Kenya ridotto alla fame, anche per l'enorme spreco di cibo
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Il problema della fame aumenta anche in Kenya, che pure vanta l'economia più forte dell'Africa orientale. Una delle cause principali è nello spreco di cibo e acqua, dovuta all'inefficienza della filiera alimentare.

Il Kenya è uno dei paesi africani in cui il problema della fame è diventato molto serio. Tra i minori di cinque anni il 17,6% presenta ritardi nello sviluppo causati da denutrizione cronica, il 4,5% è sottopeso rispetto alla sua età per denutrizione acuta e prolungata e il 4,1% muore prima di aver compiuto cinque anni anche a causa di una alimentazione inadeguata per quantità e qualità. Sono dati preoccupanti, ma in Africa non sono i peggiori. Nella vicina Somalia, ad esempio, il tasso dei minori di cinque anni che soffrono di denutrizione cronica è del 25,6%, quello dei colpiti da denutrizione acuta è dell’11,8% e i bambini che muoiono prima di aver compiuto cinque anni sono il 10,6%.
Inoltre complessivamente il 51,3% della popolazione somala è denutrita, non assimila sufficienti calorie. In Kenya invece il tasso è del 34,5%. Però, a differenza di altri paesi africani nei quali il problema della fame è diminuito pur continuando a sussistere, in Kenya ad allarmare ulteriormente è l’andamento in crescita della percentuale di popolazione denutrita perché era del 31,9%, nel biennio 2000/2002, era significativamente sceso al 26,9% nel successivo rilevamento relativo al 2007/2009 e ancora al 21,8% nel 2015/2019.
Benché il Kenya vanti l’economia più forte dell’Africa orientale, il 40% circa dei suoi abitanti sono sotto la soglia di povertà, uno su quattro ogni giorno deve affrontare il problema di procurare cibo a sufficienza per sé e per propri famigliari. Il ceto medio stesso sperimenta crescenti difficoltà per il continuo aumento del prezzo dei generi di prima necessità, alimentari e non, per la precarietà delle posizioni acquisite, per il tasso di disoccupazione che tra i giovani sembra raggiunga ormai il 67%.
Si penserebbe che ogni sacco di mais e ogni cesto di frutta, ogni singolo frutto venissero considerati beni di cui avere estrema cura. È stata quindi una sorpresa scoprire che invece in Kenya si sprecano regolarmente enormi quantità di generi alimentari. Lo si è appreso dai dati pubblicati ad agosto dal World Resources Institute Africa, un centro di ricerca che ha svolto una indagine, la più completa mai realizzata, sullo spreco e sulla perdita di cibo in Kenya e ne ha diffuso i risultati in un rapporto intitolato Perdita e spreco di mais, patate, frutta e pesce in Kenya, 2025. Il rapporto rivela che ogni anno fino al 40% del cibo prodotto nel paese viene sprecato: nove milioni di tonnellate per un valore di 578 milioni di dollari.
Le perdite e gli sprechi maggiori riguardano la frutta. A seconda delle stagioni, si buttano via dal 17 al 56% dei manghi, dal 15 al 35% degli avocado, dal 7 all’11% delle banane. Ma anche altri raccolti vanno perduti: fino al 36% quello del mais e al 23% quello delle patate. Quanto al pesce, lo spreco può raggiungere il 34%.
La causa di tanta perdita di cibo, inaspettata, va cercata a diversi livelli e in diversi settori della filiera alimentare: tecnologie agricole arretrate, soprattutto nel caso dei piccoli produttori che spesso non sono neanche in grado di prevenire le infestazioni di insetti e parassiti; scarsità di silo, granai e magazzini idonei a proteggere i raccolti dagli agenti atmosferici e, di nuovo, da insetti e parassiti; irregolarità e lentezza dei trasporti a causa delle strade mal tenute, in certi periodi dell’anno quasi o del tutto impraticabili, e dei mezzi di trasporto stessi – molti dei quali mal funzionanti e privi di celle frigorifere, per cui parte dei raccolti arrivano a destinazione troppo tardi, deteriorati; ulteriori danni, alla fine della filiera, nei negozi e nei mercati, per difetti di imballaggio e di conservazione. Inoltre contribuisce allo spreco di cibo anche il fatto che molti produttori non sono in grado di prevedere e conoscere le richieste del mercato e di rispondervi per cui succede che di certi generi alimentari, specie nelle annate migliori, si producano quantità eccessive che restano invendute.
Per gli agricoltori e i commercianti il danno è dato dalla perdita di introiti. Soprattutto per i primi può rivelarsi catastrofico se li lascia, come succede in concomitanza di eventi atmosferici avversi, senza mezzi per seminare e produrre nuovi raccolti. Per tutta la popolazione il danno di tanto spreco è che concorre alla scarsità di prodotti alimentari e quindi al rialzo dei prezzi al dettaglio soprattutto dei generi di largo consumo.
Il Kenya ha aderito all’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile che comprende 17 obiettivi. L’obiettivo 12.3 prevede il dimezzamento dello spreco e della perdita di cibo entro il 2030. Ma allo stato attuale per il Kenya è irrealizzabile. Se ci riuscisse, sostiene il rapporto del World Resources Institute Africa, il cibo in più prodotto basterebbe a sfamare più di sette milioni di persone: un risultato enorme tenuto conto che gli abitanti del Kenya sono circa 53 milioni.
Un ulteriore danno è lo spreco di acqua, per irrigare, e di energia, impiegata per coltivare, immagazzinare, trasportare prodotti che non diventeranno cibo. Per quel che vale, si ridurrebbero anche di sette milioni le emissioni di CO2.