La battaglia pro-life dei Repubblicani, Stato dopo Stato
Sull’aborto, votare un partito piuttosto che un altro, negli Usa come altrove, fa la differenza. Lo dimostra ancora la vittoria dei Repubblicani, non solo al Congresso e alla Casa Bianca, ma anche nella maggioranza degli Stati. Da gennaio ad oggi sono state approvate almeno 50 nuove leggi statali restrittive sulle pratiche abortive. E anche fra i Democratici qualcosa si muove...
Sull’aborto, votare un partito piuttosto che un altro, negli Usa come altrove, fa la differenza. Lo dimostra ancora la vittoria dei Repubblicani, non solo al Congresso e alla Casa Bianca, ma anche nella maggioranza degli Stati. Da gennaio ad oggi, dunque dall’insediamento dei nuovi governatori e delle nuove maggioranze dei congressi (parlamenti) locali, sono state approvate almeno 50 nuove leggi statali restrittive sulle pratiche abortive.
E’ necessaria una piccola premessa: negli Usa non c’è l’aborto di Stato come in Italia. Nessun referendum, né alcuna legge nazionale hanno introdotto l’aborto legale negli Usa: la sua legalità dipende ancora da un singolo precedente giudiziario, la sentenza Roe vs. Wade del 1973. Non c’è un servizio sanitario nazionale che effettua operazioni di aborto con i soldi dei contribuenti, cattolici inclusi. La legislazione negli Usa consente ai 50 Stati ampi margini di discrezionalità sulla regolamentazione dell’aborto (specie dopo il terzo mese di gravidanza), che viene comunque praticato in cliniche private e pagato personalmente da chi abortisce o sostiene la pratica. Il dibattito politico, dunque, non verte mai sulla legalità o il divieto di abortire su scala nazionale, come da noi, ma sui regolamenti locali e sul finanziamento pubblico a iniziative private pro-abortiste, come Planned Parenthood, ad esempio. O sull’Obamacare che tuttora obbliga i datori di lavoro (anche cattolici) a coprire pratiche abortiste con l’assicurazione privata fornita ai loro dipendenti. Le premesse sono dunque molto più favorevoli al diritto alla vita di quanto sia nel nostro paese, dove ora è messo in discussione persino il diritto all’obiezione di coscienza dei medici (anche dagli stessi che si erano battuti per l’obiezione di coscienza nell’esercito…).
Ebbene, in questo scenario, le maggioranze dei Repubblicani negli Stati di Ohio, Iowa, South Dakota, Montana e il Tennessee (pur con diverse sfumature), hanno vietato l’aborto dopo la 20ma settimana di gravidanza. Anche in Virginia e Missouri potrebbero essere promulgate leggi analoghe. Nel Missouri, intanto, i parlamentari di maggioranza hanno approvato un regolamento che obbliga i medici a elencare alle donne che intendono abortire tutte le complicazioni della salute in cui possono incorrere. Secondo un’altra legge dello Stato meridionale, anche il procuratore generale statale (e non solo quello di contea, come già avviene) può perseguire casi di violazione della legge statale. Indiana, Oklahoma e Ohio hanno vietato l’aborto motivato dalle caratteristiche del feto, seguendo una politica anti-eugenetica. Sempre l’Indiana, la West Virginia e il Kansas, richiedono il consenso informato dei genitori prima di autorizzare l’aborto di un minorenne. Il Texas e l’Arkansas hanno vietato le pratiche abortive della dilatazione e dell’evacuazione, usate comunemente per feti dai tre ai sei mesi. In questo hanno seguito l’esempio di altri sei Stati che già le avevano bandite negli ultimi due anni.
Il più radicale, nella campagna anti-aborto, è il Texas, con il suo governatore cattolico Gregory Abbott e una salda maggioranza conservatrice nel suo Congresso. La legge approvata la scorsa settimana introduce due nuovi regolamenti volti a ridurre il numero di aborti praticati nel territorio dello Stato della “stella solitaria”. Un regolamento obbliga i medici che praticano aborti di riferire ogni complicazione della salute della loro paziente alla commissione sanitaria statale. Il secondo obbliga i medici a riportare informazioni sui minorenni che ottengono il permesso di abortire. Entrambe queste misure dovrebbero fare da deterrente.
La battaglia pro-vita dei Repubblicani, condotta Stato per Stato, sta condizionando anche il fronte opposto, quello dei Democratici. A livello locale si assiste a un “arrocco” degli abortisti, dei pro-choice come vengono chiamati in America. Dove sono in maggioranza, i Dems votano leggi che obbligano le istituzioni a garantire l’accesso alle donne che vogliono abortire. In Delaware la sentenza Roe vs. Wade è stata trasformata in legge di Stato e così si prepara a fare anche il legislativo dello Stato di New York. Nell’Illinois l’accesso alle pratiche abortive è stato introdotto nel locale programma Medicaid (la sanità pubblica per i meno abbienti) e nelle assicurazioni sanitarie dei dipendenti pubblici. In Oregon, lo Stato ha introdotto le pratiche abortive nelle assicurazioni coperte dal governo locale.
Eppure qualcosa si muove anche sul fronte della sinistra. Se è vero, come è vero, che in vista della campagna elettorale per le elezioni di medio termine del 2018 (per il rinnovo di parte del Congresso), il Democratic Congressional Campaign Committee (DCCC) intende finanziare anche candidati dichiaratamente anti-abortisti. Lo dichiara a The Hill, Ben Ray Lujan, rappresentante del New Mexico e presidente del DCCC. Lo annuncia come strategia per riconquistare la maggioranza perduta: “per conquistare 24 seggi e arrivare a 218, questo è il nostro fine. Abbiamo bisogno di un’ampia coalizione per assicurarci questo risultato”. Lo scorso aprile, lo stesso Bernie Sanders, il più a sinistra fra i candidati presidenziali, aveva sostenuto a candidato sindaco di Omaha il rappresentante Heath Mello, un politico aperto ai temi pro-vita.