La bambina e il nazista, il romanzo che funziona non solo in classifica
La Shoà è diventata da decenni un vero e proprio genere letterario a sé stante e i titoli narrativi sull’argomento sono migliaia. Ma la Bambina e il Nazista di Franco Forte non è l'ennesimo romanzo per la classifica. E' godibilissimo.
Quando mi è arrivato il nuovo romanzo di Franco Forte, editor delle collane Mondadori da edicola e dunque anche dei miei gialli, mi sono stupito. La bambina e il nazista (Mondadori, pp. 308, €. 19), scritto con Scilla Bonfiglioli e copertina con svastica eccetera. Perché mi sono stupito? Perché sono un addetto ai lavori, uno che crede di saperla ormai lunga in materia di editoria. Così, ho preso il telefono e ho chiesto direttamente all’autore: ma come ti è venuto in mente di inserirti in un tema ormai letteralmente intasato?
La Shoà, infatti, è diventata da decenni un vero e proprio genere letterario a sé stante e i titoli narrativi sull’argomento sono migliaia. Che speranza ha un autore di vendere il suo, ennesimo? La risposta mi ha ri-stupito: ci sono già un sei-sette richieste di traduzioni in lingua straniera e diversi produttori cinematografici si sono fatti avanti. Così, ho dovuto ritirarmi in buon ordine. Insomma, malgrado tutto, l’Olocausto tira eccome in libreria.
A riprova, in classifica tra i primi dieci venduti ci sono ben due libri co-firmati da Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvissuta ad Auschwitz. Insomma, avevo torto: la fame di lager nazisti è sempre vorace nel pubblico. I gulag sovietici interessano meno, ne è riprova lo scarso successo di thriller come Il bambino numero 44, da cui pure è stato tratto un film nel 2015 con cast stellare (Tom Hardy, Noomi Rapace, Gary Oldman) e The way back (2012) con Colin Farrell, Ed Harris, Saoirse Ronan, Mark Strong. Questione di sovraesposizione mediatica? Forse manca una «giornata del ricordo» apposita? Be’, le foibe italiane ne hanno una, ma provate, voi scrittori, a farci un romanzo e state a vedere che succede.
E veniamo alla Bambina con Nazista. Quest’ultimo è un tenente delle Ss che vive serenamente a Osnabrück dove fa un lavoro di ufficio e, la sera, torna dalla moglie e dalla adorata figlioletta Hanne. Ma la sorte interviene: la bambina muore di tubercolosi e lui viene trasferito, per esigenze di servizio, in Polonia, nel lager di Sobibór. Che è un campo di sterminio. In scena vanno le solite efferatezze, i soliti sadici di razza ariana eccetera.
Il tenente ne è schifato, ma tant’è. A un certo punto si imbatte in una bambina ebrea, Leah, che è la copia sputata di sua figlia Hanne. Allora decide di salvarla e tutto il romanzo non è altro che le peripezie del tenente per far sopravvivere la bambina, compreso il trasferimento al lager di Majdanek perché l’Armata Rossa incalza. Il romanzo, va detto, è molto ben scritto e in effetti avvince, anche se in alcuni punti le tinte sono, a mio giudizio, un po’ sovraccaricate.
Ma non sarei perfido se non avessi notato, a pag. 116, un «Federazione Russa» al posto di Unione Sovietica, unico neo storico. Magari gli autori, più documentati di me, potranno respingere con perdite la mia critica, basata sul fatto che la Federazione Russa è sorta dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma, a parte ciò, il resto è godibilissimo. Sempre che si possa dire godibile una vicenda di morte e di cattiveria umana come quella raccontata.