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L'8 marzo, in Europa festeggia solo l'islamismo

C'è poco da festeggiare la Festa della Donna se l'Unione Europea continua a foraggiare generosamente organizzazioni islamiste. Che al cuore del loro programma hanno anche il velo per le donne e il loro asservimento. 

Libertà religiosa 08_03_2022
Donne musulmane in Germania

8 marzo, una riflessione sulla condizione della donna in Europa che prende le mosse dalla guerra in Ucraina: qual è il nesso? Tra i motivi di divergenza tra Kiev e Mosca, c’è l’aspirazione, soprattutto della nuova generazione ucraina, ad entrare nell’Unione Europea, vista come la nuova frontiera di progresso, modernità e realizzazione individuale e collettiva. Democrazia e libertà, insieme al benessere: ecco i valori “europei” che vengono contrapposti all’autoritarismo dello zar Vladimir Putin. Legittimo, naturalmente, e anche comprensibile. D’altro canto, l’“euro-entusiasmo” rischia di oscurare o far perdere di vista aspetti a dir poco controversi e problematici dell’Unione Europea di oggi, o almeno di quello che l’hanno fatta diventare, su cui non c’è sufficiente consapevolezza neppure tra le opinioni pubbliche dei Paesi membri.

Tra questi aspetti, c’è senza dubbio l’avanzata dell’islamismo radicale, che continua a trovare nell’UE una sponda tanto inattesa quanto inopportuna e di cui sono le donne, musulmane in particolare, a pagare le conseguenze. Pensando a loro, l’8 marzo non può certo essere un giorno di festa. In Francia, Regno Unito, Germania e non solo, la sharia è già una realtà. Cosa si dovrebbe celebrare dunque, la poligamia e la disuguaglianza delle donne davanti alla legge amministrata dalle corti shariatiche, per le quali valgono la metà dell’uomo se si tratta di una testimonianza o ancora meno in materia di diritti di eredità e proprietà, oppure niente in caso di divorzio?

In nome dei “valori” europei, l’UE dovrebbe contrastare il fenomeno e non agevolarlo. Lo stato di diritto non è uno dei suoi fiori all’occhiello di cui ama vantarsi? Ecco invece Bruxelles finanziare una delle principali organizzazioni giovanili legate ai Fratelli Musulmani – il “Forum dei giovani e degli studenti universitari” (Femyso) – per un ammontare complessivo di 175 mila euro, sborsati dal 2013 al 2019 nell’ambito di programmi dedicati, paradossalmente, alla promozione di educazione, diritti, cittadinanza e uguaglianza.

Il Femyso è legato alla Federazione delle organizzazioni islamiche (sarebbe meglio dire islamiste) d’Europa, che è alle origini del Consiglio europeo per la fatwa e la ricerca, con sede a Dublino, e di cui è stato a lungo presidente il presunto sheikh Yusuf Al Qaradawi, leader ideologico della Fratellanza a livello mondiale, legato a doppio filo a Qatar e Turchia. Sì, proprio lui, quello della “conquista pacifica” dell’Europa “senza ricorrere alla spada”, ma “attraverso la predicazione e le idee”. Una previsione che si sta rivelando azzeccata, per quanto probabilmente neppure Al Qaradawi sperava di ricevere aiuti economici dalla stessa Europa, in aggiunta alle cospicue donazioni che continuano ad arrivare dall’“estero” per portare avanti la missione.

È la malintesa idea di “multiculturalismo” bellezza. Dogma ingannevole che rende ciechi e tonti, per usare un eufemismo, e che sta consentendo alla sharia di affermarsi quale ordinamento giuridico vigente a livello territoriale indipendentemente da quello civile. È il famoso “separatismo” a cui la Francia con Macron ha dichiarato guerra, ma una guerra tardiva, fatta più di retorica che di provvedimenti concreti. Perché non esistono più margini di manovra per ribaltare situazioni come quella di Roubaix, città a misura di fondamentalista balzata recentemente agli onori delle cronache per un’inchiesta televisiva. Una specie di Raqqa nel cuore dell’Europa, dove l’8 marzo è cancellato dal calendario.

E che dire della questione del velo? I Fratelli Musulmani sventolano l’hijab come bandiera, propagandandolo furbescamente come un’espressione di libertà democratica. Ma l’hijab è soltanto l’inizio: dal velo che copre il capo, la donna viene indotta a passare all’abaya, la tunica che nasconde il corpo completamente, per giungere fino al niqab, che lascia scoperti solo gli occhi, nel migliore dei casi. Lo scenario è già questo in molte città d’Europa, non solo a Roubaix, coerentemente con la filosofia del Consiglio europeo per la fatwa e la ricerca, che guarda caso ha salutato con favore il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan. Dei Talebani il Consiglio si è proposto persino come curatore d’immagine, affinché non vengano additati come “Talebani o altro” in maniera derogativa, ma si dica piuttosto “che questo è l’islam”, come ha spiegato il segretario generale.

Affermazioni sconcertanti, ancor più perché rilasciate da uno dei massimi esponenti di un’organizzazione basata in Europa, che però non hanno scatenato nessuna reazione, né da parte delle auto-proclamate “femministe”, né presso le autorità dei paesi membri dell’UE, che tanto meno a Bruxelles. Piuttosto, gli euro-burocrati hanno deciso di utilizzare direttamente il nome e il logo dell’UE per pubblicizzare l’utilizzo del velo. L’immagine della giovane che indossa l’hijab con lo sguardo fiducioso e determinato rivolto all’orizzonte, diffusa in una campagna mediatica legata alla Conferenza sul futuro dell’Europa, ha fatto scalpore e destato qualche polemica, ma non pare aver scosso i palazzi di Bruxelles.

Il destino della “next generation EU” sembra dunque già deciso e per le donne musulmane porta l’hijab, veicolato come fosse un indumento “cool”, alla moda, senza rispetto verso tutte quelle giovani che per aver rifiutato d’indossarlo hanno subito violenze o trovato persino la morte. È così, persuadendo all’uso del velo, che s’intende risolvere il problema della sua imposizione in ambito familiare e domestico? E se l’intento era quello di contrastare le discriminazioni, si è comunque trattato di un grosso “regalo” a beneficio dell’islamismo radicale, che ringrazia e si vede ulteriormente legittimato a proseguire con la sua propaganda pro-hijab, brandendo come arma l’accusa d’islamofobia per far tacere le voci critiche.

Promuovere diritti, cittadinanza e uguaglianza attraverso l’educazione e una corretta informazione: dovrebbe essere questa la mission dell’UE per un’autentica integrazione. Ma non è tutto oro quel luccica. Su questo sfondo e con il dramma della guerra in Ucraina e dei profughi che si stanno riversando in Europa, è un 8 marzo a lutto.