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il caso

La bambina senza festa ci svela la solitudine delle famiglie

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È sconcertante che diventi una notizia il fatto che una bambina di 5 anni non abbia festeggiato il compleanno perché nessuno si è presentato alla festa. La colpa non è degli altri genitori, ma della solitudine in cui vivono le famiglie e dell’incapacità di accettare che i figli subiscano umiliazioni, le sole in grado di fare crescere davvero.

Educazione 15_11_2024

La vicenda della bimba di cinque anni che si è ritrovata da sola a festeggiare il compleanno è un macroscopico caso di enfatizzazione mediatica di un fatto privato che ci dice molto di che cosa sono diventati i media oggi e contemporaneamente i genitori. E prima di tutto non i genitori, che per una ragione o per l’altra non hanno mandato i loro figli al compleanno dell’amichetta, ma di quei genitori che, probabilmente feriti per l’affronto subito dalla loro piccola, hanno sentito la necessità di affidare ai social i loro stati d’animo e da lì i giornali hanno scorrazzato nelle praterie dell’inverosimile coprendosi di ridicolo.

Così va il mondo oggi, verrebbe da dire, ma non è una cosa di cui andare fieri. La storia è così residuale che davvero viene da chiedersi come abbia fatto il Corriere della Sera, redazione di Firenze, ad occuparsi di questa vicenda come se si trattasse di un caso di Stato. È come se un giornale aprisse l’edizione con la notizia di una buca in viale Montegrappa: notiziabilità pari a zero. Eppure, assistiamo a questo.

Siamo tra Umbria e Toscana. La piccola, cinque anni, vive a Cortona e per festeggiare i suoi cinque anni ha organizzato una festicciola con i compagni di classe della scuola dell’infanzia nella vicina Castiglione del Lago, che è in provincia di Perugia. Solo che alla data fissata non si è presentato nessuno dei compagni. Tra chi aveva motivato l’assenza con una giustificazione e chi non si è presentato senza dire nulla, la bambina si è ritrovata così da sola con la ludoteca approntata per i festeggiamenti desolatamente vuota.

I genitori hanno affidato ai social il loro sconforto per questa incresciosa vicenda e il Corriere ha fatto il resto montando il caso e coinvolgendo persino il Comune aretino che ora sta addirittura pensando ad una festa di riparazione per la piccola. Pagata quindi dai contribuenti? Ma gli amici della piccola stavolta ci saranno?

Ovviamente i commenti sui social sono tutti per la poveretta che non ha potuto festeggiare, mentre i genitori della classe se ne sono stati ben lontani dall’esprimere commenti.

Ora, anche ammesso che ognuno di quei genitori avesse un valido motivo per non partecipare alla festa, anche solo la distanza tra i due comuni, circa 20 minuti di auto, il che è un buon deterrente per non prendervi parte soprattutto se stiamo parlando di cinque anni e non di un ricevimento di nozze, in ogni caso sono problemi che ognuno risolve nel suo privato senza coinvolgere la comunità civile che giudica e osserva con il ditino puntato. La questione è un’altra.

L’accanimento mediatico sulla storia è il primo problema. Ed è un accanimento che non si fa scrupolo di aver trasformato questa bambina in una piccola Cenerentola umiliata da consolare e di cui la Comunità deve farsi carico con quel senso di colpa che ci fa sentire tutti coinvolti. Tranello che i media sanno sfruttare a loro vantaggio in maniera deprecabile.

E che la famiglia ha sfruttato per riparare ad un’umiliazione che se avesse gestito nel privato, avrebbe fatto alla figlia sicuramente bene, invece di trasformarla in una principessa delle fiabe. Perché, al di là della strumentalizzazione dei media, che ha dato alla vicenda un alone di importanza sconsiderata, la reazione dei genitori della bambina è il secondo problema.

Le umiliazioni nella vita accadono, ci sono, e se gestite bene sono motivo di crescita e di maturazione. Può darsi che tra genitori ci siano state incomprensioni o che per una serie di motivi nessuno dei genitori che non ha mandato il proprio figlio in un giorno feriale, avessero tutti delle motivazioni che escludano il dolo. E quindi come la mettiamo? Facciamo un processo alle intenzioni?

Semplicemente si poteva tranquillamente incassare la delusione, chiedersi come mai è successo tutto questo perché in tutti dialetti, non sappiamo come si dice in umbro, ci sono delle espressioni che esprimono il concetto che per fare un fosso ci vogliono due rive e magari questa poteva diventare l’occasione per migliorare qualcosa nella comunicazione tra i genitori, magari selezionare le amicizie e fare una festa più contenuta e la bambina non avrebbe risentito di tutto questo clamore.

Il sospetto è che ancora una volta le uniche a cui dare la colpa sono la solitudine nella quale vivono le famiglie e l’incapacità di accettare che i nostri figli debbano subire delle sconfitte.

La solitudine è evidenziata dal fatto che solitamente gli amici dei figli hanno genitori che se non amici sono almeno conoscenti ai quali chiedere preventivamente un cenno di conferma e quindi regolarsi poi per gestire un eventuale flop. Questa solitudine è la causa che ha fatto cercare ai genitori della bambina i social come unico sfogatoio per esprimere una frustrazione che con degli amici forse sarebbe stata meglio contenuta.

L’incapacità di accettare che i nostri figli vengano sconfitti è nella pretesa, amplificata dai social, che tutti debbano essere partecipi di vicende delle quali in fondo a nessuno importa. Perché sono da gestire nel chiuso di un gruppo e semmai con la propria coscienza. Ma anche questo in fondo è il risultato della mentalità contraccettiva applicata alla famiglia. Una mentalità che ci fa evitare il figlio finché possiamo perché ad esso diamo così poco valore e quando il figlio ce lo abbiamo su di esso carichiamo aspettative, obiettivi e soprattutto ansie dentro le quali ovattiamo la loro crescita in una campana di vetro. Pronta a rompersi alla prima delusione o alla prima umiliazione.