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TERZO REICH

Klemperer e la neolingua

La lingua nazista e quella bolscevica,
due menzogne uguali per soggiogare menti e cuori.

Cultura 17_12_2011
Nazicomunismo

 

Victor Klemperer (1881-1960), linguista e francesista cugino del più noto direttore d’orchestra Otto, sta trovando finalmente in Italia lo spazio editoriale che merita.

Dopo la pubblicazione del diario relativo al 1945 (E così tutto vacilla, a cura di Anna Ruchat, Scheiwiller Milano 2010) ecco tornare in libreria LTI. La lingua del Terzo Reich (trad. it. di Paola Buscaglione Candela, Giuntina 2011, p. 418, € 20,00). Klemperer, ebreo tedesco perfettamente integrato, dopo essersi convertito prima nel 1903 e poi nel 1912 al cristianesimo protestante combatté come volontario per il Reich durante la Prima Guerra Mondiale e nel 1920 ottenne la cattedra di romanistica alla Technische Hochschule di Dresda, dove rimase fino al 1935, quando i nazisti gli sottrassero l’incarico.

Scampato all’Olocausto grazie al matrimonio con la tedesca Eva, Klemperer appartiene alla ricca e qualificata schiera di cronisti del proprio tempo di cui può vantarsi la storia tedesca del Novecento (su tutti Kessler e Kempowski), visto che iniziò a prendere i suoi appunti nel 1897 per finire solo nel 1959, a ridosso della morte. A rendere ancor più interessante, e contraddittoria, la sua figura è stata la scelta di rimanere, a guerra conclusa, in quella zona della Germania occupata dai sovietici che nel 1949 sarebbe diventata la DDR. Infatti, una volta rientrato nella sua Dresda occupata dai russi, Klemperer decise di restarvi con la speranza mal taciuta che gli americani potessero giungere fin lì, ma finì con l’iscriversi al KPD, il partito comunista tedesco (dal 1949 SED). Una scelta dettata da opportunismo e il diario lo dimostra inequivocabilmente. «Non ero mai stato comunista», scrive il 1° agosto 1945, «ma ora bisognava fare pulizia» e il KPD era l’unico partito che prevedesse nel programma «l’eliminazione radicale dei nazisti».

Il 17 novembre annota di trovarsi nella necessità, se vuole «essere considerato una vittima del fascismo e un discriminato razziale» di iscriversi a un partito. Nella stessa richiesta d’iscrizione non ebbe timore di ammettere di essere «sempre stato un elettore liberale». Più che la necessità di eliminare il male nazista "alla radice", l’anziano Klemperer aveva urgenza di riconquistare la cattedra sottrattagli a Dresda e sapeva che per riuscire ad ottenere una «posizione dominante e patriarcale» avrebbe dovuto compromettersi con i nuovi padroni, quei comunisti tedeschi che, come annota lui stesso, «leccano il c. ai russi a più non posso, talvolta in modi strani e contorti». E lo studioso sapeva bene di aderire ad una dittatura comunista (lui stesso la definì così).

Qualcuno ha scritto che la sua era una “memoria minimalista” e che i suoi appunti rivelano «l’assenza di un’unità prospettica», come se Klemperer fosse preoccupato solo di "registrare" gli eventi, senza giudicarli. Ma non è così. Da linguista iniziò fin dal 1933 a raccogliere materiale sulla Lingua Tertii Imperii, la lingua del Terzo Reich ed il libro, che venne pubblicato nel 1947, iniziò ad avere ampia diffusione dal 1966 (a oggi ne sono state pubblicate oltre 30 edizioni). C’erano infatti motivi a sufficienza perché potesse essere strumentalizzato politicamente, sia nella DDR che nella BRD. All’est, convinti com’erano che l’esperienza comunista fosse radicalmente diversa da quella nazista, ritenevano che la Repubblica federale fosse l’erede diretto della lingua del Terzo Reich, mentre all’ovest, leggendo lo studio di Klemperer, ritennero di scorgere più di un’assonanza tra il linguaggio nazista e quello della DDR. Al di là dei tentativi di “usare” politicamente LTI, il successo tra i lettori e la fama arrisero infine al linguista per la sua capacità di disporre, come ha scritto Michele Ranchetti, le “nuove parole” del regime hitleriano «come soldati del fronte nazista, in lotta con l’universo delle lingue liberali».

Da ultimo non sarà inutile ricordare (purtroppo nella Postfazione a LTI, scritta dalla curatrice Elke Fröhlich, se ne fa appena menzione) che, una volta caduto il regime nazista, Klemperer prese subito a registrare anche la lingua della dittatura comunista, che lui chiamò LQI, Lingua Quarti Imperii. Già il 4 luglio 1945 scriveva: «Analogia tra linguaggio nazista e bolscevico: nei discorsi di Stalin, di cui vengono regolarmente pubblicati dei brani, Hitler e Ribbentrop sono mostri e cannibali. Negli articoli su Stalin il generalissimo dell’Unione Sovietica è il più grande condottiero di tutti i tempi e il più geniale degli esseri viventi». Le note di delusione nei confronti dei russi “liberatori” che depredano, smantellano le fabbriche e rubano i binari delle ferrovie sono quotidiane e già il 30 giugno 1945 Klemperer annota l’insopportabilità della retorica sovietica: “sempre le stesse notizie, unilaterali e tinte di russo”. Peccato che la convivenza col regime filo-sovietico della DDR, dal quale lo studioso che si diceva liberale ottenne infine cattedre e riconoscimenti ai massimi livelli, sia durata solo fino al 1960, l’anno della morte, e dunque Klemperer non abbia avuto il tempo sufficiente per registrare diffusamente la LQI.