusivamente sul lavoro sociale, tralasciando la condivisione della fede che lo ispira e lo guida. Tale approccio si è fatto preponderante, e va certamente corretto.

Va riaffermato a livello pratico quanto enunciato dal pastore Ekanayake: “Ogni cristiano ha la missione di diffondere la Buona Novella”. Certo. Solo che la conversione deve avvenire in forza della Buona Novella stessa, non in forza di incentivi finanziari di vario genere. Parlo per esperienza personale: un intero villaggio cattolico vicino alla nostra missione ha iniziato a cedere a tali strategie miopi. Strategie che tuttavia, una volta conquistato il territorio, non si preoccupano più di porre rimedio alla povertà persistente della gente. Un po' come le promesse di una campagna elettorale.